Litigi e conflitti a scuola fanno parte della quotidianità. Per risolverli i ragazzi sono stati abituati a rivolgersi ad un adulto di riferimento. Ma cosa succederebbe se cercassero di venirne a capo tra di loro, in presenza di un coetaneo nel ruolo di mediatore? «Rivolgersi al docente vuol dire delegare, non essere cioè parte della soluzione. Se invece un ragazzo sperimenta che è possibile dare il proprio contributo per risolvere un problema, acquisisce una competenza sociale che sarà un bagaglio per la vita. Dal canto suo, il mediatore impara a fare un passo indietro rispetto alla propria impulsività e ad essere rigoroso, competenze anche queste che potrà applicare in svariati ambiti», afferma Magda Ramadan, psicopedagogista specializzata in mediazione familiare e comunitaria.
L’approccio descritto è quello del programma di mediazione scolastica tra pari Peace-Force®, elaborato nel 2000 dallo psicopedagogista Roland Gerber con lo scopo di fornire agli allievi di un istituto di Basilea gli strumenti per gestire i conflitti a scuola. Dopo due anni di sperimentazione, il progetto è entrato a pieno titolo a far parte del programma educativo dell’istituto basilese, frequentato da ragazzi del quinto, sesto e settimo anno di scuola dell’obbligo. Nel 2006, lo psicopedagogista sistematizza la sua metodologia e pubblica il manuale Schüler schlichten Streit («I ragazzi dirimono i conflitti»), il cui successo porta Peace-Force a oltrepassare i confini elvetici. «Il sistema elaborato da Gerber può essere adattato a varie fasce d’età. Nella Svizzera interna degli allievi, formatisi al metodo durante le scuole medie, lo hanno riproposto al proprio datore di lavoro; esso è inoltre applicato in alcune scuole elementari e suscita l’interesse delle professionali», aggiunge Magda Ramadan.
Peace-Force® si inserisce nel filone dei progetti di «peer-mediation», ossia progetti mediativi tra pari che, è dimostrato, a medio/lungo termine possono influenzare il clima scolastico, sviluppando apertura e tolleranza, sgravando il corpo insegnante dalla gestione di conflitti ordinari e fornendo agli allievi competenze sociali che li aiuteranno nelle relazioni con i pari. Fondamentali sono però il coinvolgimento delle parti in causa, allievi ed insegnanti, e la disponibilità a «tenere» nel tempo.
«In Ticino, nel 2012, è partita una sperimentazione del progetto presso la scuola media di Chiasso», spiega Ramadan, che ha svolto una formazione in mediazione scolastica, redigendo la relativa tesi su Peace Force®. Il fatto che nella cittadina il progetto sia tuttora attivo, dimostra come questa prima esperienza sia stata positiva. «Nel nostro Cantone attualmente Peace Force® è presente pure nelle scuole medie di Massagno, Tesserete, Barbengo, Camignolo e Gravesano», continua. Il programma di mediazione scolastica ha dunque trovato terreno e, da qualche anno, il DFA della SUPSI propone un corso di formazione destinato ai docenti di scuola media ad esso interessati.
Strumento di risoluzione di conflitti, la mediazione rappresenta la volontaria interazione tra due parti che, per superare l’impasse, vogliono sviluppare una soluzione condivisa, coadiuvati da una terza parte neutrale, che si incarica, in maniera qualificata, della conduzione del colloquio. In ambito scolastico, obiettivo della mediazione è rendere i ragazzi capaci di cooperare e responsabili della ricerca di soluzioni. «Una delle peculiarità del progetto di Gerber è quella di sollevare gli adulti dal dover intervenire per sedare liti e piccole conflittualità, mentre spesso gli allievi tendono a cercare nell’insegnante il ruolo di mediatore, non assumendosi di fatto le responsabilità di essere parte nel conflitto», commenta Magda Ramadan, attiva alla Supsi come responsabile della formazione di base e Master presso il Dipartimento formazione e apprendimento.
