Incontro

Martedì 28 marzo, alle 18.30, avrà luogo una conferenza pubblica con la ginecologa Claudia Canonica e il dottor Alessandro Santi del Centro Cantonale di Fertilità ORL Vedi link: https://bit.ly/3T7jXVR


Il desiderio di avere un figlio

Medicina - L’orologio biologico è sempre meno ascoltato perché si trova a fare i conti con le priorità della vita
/ 20.03.2023
di Maria Grazia Buletti

Il rapporto con il desiderio di genitorialità, oggi, è inevitabilmente più complesso di un tempo a causa di una maggiore consapevolezza, ma non solo: è ampio il ventaglio di ragioni soppesate dalla donna e dalla coppia prima di pensare davvero a un figlio. «La donna tende ad aspettare finché non termina gli studi, dando la priorità all’indipendenza economica e alla carriera, con l’obiettivo di programmare una gravidanza quando ha raggiunto una stabilità. Si aspetta l’uomo giusto o il momento giusto anche se, alle pazienti che me lo chiedono, rispondo che non ci sarà mai un momento giusto razionale, perché il corpo non ha nessuna intenzione di aspettare e dopo i 35 anni per la donna le possibilità biologiche di procreare cominciano a diminuire». Queste le parole della ginecologa (primario all’ORBV) Claudia Canonica, a sottolineare che avere un figlio non può essere solo il frutto della ragione o di una decisione ben ponderata, perché si potrebbe pure perdere il treno.

L’orologio biologico della donna è, infatti, «a termine» e il desiderio di maternità è qualcosa che irrompe nella vita e nella mente della coppia anche quando non tutto è perfetto: «Bisogna ricordarsi che gli ovociti non aspettano né il momento giusto, né il partner giusto e tantomeno la chimera del contratto a tempo indeterminato». La specialista osserva altresì che «le donne oggigiorno sono più in forma e più curate rispetto alle loro coetanee di 30-40 anni or sono. Una quarantenne di oggi non è paragonabile a quella di un tempo: le sue condizioni fisiche permettono di sopportare meglio una gravidanza».

Ma non bisogna dimenticare che il periodo fertile della donna rimane biologicamente lo stesso: «Le difficoltà di concepimento delle donne aumentano con l’avanzare dell’età, in quanto la qualità degli ovuli femminili diminuisce con l’invecchiamento e dopo i 35 anni le chances di procreare diminuiscono». Ne risulta che non sempre il percorso verso la maternità e il bambino sia una strada facile o immune da difficoltà, e non solo per i fattori legati all’età: «Se nel primo anno di tentativi una donna non riesce a rimanere incinta, le ragioni possono essere molteplici: oltre all’età, le cause più comuni relative alle donne riguardano un’ostruzione delle tube di Falloppio, un’ovulazione irregolare o assente, l’obesità o il fumo. Senza però dimenticare le malattie sessualmente trasmissibili, come ad esempio la clamidia, che negli ultimi anni stanno aumentando e per proteggersi dalle quali basterebbe usare il preservativo, soprattutto con partner occasionali».

Emerge l’aspetto della banalizzazione di questo tema da parte dei giovani: «Non si parla più abbastanza di malattie sessualmente trasmissibili come AIDS, sifilide, gonorrea e clamidia. Bisogna far comprendere ai giovani che queste infezioni, oltre a essere pericolose per la salute in generale, possono causare problemi di sterilità come la chiusura delle tube». Ad ogni modo, a un certo punto, se un figlio non arriva è il caso di cominciare a interrogarsi: «La maggior parte delle coppie fertili riesce ad avere una gravidanza nell’arco di un anno se i rapporti hanno una frequenza settimanale soddisfacente. Dopo questo ragionevole tempo di attesa, la donna arriva da noi spesso incentrata su sé stessa, colpevolizzandosi e sentendosi difettosa, senza considerare che anche il compagno potrebbe avere un problema di fertilità da investigare».

Il dottor Alessandro Santi del Centro Cantonale di Fertilità EOC indica che gli aspetti salienti legati alla difficoltà di procreazione sono sostanzialmente due: «Al netto delle problematiche legate all’età della donna, è tutt’altro che raro trovare un problema nell’uomo per il quale, soprattutto negli ultimi anni, si è riscontrata una quantità e una qualità diminuite dello sperma, anche se le ragioni di questa tendenza non sono univoche né facilmente sondabili. Ad ogni modo, affinché un uomo sia fertile, il suo liquido seminale (ndr: sperma) deve essere pronto ad assolvere alla sua funzione: raggiungere l’ovulo e fecondarlo».

Un processo che a prima vista potrebbe sembrare più semplice di quello legato alla fertilità femminile, ma il nostro interlocutore pone l’attenzione sul fatto che anche la fertilità maschile deve soddisfare scrupolosamente specifiche condizioni senza le quali non si riesce a procreare: «Fra queste, la sufficiente produzione di spermatozoi funzionanti che si muovano nel modo giusto, così come il liquido seminale che li favorisce nel raggiungimento dell’ovulo».

Come la sterilità femminile, anche quella maschile può avere diverse origini: «Dalla scarsa produzione di spermatozoi, alle loro caratteristiche inadeguate, problemi ormonali, oppure fattori relativi allo stile di vita come fumo, età, stress e via dicendo». Sebbene l’impossibilità di rimanere incinta sia un sintomo importante, la sterilità può essere diagnosticata solo da un ginecologo per la donna e da un andrologo per l’uomo.

A questo punto si potrebbero aprire le strade per una fecondazione in vitro che, spiega Santi, può offrire due vie. La prima è «l’inseminazione intra-uterina (il seme viene iniettato all’interno dell’utero della donna, per un concepimento naturale (ndr: è riconosciuto dalle assicurazioni malattia), la cui riuscita è circa del 20%, molto vicina a quella naturale». Mentre una seconda possibilità è data dalla fecondazione in vitro: «Si raccolgono gli ovuli che saranno fecondati con gli spermatozoi in laboratorio dove si svilupperà in vitro l’embrione sull’arco di cinque giorni, periodo di tempo che ci permette di constatarne la sopravvivenza (di norma sopravvive solo 1 su 5 che viene poi trasferito nell’utero della donna). La percentuale di successo dipende molto dall’età: 40% nelle più giovani, 30% attorno ai 38 anni e 5% per le donne sui 42 anni».

Un trattamento, quello in vitro, non riconosciuto dalle assicurazioni malattia, «per il quale bisogna considerare un costo di circa seimila franchi a ciclo, farmaci compresi». Quest’ultima soluzione è senza ombra di dubbio una via molto impegnativa in termini psicologici, sanitari ed economici. Per questo, il dottor Santi ricorda un’ultima cosa da non sottovalutare: «Alla fine, è sempre la natura a determinare se si diventa mamma o no: nella vita come in questi percorsi di fecondazione assistita, più del 50% delle probabilità resta proprio nelle mani della natura».

Una grande maestra che, col suonare dell’orologio biologico, ricorda alla donna quando sarebbe bene lasciarsi andare al progetto di maternità e paternità.