Il sistema linfatico svolge un ruolo decisivo in quello immunitario, sebbene ci si accorga del suo ruolo solo quando è compromesso: «Svolge importanti funzioni e comunica col sistema vascolare drenando i liquidi che si accumulano nel tessuto sottocutaneo: il 10% circa del liquido che irrora i tessuti non ritorna al cuore attraverso le vene, ma per via del sistema linfatico. Ciò che ne fa un sistema di drenaggio essenziale a supporto di quello cardiovascolare». A parlare è il professor Yves Harder (primario e direttore medico del Servizio di chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica EOC) che, nell’ambito della ricostruzione del seno, si occupa pure del trattamento microchirurgico del linfedema cronico, una patologia ancora troppo poco nota (e non sempre individuata) che può affliggere linfonodi e sistema linfatico.
«Il linfedema compare quando la linfa non può scorrere adeguatamente verso il cuore e i liquidi ristagnano nei tessuti: le braccia e le gambe si gonfiano e si forma l’edema: un gonfiore spesso cronico», spiega lo specialista aggiungendo come tuttavia sia possibile condurre una vita normale «con il trattamento giusto e un atteggiamento positivo».
Due le forme distinte: il linfedema primario (relativamente raro), di solito congenito e causato da canali linfatici o linfonodi non completamente formati, e quello secondario (molto più frequente) che può originare da infezioni, lesioni o interventi chirurgici, di cui approfondiamo gli aspetti: «Le pazienti affette da tumore al seno, oltre all’asportazione del tumore, spesso devono sottoporsi a un’asportazione mirata di uno o più linfonodi e/o sottoporsi a radioterapia linfonodale. Ad esempio, per poter valutare l’estensione della malattia in stadio poco avanzato si può togliere un cosiddetto “linfonodo sentinella”, oppure un primo e secondo livello ascellare se il tumore ne ha già compromesso i linfonodi, siano essi inguinali o ascellari, secondo la neoplasia in questione (ndr: ad esempio potrebbe trattarsi di tumore al seno, o melanoma agli arti inferiori)».
Yves Harder chiarisce come si può formare il «blocco linfatico» causato dalla mancanza dei linfonodi asportati e dalle cicatrici che risultano dopo la chirurgia e/o la radioterapia: «La linfa non riesce più a ritornare al cuore attraverso i vasi linfatici: il suo deflusso anomalo favorisce il ristagno di liquidi e il relativo gonfiore più o meno evidente». Il linfedema è una malattia da non sottovalutare: «Anche quando l’intervento al seno ha successo, l’evidenza scientifica dice che togliendo un solo linfonodo la percentuale di sviluppare un linfedema è del 5%. Asportandone di più in ascella, il rischio aumenta fino al 20%. Infine, se il trattamento va completato con la radioterapia, il rischio va ben oltre il 35%».
Si parla di rischio, ma il messaggio è chiaro: «Con l’asportazione del tumore e le terapie adiuvanti, oggi si riesce a guarire più del 95% delle neoplasie mammarie non avanzate. La qualità di vita è dunque sempre più importante e pone lo specialista dinanzi all’esigenza di assicurare una chirurgia ablativa e ricostruttiva ancora più precisa, che diminuisca al massimo i rischi di linfedema e nel contempo ricostruisca un seno il più morbido e bello possibile, idealmente come prima della malattia».
Non va tralasciato l’aspetto subdolo del linfedema che può presentarsi a diversi stadi che talvolta non lo rendono ben identificabile: «Nello stadio 0, i vasi linfatici sono già danneggiati, ma non è ancora visibile alcun gonfiore. Lo stadio 1 mostra uno sviluppo durante la giornata, ma scompare parzialmente o completamente tenendo gli arti sollevati e si nota perché premendo un dito sui tessuti si forma una depressione che rimane per un certo tempo. Se il gonfiore persiste anche dopo riposo prolungato si parla di stadio 2: la cute è rigida e sollevare gli arti non serve più. Infine, lo stadio 3 è caratterizzato da gonfiore spesso grottesco (elefantiasi) e alterazioni cutanee (vescicole che perdono il liquido linfatico)».
Per prevenire la sua progressione allo stadio 3, il professor Harder raccomanda di occuparsene già nelle fasi precoci: «È utile consultare il medico specialista che potrà diagnosticare la patologia e prescrivere il trattamento adatto, facendo in modo che l’edema non progredisca ulteriormente, ma che si riduca idealmente o almeno rimanga costante».
Ricordiamo gli altri fattori di rischio: «Per citarne alcuni: obesità, ripetute infezioni dovute a diversi fattori come danni da pedicure o manicure non eseguite a opera d’arte, diabete che diminuisce la resistenza immunologica all’infezione e via dicendo». A livello preventivo, secondo il nostro interlocutore è essenziale la multidisciplinarietà della presa a carico delle pazienti che passa dalla loro informazione da parte delle infermiere del Centro di senologia: «Laddove necessario, esse sono orientate verso sedute di linfodrenaggio, fisioterapia, sana alimentazione, movimento adeguato e così via».
Prestare attenzione alle piccole cose del quotidiano contribuisce altresì a tenere sotto controllo il linfedema: «Portare indumenti comodi, igiene della pelle, perdere peso se in sovrappeso, ginnastica ed esercizi specifici sono di grande aiuto affinché questa malattia cronica, controllata con un trattamento corretto e a lungo termine, non peggiori ulteriormente».
Di grande aiuto sono i capi compressivi a maglia piatta per il mantenimento, da indossare regolarmente per un risultato costante e per evitare la diffusione dell’edema: «Sono fatti su misura e adattati alla circonferenza del braccio o della gamba, esercitano una pressione costante sull’arto coinvolto, non causano costrizioni e sono disponibili dai rivenditori specializzati su prescrizione medica». Un cenno sulla presa a carico, sostanzialmente individualizzata, di questa malattia cronica: «L’approccio conservativo è essenziale, ma solamente sintomatico. Di recente è stata messa a punto una terapia chirurgica sempre più performante per gli stadi che non rispondono bene al trattamento conservativo: si può ricostruire un sistema che riesca nuovamente a drenare, oppure togliere il tessuto in eccesso della gamba o del braccio aspirando il grasso e riducendone la massa in eccesso».
Interventi ancora relativamente rari, fra i quali sono promettenti il concetto di «anastomosi linfovenosa» e il trapianto di linfonodi: «Attraverso il trapianto di linfonodi sani, il tessuto si rigenera ed è un po’ come guarirlo». Per concludere: «I gonfiori di braccia e gambe vanno presi sul serio, chiedendo consiglio al medico, perché oggi si può fare tanto per limitare il peggioramento del linfedema».