Il cervello illusionista

Neuroscienze e magia – Intervista a Luis M. Martínez, responsabile del laboratorio di Analogie visive dell’Istituto di neuroscienze di Alicante, sui meccanismi della mente sfruttati dall’illusionismo
/ 15.08.2022
di Stefania Prandi

Davanti a un gioco di prestigio, non è il nostro sguardo a essere ingannato, ma il cervello. C’è uno scarto di tempo tra ciò che osserviamo e l’elaborazione che ne fa la mente. Infatti, il cervello riceve le informazioni a intermittenza e, per costruire un’illusione di continuità, procede per deduzioni e anticipazioni degli eventi. I maghi approfittano di questa situazione. Prima rafforzano le nostre aspettative e poi ci stupiscono con un epilogo a sorpresa, che smonta le nostre previsioni iniziali. Per farlo seguono due regole inviolabili: non danno spiegazioni in anticipo su quello vedremo alla fine e non ripetono mai il trucco. Studiare la magia può aiutarci a capire i meccanismi nascosti della mente, secondo Luis M. Martínez, biologo, responsabile del laboratorio di Analogie visive dell’Istituto di neuroscienze di Alicante e Jordi Camí, medico, direttore del Parco di ricerca biomedica di Barcellona. Per spiegare come funzionano i nostri ragionamenti hanno scritto un libro, The Illusionist Brain (Il cervello illusionista), appena pubblicato dalla casa editrice Princeton University Press.

Professore Luis M. Martínez, come funziona il nostro cervello nella percezione di ciò che vediamo?
Percepiamo la realtà esterna adattandola a un modello interno sviluppato sulla base dell’esperienza e della conoscenza delle proprietà fisiche e relazionali del mondo. Questo modello interno è il risultato sia di informazioni accumulate nel corso dell’evoluzione come specie sia del nostro apprendimento culturale e del nostro vissuto. Percepire è quindi dare un senso alle esperienze, facendo previsioni e congetture coerenti nel tempo e per lo più simili a quelle degli altri esseri umani, dato che condividiamo tutti lo stesso mondo.

Nel libro scrivete che il nostro cervello fa sempre delle approssimazioni. Cosa intendete?
Anche se può sembrare un ossimoro, percepire significa prevedere ciò che si percepisce. Le informazioni esterne che filtriamo attraverso gli organi di senso ci aiutano a individuare gli errori che commettiamo nell’interpretare la realtà. Tramite questo procedimento, aggiorniamo il modello interno che ci permetterà di essere più precisi nelle nostre previsioni. Si tratta di un processo attivo, non passivo, con cui agiamo sul mondo per controllare e migliorare la qualità delle informazioni che riceviamo. La percezione non può essere intesa in modo isolato, come un prodotto esclusivo del nostro cervello, ma passa dall’intero organismo. Per comprenderla, e per capire come funziona la cognizione in generale, abbiamo bisogno di una concezione più ampia della mente. Oltre all’aspetto neuronale, vanno considerati sia gli elementi dell’ambiente sia le risorse e gli strumenti che utilizziamo e con cui interagiamo.

Come fa la magia a ingannare la mente?
Sfrutta il comportamento predittivo del cervello, la costante anticipazione della realtà, per interferire senza farsi notare, con la nostra elaborazione cognitiva. Quando un mago presenta un trucco, il pubblico lo interpreta in modo logico e molto prevedibile fino al momento del risultato imprevisto. Allora si verifica la grande sorpresa, l’errore eccezionale di previsione. La magia richiede un dialogo continuo tra il mago e il suo pubblico; è un processo molto dinamico di attenzione, inferenza e anticipazione. Un trucco di magia non è una semplice sequenza di gesti che manipolano oggetti, ma un insieme strettamente organizzato e integrato da comprendere nella sua interezza. I maghi ci ingannano perché abbiamo una conoscenza condivisa delle regole del mondo, della fisica dell’ambiente in cui viviamo e una profonda familiarità con le convenzioni umane e sociali. Crediamo di sapere esattamente cosa stanno facendo e cosa verrà dopo, come se fossimo noi stessi a condurre il gioco. Per riprendere le parole di Schopenhauer sulla musica, la magia «è una connessione intenzionale significativa dall’inizio alla fine». Fino a quando, naturalmente, il finale a sorpresa manda in frantumi tutte le nostre aspettative.

Che strategie usa la magia?
L’illusionismo, l’arte dell’impossibile, è fondamentalmente un’arte visiva. Gli illusionisti hanno imparato a gestire l’attenzione del pubblico sulla base di prove ed errori. In magia si chiama «distrazione». Sanno come interferire con la percezione, soprattutto attraverso l’occultamento e il camuffamento, che passano inosservati; condizionano, con diverse strategie, anche la memoria a breve termine e le decisioni istintive di chi li osserva. Nel gergo, si usa il termine «forzature». Esistono altre specialità della magia, come il «mentalismo», in cui l’esecutore gioca sulla credulità del pubblico e sembra possedere poteri soprannaturali. I mentalisti utilizzano le stesse tecniche dell’illusionismo, ma creano uno scenario artistico completamente diverso.

Che cosa ci rivela la magia?
Fa emergere l’elaborazione predittiva, automatica e inconscia del nostro cervello, che costituisce la maggior parte dei processi cognitivi. Questa capacità di anticipazione finisce per essere il cavallo di Troia grazie al quale i maghi creano effetti affascinanti e apparentemente impossibili. Inoltre, nella magia, le condizioni sociali, culturali e ambientali contano molto di più di quanto noi scienziati generalmente pensiamo. I maghi sanno che devono cambiare il tipo di trucchi a seconda del loro pubblico, se hanno di fronte a sé bambini, adulti oppure altri maghi. Sono consapevoli che un gioco di prestigio improvvisato in mezzo alla strada può essere molto più sorprendente di quello inserito in uno spettacolo a teatro. E hanno capito, durante il periodo della pandemia, che guardare la magia sul monitor di un computer non funziona come dal vivo. Lo schermo, infatti, impone una distanza non solo fisica ma anche concettuale. In assenza delle dinamiche create dalle interazioni sociali del mondo reale non ci può essere magia. Una grande lezione che dovremmo tenere in considerazione per migliorare i paradigmi sperimentali delle neuroscienze cognitive.