Lo scorso settembre l’Accademia della mobilità, una società del Touring Club Svizzero che si qualifica come una «cellula di riflessione e di azione» dedita allo studio e alla promozione delle conoscenze sulle trasformazioni del settore dei trasporti, ha dedicato alle prospettive della guida autonoma una giornata della sua «Arena della mobilità», una manifestazione che riunisce esperti provenienti da tutta l’Europa.
Se la rivoluzione elettrica della mobilità ha ormai rotto gli argini della sperimentazione e delle verifiche, sta modificando l’industria automobilistica e, sul piano tecnico, ha dissipato i dubbi sulla sua elevata efficienza e sulla sua minore impronta ecologica (posto che l’energia di cui si alimenta provenga da fonti rinnovabili), la guida autonoma si muove più cautamente e ancora nel limbo della ricerca e degli studi-pilota. Gli ingegneri all’opera sono ottimisti: dal profilo tecnico il traguardo sarà raggiunto. In questa convinzione sono accompagnati dalla schiera dei fans innamorati della tecnologia. I pareri sono invece incerti e talvolta divergenti sui possibili effetti dell’automazione. Economisti e sociologi sono più prudenti nel decantare le virtù di quella che sempre più si usa definire «mobilità intelligente».
L’automazione è anche un processo economico e sociale e come tale comporta scelte e cambiamenti non sempre lineari. La marcia verso l’automazione prevede cinque tappe. Partendo dalla guida convenzionale, che comporta il pieno controllo del veicolo da parte del conducente, giunge al traguardo con l’automazione completa, che permette di gestire tutte le situazioni senza la sua presenza. I passi intermedi liberano progressivamente chi guida dall’uso dei piedi (tappa 1), delle mani (tappa 2), degli occhi, ossia dalla costante attenzione (tappa 3) e dalla mente, ossia dalla continua prontezza di intervento (tappa 4). Oggi si sta lavorando soprattutto sulla terza tappa, ma già con qualche incursione nella quarta. Si tratta in genere di esperienze su scala locale, percorsi brevi con limitate interferenze esterne e con la presenza a bordo di personale di sorveglianza. In Svizzera ne sono stati svolti o sono in corso una quindicina.
La mobilità autonoma sarà più sostenibile dal profilo economico, ambientale e sociale? Da uno studio presentato al Convegno emergono alcuni vantaggi e rischi come pure aspetti contrastanti. Tra i primi si citano la possibilità di svolgere altre attività durante lo spostamento, un maggiore confort, la possibilità di spostarsi con il proprio veicolo fino a tarda età. Tra i rischi emergono aspetti etici (non è più l’uomo ma la macchina a decidere), la deresponsabilizzazione e la perdita di individualità nonché la sorveglianza costante con conseguente insidie alla propria intimità e sfera privata. Ambivalente è il giudizio sulla sicurezza, dove alla presunta infallibilità della macchina si oppone la vulnerabilità di un sistema di gestione di dati e informazioni estremamente complesso. Un aspetto del tutto rilevante è quello legato alla capacità delle infrastrutture: se potrà essere incrementata, se si circolerà più liberamente e se congestione e perturbazioni scompariranno. Da questo punto di vista le valutazioni degli esperti sono interlocutorie e rinviano a strategie e scelte più fondamentali di politica della mobilità.
In scenari in cui dovesse prevalere un approccio «individualista», in cui fossero dunque confermati la proprietà e l’uso prevalentemente singolo del veicolo, il risultato sarà tendenzialmente un’ulteriore crescita del traffico e il riproporsi, a un livello più elevato, degli attuali problemi di congestione e perturbazioni. Il limitato spazio a disposizione, soprattutto nelle città, si manifesterebbe di nuovo come un vincolo ineludibile per gli spostamenti. Se l’indirizzo fosse invece quello di puntare sulla cosiddetta sharing economy, ossia sulla condivisione dei veicoli, abbinata allo sviluppo di offerte «multimodali», che combinano l’uso di diversi mezzi di trasporto per raggiungere la destinazione, il risultato sarebbe globalmente favorevole grazie a un minore consumo di risorse, di energia e di territorio. In questa prospettiva anche i trasporti pubblici tradizionali, con l’eccezione dei servizi sulle medie e lunghe percorrenze su ferro, sarebbero tendenzialmente minacciati se non cogliessero le opportunità di integrare offerte più flessibili, evidentemente in modalità automatica, che ridurrebbero peraltro una delle principali voci di costo: quella del personale. Un servizio «tipo-taxi» potrebbe diventare economicamente molto interessante e competitivo.
Quando la guida autonoma potrà diventare una realtà? Il più recente scenario di riferimento della Confederazione ne ipotizza la progressiva diffusione dal 2040 e la sua quota nel complesso degli spostamenti motorizzati potrebbe raggiungere circa il 30% entro il 2050. La guida autonoma non sarebbe dunque definitivamente acquisita e la circolazione avrebbe una natura ibrida. Il cambiamento non è solo di natura tecnica, ma investe persone e società nei loro valori, nelle loro abitudini e nei loro modi di esprimersi. Vi è poi da considerare la componente economica dei costi dei veicoli e delle infrastrutture. Saremo tutti pronti a «mollare» il volante?
La tecnologia è un mezzo importante per affrontare i problemi, ma il suo sviluppo deve essere inquadrato in una strategia e in un contesto con chiari obiettivi e promosso in modo mirato per ottenere il risultato sperato nell’interesse della società intera.