«La pescia l’è l’arbor dii dispiasée», rifletteva un vecchio forestale della Valle Blenio nell’Alto Ticino. Questo albero è, infatti, fonte di serie preoccupazioni per quanto riguarda il suo stato di salute e la sua stessa sopravvivenza sull’Altopiano svizzero, nelle Alpi, e nell’Europa centrale. Soprattutto in quei vasti territori europei dove è stato artificialmente piantato dall’uomo durante gli ultimi 200 anni, dopo avere distrutto la foresta primaria, formata di faggi, querce, olmi, aceri e frassini. È in seguito a questo massiccio intervento che l’abete rosso costituisce l’elemento dominante del paesaggio forestale attuale su superfici di migliaia di chilometri quadrati.
In epoca attuale, dalle peccete della Leventina fino alla Scandinavia nei territori non occupati dalle infrastrutture create dall’uomo, il bosco contiene anche monotone distese di abete rosso. Distese di alberi piantati con rigorosa geometria di militaresca concezione. Sotto l’energico impulso di potenti interessi economici, in passato l’impostazione della gestione forestale era volta all’imperativa coniferazione: piantare abeti, pini e larici. Questa politica attuata dapprima in Germania, era ripresa da tutti i Paesi del Centro Europa, fino nei Balcani. In tal modo, si era venuto a creare un proficuo sodalizio di interessi (Forst-Kapitalismus), che vedeva il potere politico (e quindi decisionale) dettare le regole del gioco attraverso la selvicoltura statale. Tale situazione si coniugava con il potere di influenti produttori e mercanti di legname.
L’abete rosso, con la sua struttura lineare, i tronchi privi di nodi, la relativa rapida crescita, era (ed è) l’albero ideale per una fiorente industria forestale. La selvicoltura classica dovrebbe rispettare le esigenze della Natura nel suo complesso (il concetto di ecosistema forestale). Ma non è così, quando essa asseconda soltanto gli interessi economici, cioè lo sfruttamento intensivo del bosco, e non la sua salvaguardia, e il suo razionale e compatibile utilizzo. A questo proposito, grande è il dissenso dei selvicoltori e dei mercanti di legname in merito alla proposta del governo tedesco di mettere sotto integrale tutela il cinque per cento della superficie forestale della Germania (Wohlleben, 2017).
Per fortuna, il cambiamento climatico in atto consente di arginare il massiccio impianto di abeti rossi, pini e larici. Faggi e querce sono fisiologicamente attrezzati per affrontare i cambiamenti climatici. Invece, saranno le specie non indigene (allòctone) come le conifere, già problematiche a basse quote, che saranno in difficoltà per sopravvivere. Il quadro climatico che favoriva l’impianto dell’abete rosso (Picea abies) ai primordi della massiccia coniferazione, era caratterizzato dall’avvento della «piccola era glaciale» (1450-1850). Quattrocento anni in cui le estati furono più fredde, gli inverni più nevosi e i ghiacciai alpini ebbero un notevole sviluppo, con drammatiche conseguenze per la vita e le attività umane: abbandono delle alte terre messe a coltura e utilizzate per la pastorizia durante diversi secoli, cessazione dei proficui traffici attraverso gli alti colli delle Alpi occidentali, l’abbandono dei canali faticosamente costruiti per l’irrigazione. Molti fattori minacciano attualmente il bosco nella sua interezza. Innanzitutto, gli ossidi d’azoto rilasciati da milioni di veicoli (nonostante i catalizzatori), a cui fanno seguito gli spargimenti di liquami con i trattori, i gas intestinali generati dal bestiame, i concimi azotati, usati dall’agricoltura. Tutto questo va a formare una pioggia di ammoniaca, che ricade nel bosco, e che oltre agli acidi, fa assorbire a ogni albero abbondanti quantità di azoto. Infine, va annoverato anche il danno prodotto dalle macchine impiegate per la raccolta del legname, che schiacciano le radici superficiali, caratteristica morfologica dell’abete rosso. Lo stato di sofferenza è una costante per l’abete rosso che, lontano dalle sue terre d’origine, patisce il caldo (foto) e la siccità. Nonostante la notevole «plasticità ecologica», espressa attraverso la varietà di adattamento morfologico, questo albero non può tollerare, oltre una certa soglia, i limiti fisici che gli consentono di vivere in buone condizioni. Segni incipienti di deperienza sono palesati dall’eccesso di traspirazione, dallo scoppio dei canali resiniferi per i colpi di calore, dall’abbondante formazione di pigne (stròbili), detta «pasciona». Sono tutti sintomi di debolezza, che favoriscono l’insorgere di patologie: funghi, bostrici, insetti defogliatori, e succhiatori (afidi). Picea abies, e il fratello Picea obovata (entrambi abeti rossi), hanno una differente struttura e architettura. Ricordando che il loro apparato radicale superficiale è protetto nella loro patria d’origine con un materasso di muschi, rododendri e mirtilli. Questa caratteristica evidenzia l’assenza di violenti venti.
