«Per aspera sic itur ad astra»: attraverso l’asperità si arriva alle stelle. Questo era il pensiero di Seneca, già ben consapevole di come le difficoltà fossero in grado di forgiare il carattere di un essere umano. Un principio dalla valenza universale: pensiamo ad esempio al diamante che si forma nelle viscere della Terra da materia sottoposta a pressioni inimmaginabili. Le specie animali sopravvivono adattandosi alle difficoltà del loro ambiente, e l’uomo non fa certo eccezione: asperità, difficoltà e ostacoli vanno affrontati e non rifuggiti perché proprio gli ostacoli incontrati sul nostro cammino ci hanno permesso di sviluppare esperienza e senso di responsabilità senza il quale la specie umana si sarebbe verosimilmente autodistrutta.
Pensiamo alla storia che racconta di un contadino seduto sotto un albero che vede un bozzolo con un piccolo buchino attraverso il quale intravvede una piccola farfalla che si dimena con tutte le sue forze. Osserva che i suoi eroici sforzi producono minimi progressi. Impietosito, con un coltellino da lavoro allarga delicatamente il buco del bozzolo finché la farfalla ne esce senza alcuno sforzo. Una buona azione, potremmo pensare. E invece no: la farfalla non ha lottato a sufficienza per sviluppare muscoli abbastanza forti per poter volare e, dopo numerosi tentativi, rimane a terra a soli pochi centimetri dal bozzolo, incapace di fare ciò per cui la natura l’aveva fatta nascere. Il contadino si rende conto di aver preso una decisione infelice, e soprattutto capisce che solo attraversando le difficoltà la natura ci rende più forti e degni di realizzare il nostro cammino. Questo aneddoto è accompagnato da concetti come volontà, forza di volontà, decisione, comportamento.
E giungono inevitabili le domande: che cosa determina il nostro comportamento? Perché facciamo quel che facciamo? Come lo decidiamo? Lo decidiamo noi? Cos’è la volontà? «Non illudiamoci di sapere tutto: la volontà è mossa dalle nostre cellule cerebrali, anche se abbiamo l’illusione che siamo noi a decidere. E possiamo definirla come una bilancia fra il bene e il male», incontriamo il professor Arnaldo Benini, reduce dalla sua ultima pubblicazione La neurobiologia della volontà (Raffaello Cortina ed.), non per recensire il suo libro, ma per una chiacchierata sul filo dell’intreccio tra neuroscienza e filosofia, alla ricerca di una risposta. Quella spiegazione che chiarisca che cosa determina per davvero il nostro comportamento.
Benini ci mette, però, in guardia: «Questo genere di dilemmi non avrà mai una vera risposta, perché il cervello non sarà mai in grado di studiare davvero sé stesso. “Che cosa sono io?”, si chiede, ma esso rimane all’interno di un’autoreferenzialità che gli impedisce di conoscersi alla perfezione, semplicemente per il fatto che un meccanismo può essere compreso soltanto da un altro più complicato di lui. E di più raffinato del cervello non c’è nulla». Non sapremo mai cosa sia davvero la coscienza, secondo Benini che cita il fisiologo tedesco dell’Ottocento Emil Heinrich Du Bois e il filosofo Francis Bacon che nel Seicento ha iniziato a studiare la scienza come tale, giungendo alla conclusione che «la sottigliezza della natura è infinitamente superiore a quella della mente e non ci possiamo illudere che la mente possa capire fino in fondo la natura».
Per dare risposta al dilemma su cosa determini il nostro agire, dunque, si possono solo ipotizzare due soluzioni «che non hanno nulla in comune fra loro»: «L’anima o il cervello: l’una o l’altra determinano quel che facciamo. Ma non esiste una risposta definitiva, questo limite conoscitivo è ben noto agli scienziati e ai ricercatori, consapevoli che la ricerca non riuscirà mai a spingersi oltre certi limiti».
Sulla fede religiosa il professore non si dice in sintonia: «Non riesco a capacitarmi dell’esistenza di un Dio che permetta alla nostra anima di decidere di commettere il male tremendo di cui si sa macchiare l’umanità». Scartata l’anima, rimane il cervello come unico attore che peraltro le neuroscienze cognitive dimostrano essere davvero il regista assoluto delle nostre decisioni: «È dimostrato che la volontà è dovuta esclusivamente a meccanismi nervosi: a scelta avvenuta, essi informano i centri dell’autocoscienza che si trovano nei lobi prefrontali del nostro cervello». Come dire: «Ogni nostra decisione è presa col concorso di meccanismi nervosi cognitivi ed emotivi. E grazie alla plasticità cerebrale, ogni esperienza modifica la struttura e il funzionamento del cervello, quindi condiziona la volontà, le riflessioni e i nostri comportamenti futuri».
Secondo Benini, una delle più grandi scoperte degli ultimi decenni riguarda proprio la plasticità della corteccia cerebrale: «Una volta che cambia la parte del cervello che la elabora, qualunque esperienza (pensiero o percezione) che abbiamo diventa elemento della nostra coscienza. La percezione è allora un “atto creativo”, come diceva Edelmann, perché crea una sostanza cerebrale diversa. A dimostrazione che il cervello rimane l’unico attore, colui che decide per primo, dandoci l’illusione di averlo fatto noi».
A rafforzare questa tesi di Arnaldo Benini, un recente studio dell’Università del New South Wales pubblicato su «Scientific Reports», secondo cui l’esito di una decisione è in un certo senso prevedibile diversi secondi prima che noi realizziamo di aver deciso. Una conclusione a cui gli scienziati sono giunti grazie all’uso della Risonanza magnetica funzionale (MRI, in grado di monitorare l’attività cerebrale e calcolare i cambiamenti del contenuto di ossigeno nelle varie aree).
Le affermazioni del professor Arnaldo Benini e degli scienziati dell’Università del New South Wales convergono, e un po’ meno nebuloso risulta a questo punto il dibattito su come funziona la volontà, sull’esistenza del libero arbitrio e su cosa influenzi la direzione di una scelta: «Le nostre “libere” scelte sono visibili nel cervello ancora prima che ci accorgiamo di averle prese: la scelta fra due possibilità è prevedibile dall’andamento dell’attività cerebrale ben undici secondi prima di quando la formuliamo consciamente». Inoltre, secondo lo studio pubblicato su «Scientific Reports»: «Quando decidiamo tra due opzioni, potremmo essere influenzati da pensieri in stand-by risultanti da una precedente attività cerebrale: queste “allucinazioni inconsce” restano sottotraccia e influenzano la decisione finale, senza che ce ne accorgiamo. Al momento di decidere, le aree esecutive del cervello scelgono il sottotraccia più marcato e si lasciano portare sulla sua strada».
Il libero arbitrio, a questo punto, per Benini «è un’illusione necessaria».