Il gioco come processo di autoguarigione

Bambini e migrazione - La Svizzera ha accolto finora quasi 70mila profughi ucraini, tra cui molte famiglie con figli piccoli. Isabella Cassina, esperta in materia di sostegno psicosociale, propone un intervento terapeutico per curare le ferite invisibilidel conflitto ancora in corso
/ 02.01.2023
di Luca Beti

La questione migratoria è tornata d’attualità dopo che per quasi due anni era finita in secondo piano. Con l’allentamento delle restrizioni dovute alla pandemia, i flussi migratori sono ripresi. Inoltre, la guerra in Ucraina ha provocato in Europa la più grande crisi umanitaria dalla Seconda guerra mondiale. Dallo scoppio del conflitto gli sfollati interni sono più di 7 milioni e oltre 13 milioni di persone hanno trovato rifugio nei Paesi limitrofi. La Svizzera ha accolto finora 67mila ucraini (dati di inizio novembre) che hanno ottenuto lo statuto di protezione S.

Sono soprattutto donne con bambini e giovani in età scolastica. Anche se ora sono al sicuro, sul treno diretto a ovest si sono portati la sofferenza di una separazione forzata dai propri cari e dalla loro terra. Sono ferite invisibili che vanno riconosciute e curate. Ed è proprio ciò che fa Isabella Cassina. L’assistente sociale sta svolgendo un dottorato di ricerca sull’applicazione del gioco e delle arti espressive come terapia nei contesti di crisi. Di recente ha dato alle stampe una pubblicazione in cui illustra il concetto di «recuperare il tempo di gioco perduto», approccio terapeutico volto a fornire supporto a bambini affetti da una serie di disturbi psicosociali causati dallo sfollamento.

Signora Cassina, la sua prima esperienza sul campo nell’ambito del sostegno psicosociale risale al 2009, quando ha assistito gli sfollati interni a Belgrado. Cosa ricorda di quella esperienza in Serbia?
Le persone fuggite dal Kosovo più di dieci anni prima vivevano ancora in baracche nei centri di prima accoglienza ai margini della città. In questa situazione di emergenza erano nati i loro figli che parlavano del conflitto come se l’avessero vissuto sulla loro pelle perché quell’esperienza traumatica era stata trasmessa loro dai genitori. Nonostante fosse finita da anni, la guerra era quindi ancora molto presente nella quotidianità, anche in quella dei più piccoli. Possiamo parlare di trauma intergenerazionale. È stata per me un’esperienza illuminante che ha avuto un ruolo decisivo nel mio percorso professionale. Lì ho capito che volevo saperne di più sulle strategie per aiutare i bambini.

E una di queste strategie si basa proprio sul gioco. Di che cosa si tratta?
Il gioco è un istinto naturale dell’essere umano che ci accompagna per tutta la vita. Bambini e adulti hanno bisogno di giocare, lo fanno in modalità differenti e per soddisfare necessità diverse. Per i bambini il gioco è fondamentale per comprendere il mondo che li circonda, esprimere ed elaborare episodi di vita ed emozioni forti, sviluppare abilità essenziali. Per questo motivo, è importante che un bambino venga messo rapidamente nelle condizioni di giocare se è stato privato di questa possibilità, ad esempio durante una migrazione forzata o in una situazione di emergenza. Nel libro parlo proprio di «recuperare il tempo di gioco perduto» affinché i bambini possano fare esperienze riparatorie fondamentali per il loro benessere psicosociale e lo sviluppo cognitivo.

Come si articola l’intervento terapeutico attraverso l’uso del gioco?
Il nostro è di solito un intervento a 3 livelli di forma piramidale. Nella prima fase vengono coinvolte possibilmente tutte le persone che ruotano attorno ai bambini: genitori, familiari, operatori sociali, insegnanti. Attraverso il gioco si crea un contesto senza troppo regole, in cui ci si può divertire e stare bene insieme in un ambiente accogliente e rilassato. In questo contesto si individuano i bambini che hanno bisogno di un sostegno psicosociale più mirato. In seguito, il gioco viene usato come terapia e si inizia un percorso parallelo con la singola famiglia. Si cambia il setting, ad esempio da uno spazio che può accogliere una ventina di persone si passa ad una stanza di terapia in cui viene fatto un lavoro individuale basato sui bisogni del bambino, sul suo livello di sviluppo e durante il quale vengono coinvolti quanto più possibile i genitori.

Anche se hanno raggiunto il Paese d’accoglienza dove i genitori hanno chiesto asilo, i bambini ucraini continuano a vivere una condizione di stress post-traumatico e sono confrontati con grandi difficoltà. Che tipo di intervento dovrebbe essere promosso in Svizzera?
La migrazione è un processo che consiste in un prima, un viaggio e un dopo. Quando il bambino arriva in Svizzera ha vissuto esperienze complesse e potenzialmente traumatiche che possono creare una situazione di grande disagio, soprattutto se non vengono individuate in fretta. È importante quindi intervenire tempestivamente e per poterlo fare bisogna essere preparati e sapere chi contattare per fornire il supporto necessario. In linea generale, a un genitore proveniente dall’Ucraina consiglierei di creare da subito uno spazio e un tempo dove il bambino possa giocare. Sembra una banalità, ma studi scientifici hanno dimostrato che il gioco è il più naturale ed efficace processo di autoguarigione per i bambini. Grazie al gioco riescono ad esprimere attivamente le proprie emozioni, a rielaborarle e con il tempo a sentirsi a proprio agio in una nuova realtà. Inoltre, le scuole hanno un ruolo fondamentale. Sono il nostro punto di riferimento in tutti i progetti e interventi in qualsiasi parte del mondo. È così che riusciamo ad arrivare ai genitori. Ma è importante occuparsi anche del corpo docente, confrontato con una situazione inattesa, come ad esempio l’arrivo di nuovi bambini che possono alterare le dinamiche di classe.