A seguito della differente qualità e quantità della copertura nevosa, Picea abies ha una ramificazione prevalentemente orizzontale per sopportare il peso della neve: i rami più elevati poggiano su quelli più bassi, conferendo all’albero il suo caratteristico aspetto piramidale. Per contro, Picea obovata, il nome è evocativo, ha una ramificazione meno sviluppata verso il basso, per evitare i freddi intensi prossimi al suolo. Diverse sono le cause che provocano la progressiva deperienza e morte di questi alberi. Cause fisiche: incendi, eccesso di calore, siccità. Cause traumatiche: vento, fulmini, alluvioni, frane. Trentacinque specie di coleotteri scolitidi (bostrici) sono infeudate all’abete rosso nell’Eurasia. Esse popolano l’albero nelle sue differenti parti in funzione dell’altezza (v. disegno): dalle radici fino ai rami più alti, magari a 40 m d’altezza. Ciò che permette un razionale e non conflittuale utilizzo del substrato organico da parte degli insetti. I «bostrici» sono dunque la conseguenza e non la causa della morte dell’abete rosso!
Che tempo fa in Siberia? Non è una terra per alberi e uomini deboli. La taiga siberiana, la più vasta superficie forestale esistente sulla Terra con i suoi sei milioni di chilometri quadrati, è formata di abeti rossi, pini e larici, secondariamente di pioppi tremuli, sorbi e betulle. Quali sono le caratteristiche climatiche di questa imponente e ininterrotta foresta? Essa conosce innanzitutto la più elevata escursione termica registrata a livello mondiale, pari a 60°C/70°C, e cioè la differenza tra la temperatura media estiva (pari a +10°C) e quella minima invernale (–50°C, con valori estremi di 70/80 gradi sotto zero). Per confronto, l’escursione termica a Faido in Leventina è pari a 14°C, e quella di Aosta a 22°C. Le precipitazioni (pioggia + neve) sono modeste. 200-250 millimetri annui, compensate da un elevato tasso di umidità atmosferica durante il corto periodo estivo.
Una prolungata presenza della neve al suolo: da ottobre a giugno. Una differente qualità della neve, presente sotto forma di ammassi di cristalli di ghiaccio. 20-30 centimetri originati soltanto da qualche sporadica nevicata. Da confrontare con le più o meno numerose nevicate che si succedono nel corso della stagione in Scandinavia, nell’Europa centrale e sulle Alpi.
Queste cifre fanno riflettere sull’entità delle sollecitazioni fisiologiche alle quali è sottoposta la vita degli alberi. È evidente la notevole differenza dei fattori climatici e quindi ambientali, che conosce l’abete rosso in Siberia e nelle regioni europee. Qui, tempi grami lo attendono.
Bibliografia
Paul Gensac, Les pessières de Tarentaise comparées aux autres pessières: alpestres, In: Vegetation und Flora der Westalpen. (Veröffentl. Geobotan. Institut der EFT, Stiftung Rübel (Zürich 1970, 43:104-139.
Schmidt Vogt, Die Fichte, Paul Parey Verlag (Hamburg), 1977, 2 vol.
Peter Wohlleben, La saggezza degli alberi, Garzanti Editore (Milano) 2017, 209 pp.

(Alessandro Focarile)

II boreale abete rosso soffre il caldo
Clima - Il surriscaldamento terrestre consente di arginare il massiccio impianto di abeti rossi, pini e larici, a favore dei nativi faggi e querce, fisiologicamente meglio attrezzati
/ 13.04.2020
di Alessandro Focarile
di Alessandro Focarile