A circa un anno e mezzo dall’inizio di questa pandemia disponiamo di un vaccino molto efficace, e solo di poche terapie mirate (si parla di anticorpi monoclonali ma vedremo che sono ad appannaggio di casi assolutamente particolari).
«La situazione rimane sempre tesa» ha affermato a metà settembre Virginie Masserey dell’Ufficio federale della sanità pubblica (Ufsp). Le nuove infezioni mostrano un incremento marcato tra i giovani e i bambini. Nel periodo di riferimento, i reparti di terapia intensiva degli ospedali elvetici sono sempre più sotto stress, e la task-force della Confederazione traccia il profilo dei ricoverati: «Con meno di 44 anni, senza malattie croniche pregresse e soprattutto non vaccinati». In Ticino i numeri delle nuove infezioni e dei ricoverati sono per ora stabili, ma si sta in campana coi pazienti in terapia intensiva. L’Ufsp indica che le persone completamente vaccinate rappresentano lo 0,6 per cento dei casi positivi e il 4,3 per cento dei ricoverati in ospedale.
Parliamo di virus, sistema immunitario, vaccini e farmaci, spesso senza la dovuta memoria storica. Saperne di più dovrebbe consentire di distinguere le bugie dalle verità, le giuste preoccupazioni dai timori infondati. Abbiamo chiesto alla caposervizio di malattie infettive dell’Ospedale Regionale di Bellinzona e Valli e dell’Ospedale di Locarno, l’infettivologa ed epidemiologa Luigia Elzi, di spiegare l’origine dell’eterno «gioco delle parti» fra sistema immunitario e agenti patogeni (batteri e virus). Un «passo indietro» che inizia dalla «transizione epidemiologica» e dalla consapevolezza che, un tempo, «le aspettative di vita delle persone erano nettamente più basse perché di malattie infettive si moriva già nell’infanzia».
«Le malattie infettive sono sempre state il grosso cruccio dell’umanità: le epidemie, ad esempio, di peste (il cui agente patogeno è un battere) hanno dimezzato la popolazione, finché sono stati scoperti gli antibiotici. Tutti noi abbiamo avuto infezioni nella vita, oggi abbiamo gli antibiotici, ma in certe zone della Terra le malattie infettive sono ancora importanti (in Africa, ad esempio, HIV, malaria e tubercolosi mietono ancora tante vittime). Da noi, l’invecchiamento della popolazione ha fatto emergere altri tipi di malattie (degenerative, cardiovascolari, tumorali e via dicendo)».
Oggi nella parte occidentale del Mondo si muore innanzitutto per malattie cardiovascolari e tumori. «Ci siamo dimenticati delle malattie infettive perché ci siamo illusi che la medicina moderna potesse vincere tutti i germi», afferma la dottoressa Elzi che porta ad esempio la veloce evoluzione di ricerca terapeutica sull’HIV che oggi dispone di farmaci che ne hanno nettamente diminuito la mortalità. «Non dimentichiamo che l’HIV esiste ancora, e può essere mortale se non diagnosticato e curato. Molto spesso i giovani ne sottovalutano il pericolo».
«Questo coronavirus ha spezzato la convinzione di essere immortali, ed è emersa la fragilità di questa promessa». Oggi dobbiamo ricordarci cos’è il virus con cui facciamo i conti: «Parliamo di un microorganismo primitivo con le caratteristiche di parassita obbligato perché si replica esclusivamente all’interno delle cellule degli organismi che infetta. Pare avere un’intelligenza particolare perché da milioni di anni sopravvive adattandosi alle situazioni e all’organismo infettato».
Ogni virus non vuole essere ucciso dal nostro sistema immunitario: «Quando il sistema di difesa del nostro corpo incontra qualcosa che riconosce come estraneo (virus o batteri sono cellule estranee) innesca una cascata di reazioni che attivano la risposta immunitaria (immediata aspecifica: partono velocemente i “soldati di fanteria”, poi più lenta e specifica con “soldati specializzati”)». Il virus intrattiene con l’ospite un rapporto di amore e odio: «Esso ha bisogno dell’ospite per replicarsi e sopravvivere, l’ospite cerca di sopravvivere egli stesso: entrambi lottano per la sopravvivenza anche se non sempre il virus porta alla morte dell’ospite, come ad esempio nel semplice raffreddore».
Questo «nuovo coronavirus» è molto diverso da quelli influenzali ormai noti: «Ci sono i coronavirus che provocano sintomi passeggeri delle vie respiratorie (rinite, mal di gola, febbre, tosse), e i virus dell’influenza che solo raramente provocano una polmonite. Ora, questo nuovo coronavirus è imparentato con la SARS 1». La specialista parla di una «malattia sistemica»: «Non provoca un semplice raffreddore, non soltanto una polmonite come la SARS 1, ma può creare problemi a molti organi (tra cui il sistema vascolare, cuore, reni, sistema gastrointestinale, fegato, sistema nervoso), dimostrando di essere una malattia complessa. L’80 per cento delle persone infettate sviluppa una malattia moderata senza necessità di ossigeno, ma un 20 per cento sviluppa una malattia grave e necessita ossigeno, e di questi un quarto sarà in terapia intensiva».
Importanti i fattori di rischio individuali: «Età e comorbidità (immunosoppressione, malattie cardiovascolari, polmonari e renali croniche, diabete) aumentano il rischio di ammalarsi gravemente». Il vaccino è l’arma migliore di cui disponiamo per ora: «In Svizzera ne abbiamo due (a mRNA, una tecnica sviluppata da un decennio, ora applicata a questi vaccini)». Nel frattempo, aumenta l’esperienza dei milioni di persone vaccinate a livello globale: «Perciò, conosciamo già i possibili effetti collaterali dei vaccini: l’esperienza a livello mondiale è tale che li possiamo considerare sicuri, anche se sono noti alcuni rarissimi effetti collaterali come ad esempio la miocardite che, ripeto, è rarissima».
Elzi conferma la situazione attuale: «La maggior parte delle persone ospedalizzate non è vaccinata, le poche vaccinate sono quelle talmente immunosoppresse che non hanno sviluppato gli anticorpi». Invita a riflettere sul fatto che «un vaccino non è una protezione del 100 per cento (non esiste in medicina!), ma è dimostrato che diminuisce notevolmente il rischio di ammalarsi gravemente e di morire per COVID 19». Ricorda che resta comunque necessario proteggersi e di riflesso proteggere gli altri: «Chi decide di non vaccinarsi per motivi personali, si ricordi di seguire scrupolosamente le indicazioni già note (indossare la mascherina nei luoghi chiusi, disinfettare spesso le mani, eccetera)». La dottoressa ribadisce che, oggi, l’alternativa al vaccino è questa.
Tra vaccino e malattia alcuni hanno dubbi su quale sia più temibile: «La malattia va presa seriamente perché può avere decorso grave e fatale, per cui la malattia è sicuramente più pericolosa del vaccino». Sulle terapie, infine, ridimensiona l’uso degli anticorpi monoclonali: «Sono riservati a pochissime persone, con alto rischio di decorso infausto, e sono efficaci solo se somministrati precocemente». La corretta informazione è ancora la via per decidere in tutta coscienza individuale e collettiva.