Gli insegnanti responsabili di Peace Force® dapprima formano gli allievi; successivamente li accompagnano attraverso dei colloqui di supervisione. «Di ogni mediazione viene redatto un verbale che i docenti responsabili possono visionare per capire se vi sono state delle difficoltà. Ci sono poi degli incontri regolari con il gruppo dei mediatori durante i quali si discute e vengono, per esempio, analizzate delle situazioni critiche – spiega Magda Ramadan – Va puntualizzato che i mediatori sono scelti dagli allievi». Ogni anno, infatti, per ogni di fascia di classe, vengono identificati quattro ragazzi, in genere due femmine e due maschi, che, secondo i loro compagni, hanno le potenzialità e le caratteristiche per diventare mediatori. Questo è importante anche perché, qualora decidessero di tentare la via della mediazione, saranno gli allievi a scegliere a quali mediatori rivolgersi. Unico vincolo, i mediatori non possono appartenere alla stessa classe dei litiganti e nemmeno essere troppo prossimi a loro, per amicizia, parentela o perché si praticano le stesse attività extra scolastiche.
«Gli allievi così scelti, se ricevono l’autorizzazione dei genitori, cominciano la formazione, che dura una decina di ore», aggiunge Magda Ramadan. Durante gli incontri formativi si ricorre spesso alle simulazioni, che consentono ai ragazzi di sperimentare diverse situazioni ed esercitarsi nella gestione della mediazione, con i suoi strumenti e le sue regole, e nella redazione dei verbali. «I ragazzi che decidono di formarsi sottoscrivono un contratto, per cui si impegnano ad attenersi ad un codice deontologico, e restano in carica fino alla conclusione delle medie. C’è quindi un investimento da parte di questi giovani – aggiunge la formatrice Peace Force® – d’altra parte, essi ricevono un attestato, che potranno aggiungere al proprio curriculum».
Uno strumento caratterizzante del progetto di mediazione di Roland Gerber è il «sistema delle carte». Sulle carte Peace Force® sono elencate le domande che i mediatori devono porre alle parti e sono esplicitate le regole da rispettare durante la mediazione. Essendo numerate, esse permettono poi ai mediatori di verificare costantemente in quale fase del processo ci si trovi. In questo modo lo psicopedagogista basilese evita volutamente ai ragazzi un approfondimento delle proprie motivazioni, e dei sentimenti ad esse connessi, perché questo, secondo l’autore, rischierebbe di rallentare, quando non di inibire, la ricerca di una soluzione. Le carte, guidando il processo mediativo, ne determinano una forte ritualità e linearità. «Se lo svantaggio può apparire la rigidità, il vantaggio è che il mediatore non rischia di essere tentato di dare il proprio contributo», commenta Magda Ramadan. Il suo compito è infatti di stare nel mezzo e rendere possibile la connessione tra i soggetti. «Dando di volta in volta la parola a uno e all’altro, permette ai litiganti di trovare uno spazio di espressione», aggiunge la docente senior. I mediatori vengono così formati ad una cultura mediativa, con ricadute sugli allievi che fruiscono del loro aiuto e ripercussioni, a monte, sui docenti formatisi secondo il metodo Peace Force®. «Nell’epoca dell’apprendimento per competenze e della formazione di competenze trasversali, ritengo che il progetto Peace Force® rappresenti un ottimo strumento», commenta Magda Ramadan.
Ma a quale tipo di problema si applica questo strumento? «C’è una regola secondo cui la mediazione può avvenire quando “non è stato versato del sangue”; detto in altri termini, se c’è stata della violenza fisica è giusto che intervenga un adulto. Lo stesso vale se ci sono dei danni pecuniari importanti», spiega la formatrice Peace Force®: «in genere i ragazzi si rivolgono ai mediatori per conflitti avvenuti durante la ricreazione o il tragitto scuola-casa. Si tratta di problemi che a noi adulti possono apparire banali, ma che per chi li vive sono importanti». Del resto, per Peace Force® non è il contenuto quello che conta. «Il nostro approccio, bagaglio della società in cui viviamo, è quello di andare alla radice dei problemi. Questo però ci porta nel passato e spesso richiede dei tempi lunghi di elaborazione», spiega Magda Ramadan, «se invece mi dico “adesso sto male ma voglio stare meglio”, guardo avanti, ed è qui che la mediazione tra pari diventa interessante: io permetto a te di capire come mai sono stato male e tu permetti a me di capire perché sei stato male e questo consente di trovare un accordo, anche semplice, ma che porta ad allentare le tensioni e stare meglio. A volte basta davvero poco».
Alla base della mediazione, come detto, c’è un atto volontario e condiviso. «Si tratta di un primo, importantissimo, passo, che può venir suggerito dagli adulti – genitori o insegnanti – i quali devono imparare a non voler essere sempre al centro della soluzione ma piuttosto ad aiutare i ragazzi ad acquisire uno strumento di autonomia», conclude Magda Ramadan.