Dove e quando

Andri Snær Magnason incontrerà il suo pubblico italofono in occasione di Chiassoletteraria sabato 4 settembre 2021 alle 15.30 al Cinema Teatro. Sarà intervistato da Mario Casella; info chiassoletteraria.ch


Il futuro colonizzato

Incontri - A colloquio con lo scrittore e attivista islandese Andri Snær Magnason, che sarà ospite di Chiassoletteraria
/ 30.08.2021
di Simona Sala

È proprio di questi giorni l’inquietante nuovo studio dell’ONU, il sesto Rapporto del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (Ipcc): nel 2019 è stato battuto un record da brivido. Le emissioni di CO2 rilasciate in quell’anno (36,8 miliardi di tonnellate) sono le più alte di sempre. Peccato che nel frattempo siamo già nel 2021, e i dati, comunque preoccupanti, non sono aggiornati… non osiamo pensare al prossimo bollettino, al termine di due anni che passeranno alla storia, oltre che per la pandemia, anche per gli incendi che hanno attraversato il mondo, dall’outback australiano fino alla California, passando per Francia, Grecia, Turchia, Italia, Spagna, eccetera, eccetera. 

Anche se ancora vi è chi rinnega l’effettivo influsso del CO2 sui cambiamenti climatici, ormai da molti fronti giudicati irreversibili, per la comunità scientifica i dubbi sono definitivamente fugati: il nostro pianeta sta assistendo (in molti casi in modo impotente) a cambiamenti che pregiudicheranno il modo di vivere delle prossime generazioni.

Ne abbiamo parlato con Andri Snær Magnason, attivista ambientalista e divulgatore scientifico islandese, autore di Il tempo e l’acqua (v. «Azione» del 12 aprile 2021), che dal suo osservatorio privilegiato – l’Islanda per molti versi, grazie a vulcani, ghiacciai e geyser, rappresenta l’espressione più completa e inquietante di ciò che sta cambiando – lancia un monito, accorato ma forse anche disilluso. Sarà a Chiassoletteraria, nel solco di un percorso che lo porterà in diverse località italofone, per tentare ancora una volta una forma di sensibilizzazione che permetta a ogni cittadino di almeno prendere coscienza di quanto sta accadendo.

Andri Snær Magnason, è da tutta l’estate che l’Europa brucia o lotta con l’acqua. Siamo davanti a una svolta epocale, probabilmente irreversibile: è preoccupato? 
Certo che sono preoccupato, perché sta succedendo esattamente quello che si prevedeva. Purtroppo, in questo caso così come in molti altri, la gente non riesce a capire le cose prima che accadono. È un problema dell’umanità, ma anche della democrazia. Il mondo sta cambiando: stiamo assistendo a una trasformazione del paesaggio.

Qual è la sfida più grande in questo momento?
Credo che una delle sfide maggiori sia quella di creare un’urgenza di fronte a eventi che accadranno sul lungo termine. Come si può stimolare l’immaginazione riguardo a questi eventi? Come si può permettere alle persone di relazionarsi con eventi la cui portata si vedrà solo tra vent’anni? È questa la vera sfida. Il risultato è che si finisce per preoccuparsi di cose apparentemente più urgenti. Sembra quasi che per comprendere la portata del problema sia necessario vedere ad esempio gli incendi con i propri occhi.

Reputa che gli eventi di quest’estate siano gravi abbastanza per modificare la posizione di chi ancora è scettico? 
Forse la gente comincia finalmente a rendersi conto di quello che sta succedendo.

Il cambiamento, se mai ci sarà, verrà dai governi o dalla scienza?
Molte soluzioni giungono da attori privati, ma dovranno venire prese a carico dalle politiche governative. L’impressione generale è che si cerchi di «farla facile», convinti che sia semplice passare a uno stile di vita più «verde», un po’ come passare da un Diesel a una Tesla. In pratica cerchiamo di continuare a fare le stesse cose, seppur con un impatto minore, ma senza rinunciare ad alcuno dei comfort acquisiti in questi anni. Dobbiamo invece renderci conto del fatto che le cose da cambiare sono molte e che devono cambiare in fretta. All’inizio si pensava che fosse un problema riguardante solo i paesi poveri e tutt’al più i Poli, ora però abbiamo visto che riguarda tutti e tutto. Il problema tocca ognuno di noi: in Germania ci sono state le alluvioni, in Canada si è morti per il caldo, l’anno scorso la costa di Malibù è bruciata, riducendo in cenere le case dei ricchi.

