Impossibile ormai non conoscere il fenomeno, il difficile è capire come reagire. Prese in giro e umiliazioni ripetute contro il compagno di classe considerato più «sfigato»; sputi in faccia, spintoni, schiaffi, pugni e calci da presunti amici; video girati nei bagni della scuola e poi rilanciati su whatsapp per scatenare la derisione e l’isolamento; foto postate su Facebook con lo stesso fine. Così gli adolescenti (ma sempre più spesso anche i bambini) finiscono per sentirsi smarriti, sfiniti, distrutti nel corpo e nello spirito. Viviamo nell’Età dei bulli, diventata il titolo di un saggio appena uscito in libreria (ed. Sperling&Kupfer) e scritto dal pediatra Luca Bernardo e dalla psicoterapeuta dell’età evolutiva Francesca Maisano, entrambi della Casa Pediatrica dell’ospedale Fatebenefratelli di Milano, punto di riferimento in tutta Italia nella prevenzione e nella lotta del fenomeno. A Il caffè delle mamme l’argomento è consueto, la domanda è sempre la stessa: come possiamo proteggere i nostri figli dal bullismo? Aiutarli ad avere sufficiente autostima affinché non si ritrovino presi di mira; essere consapevoli dell’identikit delle possibili vittime; individuare i segnali dei ragazzi per capire quando qualcosa non va; sapere come intervenire: la sfida è difficile. A oggi si contano nel mondo circa 130 milioni di giovani coinvolti in casi di bullismo, di cui 17 milioni in Europa.
Nel film Wonder, adattamento cinematografico dell’omonimo bestseller di Raquel Jaramillo Palacio, a un certo punto il papà Nate invita il figlio, affetto dalla nascita da una grave anomalia cranio-facciale che gli è costata 27 interventi chirurgici, a togliere il casco da cosmonauta con cui nasconde il suo segreto: «Mi mancava guardare la tua faccia, Auggie. Lo so che a volte a te non piace, ma devi capire… io la amo». L’undicenne per la prima volta entrerà a scuola alle medie, non sarà risparmiato dagli atti di bullismo, ma alla fine la lezione di papà Nate servirà: la forza d’animo di Auggie conquisterà tutti. E, allora, far capire ai figli il messaggio del romanzo di James Lecesne dal titolo Trevor, non sei sbagliato: sei come sei è, forse, il più grande aiuto che possiamo dare loro.
Ne l’Età dei bulli Bernardo e Maisano individuano chi può essere preso di mira: la vittima spesso è cicciottella o, al contrario, troppo magra; molto alta o più bassa dei coetanei; portatrice di handicap; con gli occhiali o l’apparecchio per i denti; in arrivo da Paesi e culture lontani; troppo timida e silenziosa per sostenere lo sguardo degli altri. Non giocare a calcio, non vestirsi griffato, essere insicuri e troppo sensibili, sono tutte caratteristiche che possono scatenare la ferocia del bullo. Come possiamo accorgerci se nostro figlio è sotto attacco? «Ci sono segnali da non sottovalutare. Urla, pianti incontrollati, parolacce sono spie di un disagio che ogni genitore deve saper cogliere – scrivono Bernardo e Maisano –. Come l’incapacità del bambino di tenere a bada la propria rabbia, gli atteggiamenti aggressivi nei confronti di un genitore, l’eccessivo nervosismo, la mancanza di rispetto delle regole, il calo nel rendimento scolastico. A volte per i genitori è difficile ammettere che il figlio ha problemi, il rischio è di sottovalutare chiari e inequivocabili campanelli d’allarme: sintomi psicosomatici (come il mal di testa o il mal di pancia); il rifiuto della scuola, la mancanza di fame; uno stato d’animo insicuro e ansioso; disturbi del sonno».
È fondamentale intervenire per tempo: «Il bullismo, e questo va detto a chiare lettere, non si combatte da soli, bisogna stare uniti. Bisogna guardarlo in faccia e imparare a riconoscerlo fin dalle prime avvisaglie». Il suggerimento è di parlare, parlare, parlare, anche se la situazione è difficile: «Serve un’alleanza tra scuola, famiglia e società: solo così il bullismo perderà di forza e vigore». Cosa devono fare i genitori quando si accorgono che il figlio è vittima di bullismo? «Il primo passo è rivolgersi a persone esperte che prendono in carico la situazione – è il consiglio di Bernardo e Maisano –. Gli psicoterapeuti specializzati nell’età evolutiva sono in grado di lavorare con bambini e adolescenti non solo nel “qui e ora”, ma anche di ristabilire l’equilibrio perso analizzando le situazioni passate. Poi occorre parlare subito con l’insegnante, mettendolo al corrente di ciò che è stato scoperto, così che possa osservare meglio le modalità di relazione tra i compagni. Lo scopo è partire dalle relazioni più stabili dell’adolescente – che siano la famiglia, gli amici, il centro sportivo o l’oratorio – per fare leva su ciò che di buono è rimasto e aiutarlo a ritrovare autostima. È importante riuscire a fargli recuperare la fiducia in se stesso, a riconoscersi come persona meritevole di amore e attenzioni, a prendere le distanze da eventuali aggressioni future e ad abbattere il senso di vergogna e di colpa che non di rado li accompagna». Un ruolo fondamentale spetta alla scuola: «Gli insegnanti dovrebbero essere in grado di cogliere se all’interno di una classe si respira un’aria pesante, un clima negativo e porre attenzione alla sofferenza, spesso taciuta, dei singoli».