Il clown che scaccia la paura

Marco Rodari è un clown che frequenta le zone più difficili del Medio Oriente per portare un po’ di gioia ai bambini. È stato a Biasca il 10 novembre a presentare il suo primo libro
/ 21.11.2016
di Sara Rossi Guidicelli

Fa ridere. Sembrerà banale come descrizione di un clown, ma Marco Rodari, detto il Pimpa, fa veramente ridere. Un giovedì di novembre lo ha passato interamente alle Scuole elementari di Biasca: la mattina ha istruito le quinte su certi giochi di prestigio e al pomeriggio, una dopo l’altra, queste classi hanno proposto lo spettacolo ai bambini di terza e quarta dell’istituto... che si sono sbellicati dalle risate, insieme alle maestre. Il Pimpa faceva ridere più di tutti. Ma non solo: le magie erano «vere», cioè non se ne capiva il trucco. Si rideva e si restava sbalorditi, si rideva e si restava sbalorditi, come un tic tac senza sosta.

Pimpa viene da un soprannome di famiglia; Marco Rodari è di Leggiuno, in provincia di Varese, e parla un dialetto vicino al nostro. Ha circa quarant’anni e di professione è mago e clown. Ama l’Africa, il Medio Oriente, i bambini, gli esseri umani. Dieci anni fa ha deciso per cosa vivere: per portare il sorriso nelle zone dove i bambini maggiormente rischiano di perderlo. Ha iniziato progetti in Giordania, nel sud dell’Egitto, in varie regioni dell’Iraq e della Palestina. Tramite il Vaticano ha ricevuto i permessi per andare a Gaza, a Baghdad, al confine con la Siria. Viene ospitato nelle parrocchie cristiane e poi lavora per tutti, senza altro credo che questo: «Se sei un bambino, gioco con te». Non ha opinioni politiche, ha vissuto la guerra, è diventato fratello di arabi, ebrei, musulmani, cristiani, genitori, preti, imam, professori, spazzini, disoccupati e soprattutto di tutti i bambini che ha incontrato.

Un libro racchiude alcune delle sue esperienze: dai 51 giorni di bombardamenti a Gaza che si è ritrovato a vivere, all’avanzata dell’Isis di cui è stato testimone nei suoi lunghi soggiorni in Iraq. La guerra in un sorriso, si intitola, e dopo la giornata nelle scuole di Biasca, lo ha presentato a un pubblico di adulti e adolescenti quella sera stessa, nell’aula polivalente delle Scuole Medie.

Il libro inizia così: primo giorno in ospedale, Gaza. Arrivano decine e decine di ambulanze che scaricano pezzi di uomo, di donna, di bambino. I medici si trovano a dover scegliere chi provare a salvare, e quindi chi lasciare morire. I corridoi sono intasati, i cadaveri non si riescono a portare fuori dall’ospedale, nessuno riesce più a pensare, a lavorare. A un certo punto da un’ambulanza scende una bambina. Cammina sulle proprie gambe. Ha una ferita all’addome, guaribile. Il chirurgo la opera. L’operazione riesce. Tutti finalmente sentono una soddisfazione che non credevano più possibile. Però. Però non è finita. La bambina non parla. Curate le ferite del corpo, restano le ferite dell’anima. 

Entra il Pimpa. Ha un naso rosso, niente altro. Forse un pezzo di carta, una cordicina, qualche piccolo minuscolo oggetto da mago. Le si avvicina in punta di piedi, lei lo guarda e sorride. Lui vuole giocare con lei, lei accetta. E ricomincia a parlare.

Questa, dice Rodari, è la clownterapia. Un naso rosso, tanta discrezione e il desiderio di scacciare la paura, almeno per un attimo; basta provarci insieme.

Marco Rodari ha fatto spettacoli con le bombe che cadevano a 200 metri e i bambini che gli dicevano: «Non ti spaventare, vai avanti!». La sera c’erano i blackout e il suo piccolo pubblico, paziente, aspettava. Cinque minuti di spettacolo, un’ora di pausa, un numero di magia, una mezzora di attesa... e i bambini pazienti, che già lo conoscevano, che lo vanno a cercare, che anno dopo anno sanno che torna e che li farà ridere e allora, se lo hanno aspettato sei mesi adesso si può anche aspettare che torni la luce, no?

Però non bisogna pensare che i bambini alla guerra si abituano, questo no. Nessuno si abitua alla guerra. «I bambini sono traumatizzati, magari lo si vedrà meglio quando saranno grandi, però abituati, no, mi fa arrabbiare chi dice così, come se per un bambino potesse essere normale non dormire di notte per il rumore delle bombe, vivere con i genitori disoccupati e angosciati, non poter andare a scuola tutti i giorni, non sapere se, quando tornano a casa loro, la casa c’è ancora». È vero, per un vecchio forse è peggio: se vede il suo mondo distruggersi, si dispera di più, perché sa di non avere tempo per ricostruirlo. Ma per nessuno, nessuno al mondo, la guerra diventa un’abitudine. 

I clown «sociali» sono seguiti da psicologi. Il Pimpa, in quella serata dagli occhi umidi a Biasca, racconta che non è per carità cristiana che fa il suo mestiere. È per quel sorriso della bambina con la ferita guaribile all’addome. E che andrà a Gaza, a Baghdad, ad Alessandria d’Egitto e forse in altri posti ancora, finché ne avrà le forze. Perché riuscire a regalare un attimo di spensieratezza in tutto quell’orrore, reca in sé la speranza di lasciare qualcosa di buono anche lì, per poter pensare, per una volta, che il futuro sarà migliore. Lui dice sempre ai bambini, ai giovani che incontra nei nostri Paesi fortunati: studiate quello che volete, scegliete il lavoro che più vi piace, ma quello che vi auguro è che in quel lavoro, ogni tanto, vi capiti di pensare «Ecco, dopo questa cosa bella che ho fatto, posso morire contento». 

Marco Rodari ha piantato dei semi, lì dove è stato e dove tornerà ancora: ha aperto delle scuole di magia. C’erano pagliacci, giocolieri, ragazzi che avevano voglia di imparare e che lui ha formato affinché possano a loro volta girare per le scuole, gli ospedali, gli istituti per disabili (o per bambini diversamente super-eroi, come li chiama lui) o anche semplicemente per le piazze e le strade.

Infatti lui sta là qualche mese, poi torna e poi riparte. E quando non è in Medio Oriente, il Pimpa torna in Italia e porta la sua esperienzaagli studenti, ma senza raccontarla come ha fatto in questa conferenza a Biasca: li fa lavorare, insegna loro qualche magia, monta in qualche minuto uno spettacolo esilarante e li prega di riproporre qualche numero quella sera, a casa, a genitori e fratelli. Poi mostra un video di pochi minuti, in cui le cosiddette bombe intelligenti sono cadute e hanno sbagliato obiettivo. E dice: «Imparate soprattutto a usare bene l’intelligenza, bambini. Non usate mai la vostra per costruire bombe. Perché una bomba intelligente, appena viene sganciata, diventa stupida». Un’altra cosa ci rivela il Pimpa: quando si tratta di magia, i bambini di Gaza ridono allo stesso modo dei bambini di Biasca o di qualsiasi altro luogo del mondo.