Chi deve, se è ancora possibile, arginare un disastro che avrà conseguenze letali?
Non credo sia compito dei giovani mettere a posto questo disastro, ma presto sarà il turno delle nuove generazioni, che quando andranno al potere avranno sicuramente una connessione diversa con il futuro. Noi viviamo come se i prosperi anni Settanta risalissero a trent’anni fa, invece sono già passati quasi cinquant’anni. I giovani sentiranno di non potere vivere in un futuro non abitabile, e questo è un dolore che sta emergendo piano piano. Saranno le nuove generazioni a stabilire le regole, così come le giovani donne stabiliranno le regole sul posto di lavoro grazie alla cultura nata dal movimento #Metoo. 

Perché fa riferimento agli anni Settanta?
Pensiamo per un attimo di essere nel 2070: cent’anni prima, nel 1970, noi pensavamo tutt’al più a dove giocare a golf e a dove trascorrere le vacanze estive per renderci la vita più confortevole. I giovani invece vedranno un mondo in fiamme, quindi le priorità saranno altre. 

È risaputo che i paesi nordici sono da sempre più sensibili ai temi ambientali. Se guardiamo all’agenda politica di paesi del Sud dell’Europa come l’Italia, la Turchia o la Grecia (ma anche la Svizzera), ci rendiamo conto che i temi ambientali si trovano nelle ultime pagine. Come potrà avvenire il cambiamento se i problemi climatici non raggiungono una posizione più in vista?
Il Sud è ben equipaggiato per sviluppare ad esempio la tecnologia solare; credo che una nazione come l’Italia, che riesce a progettare la migliore automobile del mondo, possa investire le proprie conoscenze anche nelle tecnologie votate all’ambiente, creando ad esempio i migliori pannelli solari del mondo.

Uno sguardo più attento alla realtà non lascia esattamente ben sperare, però. Pensiamo alla Svizzera, dove negli anni Ottanta si sono vinte battaglie importanti, come quella legata alla protezione delle Alpi, o ad Avanti no. Svizzere e svizzeri sono reduci da una votazione (13 giugno) che chiede il mantenimento dello status quo per quanto riguarda ad esempio i pesticidi. Non ha l’impressione che si cerchi di sfruttare le risorse fino all’ultimo, incuranti delle generazioni successive?
Il problema è dovuto al fatto che il sistema è guidato soprattutto da gente sulla sessantina, quindi siamo di fronte a un gap generazionale. Vi sono ancora persone convinte del fatto che possedere azioni nelle compagnie petrolifere possa dare un futuro, poiché queste garantiscono guadagni immediati. Ma non vi è nulla di meno razionale o di più malvagio che investire in una compagnia petrolifera; questo per due motivi: da una parte perché fra qualche anno queste compagnie avranno bruciato il mondo, dall’altra perché avranno fatto bancarotta, quindi non ci saranno più nemmeno i soldi.
Sicuramente qualche grosso manager delle compagnie in questione finirà in tribunale per la cattiva gestione di territorio e soldi. Spesso i manager sono ben consapevoli delle conseguenze del proprio agire, ma, opponendosi apertamente alla scienza, si spingono al punto da assumere delle persone per indurre in errore il pubblico. Esattamente come è successo nell’industria del tabacco.

