La fantascienza si sta muovendo dentro la realtà. Comincia con questa frase a effetto il comunicato di una recente ricerca di alcuni biologi e biochimici affiliati all’Università di Carleton, nella capitale canadese. Prendendola un po’ larga fanno notare che l’uomo vuole tornare sulla Luna in questa decade e, ancor più, entro il 2040 vuole scendere su Marte. Ma da biologi sanno bene che le condizioni spaziali sottopongono il corpo umano a pericolosi attacchi. Non per nulla sulla Stazione Spaziale Internazionale gli astronauti sono sottoposti a continui controlli medici. Si sa che la prolungata assenza di peso fa perdere massa muscolare e rende fragili le ossa perché non c’è più da contrastare la gravità terrestre. Per non parlare del bombardamento di radiazioni cosmiche che altera il nostro sistema immunitario e crea vari danni alla salute.
Per arrivare su Marte oltre alla sfida fisiologica da superare ci saranno tutti i problemi tecnici e logistici. Uno banale ma non trascurabile: il viaggio di andata dura sei mesi, poi un anno di permanenza sul pianeta per aspettare un allineamento favorevole con la Terra, infine sei mesi per il ritorno. Quanto cibo dovranno portarsi appresso? Senza contare che restare chiusi per due volte sei mesi nell’angusto abitacolo della capsula spaziale, in estremo isolamento, può generare importanti problemi psicologici. L’ideale sarebbe poter dormire per tutto il viaggio, dicono i ricercatori. Ma come si può indurre il corpo degli astronauti a mettersi in quella condizione? Ecco che arriva la fantascienza: bisognerebbe ibernarli.
L’ibernazione è una condizione biologica nella quale le funzioni vitali sono ridotte al minimo: il battito cardiaco e la respirazione rallentano, il metabolismo si riduce e la temperatura corporea si abbassa. Può essere intesa come il letargo degli animali o come l’ipotermia preventiva in medicina. Ma tecnologicamente, almeno su individui vivi, non ci siamo ancora. Una cinquantina d’anni fa, nel 1967, si inaugurò questa controversa e costosissima pratica. Il corpo di un uomo appena deceduto venne congelato, ed è tuttora conservato in celle frigorifere, nella speranza che in futuro le nuove conoscenze medico scientifiche e tecnologie più avanzate permetteranno di riportarlo in vita, curando la malattia che l’aveva fatto morire. La pratica fece proseliti, pare siano quasi 400 le persone ibernate finora.
La tecnica va avviata entro mezz’ora dalla morte e il corpo viene portato alla temperatura dell’azoto liquido, prossima allo zero assoluto. Il «paziente» è così crioconservato. L’ibernazione in azoto liquido è utilizzata in medicina per la conservazione di spermatozoi ed embrioni umani, ma non è applicabile per conservare parti di dimensioni maggiori. Nell’ibernazione post mortem prima ricordata ai liquidi corporei sono addizionate sostanze antigelo che li fanno condensare e vetrificare senza cristallizzare e senza congelare, così da non danneggiare le pareti cellulari. In teoria, una volta scongelate potrebbero tornare funzionali.
Se l’ibernazione come descritta è scienza, far tornare in vita quella persona per ora è fantascienza. Allora perché pensare di far dormire in uno stato simile gli astronauti? Perché certi animali ci riescono. Alla prestigiosa Duke University della Carolina del Nord, negli USA, da una quindicina d’anni si sta studiando un primate con un talento straordinario. È un minuscolo lemure del Madagascar, per l’esattezza il Microcebo Murino (peso 50 grammi, alto 15 centimetri più 15 centimetri di coda), capace di mettersi in stato di ibernazione per periodi fino a otto mesi. Poiché i lemuri sono geneticamente più simili agli umani dei ratti da laboratorio, perché non studiarne i processi e cercare di trasportare questa loro capacità nell’uomo?
Le applicazioni medico scientifiche potrebbero essere molteplici. I lemuri della Duke University durante il loro periodo di ibernazione riescono a fare un solo respiro ogni 20 minuti e a portare il loro battito cardiaco da 200 a 4 battiti al minuto. Se un paziente in attesa urgente di un trapianto d’organo riuscisse a fare lo stesso potrebbe restare in questo stato sospeso dando più tempo ai medici per trovare il donatore compatibile. I ricercatori del «Centro dei lemuri» della Duke lavorano in stretto contatto coi colleghi che si occupano della medicina del sonno. Insieme hanno paragonato i tempi di veglia e sonno e le reazioni dei lemuri con quelli umani.
Si sa che nell’uomo la mancanza di sonno fa crescere il rischio di turbe del comportamento, dell’obesità, del diabete e di problemi cardiovascolari. Quindi il sonno è necessario. Perché dormiamo? Gli studi ci hanno dato diverse risposte: si dorme per risparmiare energia, per eliminare tossine dal cervello, per dimenticare alcune cose che abbiamo imparato alleggerendo così le sinapsi, che hanno lavorato molto nelle ore di veglia, riportandole a livelli normali e pronte a recepire nuovi stimoli una volta risvegliati. Ci sono due tipi di sonno: il sonno REM (movimento rapido degli occhi) che è quello nel quale sogniamo, e il sonno non-REM, che è il sonno profondo che rigenera il nostro corpo ed è vitale.
La privazione di questo sonno può essere letale e lo si è verificato nei ratti. Però gli scienziati ritengono che il piccolo lemure, mentre è ibernato, sperimenti solo il sonno REM. Allora perché non muore? Forse perché non dorme affatto durante il lungo periodo di ibernamento. È questa la supposizione di uno degli autori della ricerca della Duke. L’ibernazione differisce dal letargo perché non è un vero sonno: gli animali ibernati possono reagire agli stimoli, seppure in modo torpido.
Le nuove ricerche canadesi sul Microcebo murino che riprendono gli studi della Duke hanno mostrato che a guidare la loro abilità di ibernazione sono i microRNA, dei piccoli pezzi di RNA, che agiscono come geni inibitori molecolari. L’RNA è un acido nucleico. L’RNA è una molecola polimerica implicata in vari ruoli biologici di codifica, decodifica, e regolazione dell’espressione dei geni. I microRNA trovati dai biologi canadesi hanno mostrato quali processi biologici rimanevano attivi (on) per proteggere l’animale e quali erano spenti (off) per salvarne l’energia. In particolare alcuni RNA combattevano il danneggiamento muscolare durante l’ibernazione.
Altri ruoli sono sembrati coinvolgere la prevenzione della morte delle cellule, rallentando o fermando le crescite cellulari non necessarie. Si è riscontrata anche una regolazione degli zuccheri e dei grassi. Studiata e capita a fondo la strategia microRNA usata dai lemuri, agli scienziati resterebbe il compito di sfruttare questo genetico interruttore on/off per rapidi e reversibili cambi che potrebbero permettere una temporanea ibernazione umana nel viaggio verso Marte.