Non esiste una «natura» che rende le donne predisposte a occuparsi delle faccende domestiche e gli uomini incapaci di vedere i dettagli e prendersi cura della casa e dei figli. Sempre più ricerche indicano che i comportamenti considerati tipicamente «femminili» e «maschili», come fare i mestieri di casa e accudire i bambini, sono definiti da fattori culturali. Un articolo appena pubblicato sulla rivista statunitense «The Atlantic», scritto dal giornalista Joe Pinsker, intitolato The Myth That Gets Men Out of Doing Chores (Il mito che dispensa gli uomini dalle faccende domestiche), cita una serie di studi che spiegano che «i maschi sono bravi a riconoscere il disordine tanto quanto le femmine, semplicemente non sentono la stessa pressione per sistemare». Pinsker cita Susan McHale, professoressa di Studi sulla famiglia alla Penn State University, secondo la quale «non ci sono prove di differenze sessuali intrinseche e biologiche nella pulizia o nella confusione».
Le ricercatrici Sarah Thébaud, Sabino Kornrich e Leah Ruppanner hanno chiesto a un campione di seicento persone di valutare se una stanza mostrata in foto fosse ordinata o disordinata. La percezione del disordine, da parte di uomini e donne, è risultata la stessa. Quando però si specificava agli intervistati di chi fosse la camera, tendevano a giudicarla più sporca se era di una donna. Un doppio standard sociale: ci si aspetta che l’ordine sia femminile. Inoltre, Allison Daminger, dottoranda alla Harvard University, ha rilevato, attraverso una serie di interviste, che la noncuranza che gli uomini in genere riservano alla casa non è la stessa che hanno sul lavoro. Per loro stessa ammissione, hanno comportamenti diversi, nella vita privata e pubblica, per l’ambiente in cui si trovano.
Per Camilla Gaiaschi, ricercatrice all’Università statale di Milano al centro Genders e visiting fellow all’Università di Losanna, si continua a credere che gli uomini non siano adatti alle faccende domestiche a causa degli schemi di genere. «Tendiamo ad attribuire alle donne, con maggiore facilità, la predisposizione per la pulizia e l’attenzione all’ordine» dice Gaiaschi ad «Azione». «Si tratta di una questione di aspettative di genere e socializzazione. Le donne sono socializzate a fare le pulizie da quando sono bambine mentre gli uomini sono socializzati a essere dei geni disordinati fin dall’infanzia. Non è un caso che la parola genio, per la maggior parte delle persone, sia riconducibile a una figura maschile. Uno stereotipo che condiziona i genitori e porta i bambini a imparare a non mettere via i giochi e non togliere i piatti dalla tavola».
Le aspettative di genere diventano uno schema, aggiunge la ricercatrice – relatrice, lo scorso gennaio, in un Ted talk su stereotipi e disuguaglianza – che contribuisce a una sperequazione del tempo che le donne devono dedicare alla casa e alla famiglia, rispetto ai mariti o ai partner. «Le donne, socializzate alla cura e alle pulizie, devono dare un senso al carico che si trovano sulle spalle, riaggiornando così desideri e preferenze. Si abituano a svolgere compiti ripetitivi e poco appaganti e smettono di pensare che sia ingiusto. Sappiamo che le bambine, quando nascono, non hanno una propensione innata per passare l’aspirapolvere, non esiste una differenza biologica per queste inclinazioni. La dimostrazione che non ci sia nulla di “naturale” sta nel fatto che le preferenze cambiano in base ai periodi storici e ai luoghi».
Julia Cordero‐Coma e Gøsta Esping‐Andersen hanno analizzato come in Germania il coinvolgimento di bambine e bambini nelle faccende domestiche sia condizionato dal modo in cui i genitori concepiscono i ruoli. È emerso che le abitudini apprese tra gli otto e gli undici anni si riflettono nel corso della crescita. I bambini che hanno padri che contribuiscono alle pulizie tendono a fare lo stesso da grandi. Per le bambine, invece, non ci sono cambiamenti significativi perché fin da piccole imparano ad aiutare in casa. A conclusioni simili è arrivata una ricerca pubblicata negli Stati Uniti che analizza il modo in cui gli adolescenti passano il loro tempo rispetto ai coetanei dei decenni passati. Le ragazze trascorrono circa il doppio del tempo dei ragazzi ad aiutare in casa, pulendo e preparando da mangiare, e facendo la spesa.
Anche le organizzazioni internazionali per i diritti umani si occupano di monitorare quanto i ruoli di genere incidano fin dall’infanzia. In uno dei rapporti di Save the Children si legge: sebbene le norme di genere possano influenzare tutti i bambini, è stato dimostrato che pesano in modo sproporzionato sulle bambine. In certe aree del mondo, le bambine rappresentano i due terzi di tutti i minori che svolgono le faccende domestiche per almeno ventun ore a settimana, una quantità di tempo che può avere un impatto negativo sulla scolarizzazione. Allo stesso modo, le donne impegnano da due a dieci volte di più del loro tempo per l’assistenza non retribuita e il lavoro domestico rispetto agli uomini.
Come dice Gaiaschi, non essendoci una predisposizione naturale per certi compiti, le abitudini possono cambiare. In alcuni contesti ci sono già dei segnali in questo senso. Un articolo di «The Guardian» riporta che, nel Regno Unito, le donne impiegate nel settore sanitario (rappresentano la maggior parte della forza lavoro), nel corso dell’ultimo anno, a causa della pandemia, sono state costrette a stare lontane dalle loro famiglie. Questa situazione ha obbligato i loro partner a farsi avanti in casa. Un cambiamento che potrebbe diventare duraturo, anche dopo l’emergenza. Secondo Dan Carlson, sociologo dell’Università dello Utah, in Canada, Germania, Turchia e Olanda gli uomini stanno contribuendo il doppio di prima alla cura della casa e della famiglia. Le scuole chiuse e lo smart working, hanno portato i padri a rendersi conto del «lavoro nascosto». Hanno stabilito relazioni più profonde con i figli, in modi diversi da prima, quando sembravano mancare le possibilità. Stando al parere di vari esperti, c’è chi non vorrà tornare indietro alla divisione stereotipata dei ruoli di genere.