Non crede che la crisi legata al Covid ci stia già dimostrando quello che succede quando si impongono delle restrizioni alla gente? Non andremo incontro a nuovi disordini e a proteste?
La questione è più complessa. In questo caso non si tratta di non fare delle cose, ma si tratta di farle in modo diverso. Prendiamo la questione del cibo: esso andrà ripartito diversamente, ma mangeremo ancora. Saremo ancora mobili, ma viaggeremo in modo diverso. Non si tratterà più di non potersi riunire o di non poter abbracciare la nonna, saranno restrizioni diverse, ma credo che le nuove generazioni le percepiranno come molto inferiori rispetto a quelle dettate dall’emergenza Covid.
Recentemente sono incappata nell’affermazione di un artista svizzero che in modo provocatorio asseriva la necessità di togliere il voto agli over 65, soprattutto alla luce dei recenti risultati alle urne nel nostro Paese.

Cosa ne pensa?
Le nuove generazioni hanno avuto trent’anni per confrontarsi con quanto professa la scienza. Le persone di una certa età che rimangono arroccate sulle proprie posizioni ai miei occhi non hanno più scuse, non hanno nessun terreno, né sul piano morale, né a livello logistico. Se queste persone non cominciano a capire i problemi e ad affrontarli, correremo il rischio di un importante conflitto generazionale. La sostenibilità non presuppone che si viva a spese delle generazioni successive. In fondo assistiamo a una generazione che sta letteralmente colonizzando quelle successive attraverso la sottrazione delle risorse e dello spazio vitale.
Non crede che ci troviamo in una situazione nuova? Fino ad oggi i sacrifici per le nuove generazioni erano di natura formativa ed economica, dunque del tutto diversi da quelli che sarebbero necessari adesso.
In questo senso siamo di fronte a un cambiamento di paradigma, le generazioni più vecchie pensano ancora in termini economici, ma in questo momento l’urgenza è un’altra.

Lei abita in Islanda: come affrontate i temi ambientali? C’è molta sensibilizzazione?
Recentemente ho tenuto una conferenza a Bologna, in occasione di un convegno dei docenti di scienze europei. Come ho spiegato in quell’occasione, credo che a questo punto della nostra storia dobbiamo cambiare i target educativi, che risalgono a trent’anni or sono. La sfida ambientale è talmente grande che dovrebbe coinvolgere ogni materia, mentre ci ritroviamo con dei testi scolastici di dieci anni fa, quando la questione non era ancora così urgente, e riguardo al cambiamento climatico si credeva in una probabilità del 50%. La biologia, ad esempio, dovrebbe essere al servizio dell’agricoltura, per permettere lo sviluppo della sensibilità e di nuove metodologie. La stessa cosa vale per la matematica, che dovrebbe occuparsi di nuove tecnologie e di nuove invenzioni ecologicamente più sostenibili. In fondo si tratta di una sorta di rivoluzione.
In Islanda c’è una certa consapevolezza, ma senza grandi rotture. Quando importi il petrolio non devi poi stupirti se questo brucia!

Questi cambiamenti (che presuppongono migrazioni, spostamenti di popoli, nuove restrizioni, eccetera) a lungo termine pregiudicheranno la pace sociale?
Io resto fiducioso. Se pensiamo alla storia del progresso, mi piace citare proprio l’Islanda. La mia isola è stata a lungo di difficile abitabilità, la gente era costretta ad andarsene alla ricerca di un futuro migliore. Con il tempo però, siamo riusciti a trasformare in vantaggi quelli che erano svantaggi: i vulcani sono diventati una fonte di energia e grazie ad essi abbiamo cominciato a fare delle serre in cui coltivare frutta e verdura. Se penso all’Italia del sud, dove stanno divampando gli incendi, immagino un futuro dove si possa sfruttare questo immenso calore convertendolo in energia. 

Pensando soprattutto alla classe politica, non crede che per l’essere umano sia difficile proiettarsi in un tempo che non gli appartiene, situato addirittura in un’epoca in cui lei o lui sarà già morto?
Io credo che per ogni essere umano vi siano anche questioni legate all’eredità e alla tradizione. Questo è il motivo per cui ancora oggi abbiamo statue e castelli realizzati da persone che volevano essere ricordate dopo la morte. La nostra generazione deve rendersi conto che se non agiamo, non solo non lasceremo nulla alle generazioni future, ma addirittura ne cancelleremo la cultura. Di una cosa sono certo: saremo ricordati come le generazioni che non hanno speso alcuna energia per affrontare queste problematiche.