I muscoli producono ormoni

Salute - Scoperte una ventina di anni fa, le miokine dei muscoli possono influenzare le funzioni di molti organi
/ 05.09.2022
di Sergio Sciancalepore

La ricerca medico-biologica è in grado di svelare inattesi collegamenti tra organi o parti degli organismi. È il caso, fra i tanti, del ruolo dei batteri e di altri microrganismi che popolano l’intestino (il cosiddetto «microbiota»), in grado di influenzare il funzionamento del sistema nervoso o di quello immunitario, una relazione fino a non molti anni fa ritenuta impossibile o almeno improbabile e che viene, al contrario, confermata da migliaia e migliaia di ricerche. Un altro esempio di cross-talk (in inglese, letteralmente «parlarsi in modo reciproco» o meglio «interferire, influenzarsi a vicenda») che appare sempre più evidente è quello che coinvolge i muscoli e numerosi altri organi o funzioni.

Si riteneva infatti che i muscoli dello scheletro (i cosiddetti muscoli «striati» per come appaiono al microscopio) avessero un collegamento, una relazione con le ossa – alle quali sono inseriti – e con il cervello dal quale, tramite i nervi, ricevono gli impulsi, l’«ordine» di contrarsi o di rilasciarsi e al quale mandano informazioni circa il lavoro che stanno compiendo.

Nel corso di una ventina d’anni di ricerche, appare sempre più evidente che i muscoli sono anche dei veri e propri organi endocrini, in grado cioè di produrre diverse sostanze che sono poi immesse nel sangue e che, in tal modo, possono raggiungere altri organi più o meno distanti e influenzarne il funzionamento. I muscoli quindi producono ormoni, proprio come fanno, per esempio, la tiroide o il pancreas. Gli ormoni prodotti dai muscoli sono le «miokine»: finora ne sono stati scoperti alcune decine, di diverso tipo (e siamo solo all’inizio!) che influenzano le funzioni del cervello e delle ossa, dell’intestino, del tessuto adiposo, del fegato, del sistema immunitario, persino della pelle e altro ancora. Per motivi di spazio, limitiamoci a considerare alcune «relazioni» che fino a questo momento sono confermate dalla ricerca.

Diverse miokine sono coinvolte nella regolazione della massa muscolare con un’azione – in questo caso – «locale» e non a distanza. Sono note già da tempo due miokine con azioni opposte: l’interleukina IL-6 (ma potrebbero essercene altre, con un meccanismo d’azione simile) ha una funzione anabolica, cioè favorisce lo sviluppo muscolare, mentre la miostatina limita questo sviluppo per evitare che il muscolo diventi ipertrofico. La produzione e la concentrazione nel sangue dell’IL-6 aumenta in risposta alla contrazione muscolare, in particolare aumenta significativamente a seguito dell’esercizio fisico e precede la comparsa in circolo di altre miokine: la sua funzione non è solo quella di aumentare la massa muscolare, ma anche di aumentare l’apporto di sostanze nutritive al muscolo. La miostatina, prodotta in seguito, limita lo sviluppo della massa muscolare.

Nel linguaggio comune, si dice che quando si fa esercizio fisico si «bruciano» i grassi (non solo gli zuccheri), cioè li si trasforma in energia per il movimento: anche in questo caso, le miokine (in particolare la IL-6) hanno un ruolo importante, in quanto aumentano la lipolisi e la ossidazione dei grassi per produrre energia. In che modo? Il tessuto adiposo dei mammiferi è costituito dal cosiddetto «grasso bianco» che è il principale deposito del grasso: c’è poi l’altra componente, il «grasso bruno» per via del suo colore: il grasso bruno non ha una funzione di deposito, è il luogo dove i grassi sono trasformati in energia. A seconda delle necessità, il grasso bianco diventa bruno ed è possibile anche la trasformazione inversa, se la funzione di deposito è superiore a quella di energia: la IL-6 prodotta dal muscolo scheletrico stimola la trasformazione del grasso bianco in quello bruno e quindi la produzione di energia.

Se le miokine prodotte dall’esercizio fisico favoriscono la produzione di energia, contribuiscono anche a regolare la quantità di grasso bianco che – in caso di inattività fisica – tende ad accumularsi a livello addominale. È noto già da tempo che l’eccesso di grasso addominale e la conseguente obesità o sovrappeso, aumenta il rischio di ammalarsi di diabete di tipo 2, di malattie cardiovascolari e neurodegenerative e altre ancora. La causa – anche questa nota da tempo – è che l’eccesso di grasso bianco addominale determina un aumento di produzione di sostanze pro-infiammatorie che mantengono uno stato di infiammazione cronica generalizzata, di basso livello: nel tempo, questa condizione, favorisce le malattie sopra ricordate. Le miokine prodotte durante l’esercizio fisico, anche quello moderato in associazione con un’alimentazione corretta, sono in grado quindi di contrastare l’infiammazione cronica. Si dirà: ma se corro o pedalo poi mi viene fame! Vero, ma le miokine (in particolare la IL-6) sono in grado di rallentare lo svuotamento dello stomaco, quindi favoriscono il senso di sazietà e il controllo della glicemia post-prandiale, evitando i dannosi «picchi» di glicemia che predispongono al diabete.

Le miokine possono influenzare il funzionamento del cervello, addirittura modificarne (almeno in parte) la struttura? È probabile e questa ipotesi, confermata da ricerche recenti, apre nuovi inaspettati, orizzonti. Che l’esercizio fisico, anche quello moderato, abbia benefici non solo psicologici o mentali è ben noto: migliora le abilità cognitive, ha un’azione anti-stress e anti-ansia, risulta persino benefico come cura complementare in caso di depressione. Esperimenti recenti condotti anche sull’uomo hanno mostrato che una parte del cervello – chiamata per la sua forma ippocampo, struttura fondamentale per la memoria – può essere modificata dalle miokine. Si è visto che dopo tre mesi di costante esercizio aerobico (per esempio, pedalando) il volume dell’ippocampo è aumentato, in individui sani, di ben il 12 per cento: il meccanismo proposto dai ricercatori è che le miokine siano in grado di penetrare nel cervello, stimolando la produzione di un fattore di crescita cerebrale, il Brain-derived neurotrophic factor (BDNF). Quanto dimostrato per l’ippocampo potrebbe valere anche per altre aree del cervello.