Anche gli scienziati possono sbagliare? Capita. Tuttavia, la scienza e il metodo scientifico basato sull’osservazione e la verifica ‒ tramite esperimenti ‒ dell’esattezza o meno di quanto osservato, permettono di correggere eventuali errori.
È capitato agli scienziati che studiano il cervello. Si riteneva infatti che «l’organo sovrano» del nostro corpo fosse totalmente isolato, indipendente dal sistema di difesa dell’organismo, il sistema immunitario. Del resto il cervello ha già numerose cellule che lo proteggono contro eventuali pericoli: sono le cellule della microglìa («gl» si pronuncia come in glicerina). Nel corso dell’ultimo decennio ‒ grazie a nuove tecniche d’indagine ‒ si è scoperto che il sistema nervoso e quello immunitario collaborano: la struttura biologica che protegge il cervello (la Barriera Emato Encefalica, la «BEE») è costellata di aperture, di vie d’entrata ed uscita, e che sulla superficie cerebrale il «traffico» di cellule immunitarie è molto intenso.
Finora, si è pensato che il coinvolgimento delle cellule del sistema immunitario ‒ diverse da quelle della microglìa ‒ avvenisse solo in caso di malattie del cervello: è stato infatti confermato che in malattie come la sclerosi multipla, le cellule del sistema immunitario sono attive, ma gli esperimenti effettuati sugli animali dimostrano che la faccenda è molto complicata. Un esempio. Nella sclerosi laterale amiotrofica e nella malattia di Alzheimer se si sopprime la risposta immunitaria generale le due malattie progrediscono rapidamente, mentre se la si ripristina la progressione rallenta. Tuttavia, se ci sono situazioni in cui la collaborazione tra il sistema nervoso e quello immunitario agisce contrastando la malattia, in altre la favorisce. Come questo doppio aspetto della collaborazione si manifesta e in che modo, cioè se le cellule immunitarie aiutino o danneggino il cervello e in quali circostanze, rimane un campo di ricerca ancora in gran parte da indagare.
Le cellule immunitarie hanno la caratteristica di poter circolare ovunque nel corpo, ma è probabile che il cervello utilizzi un «traffico locale» di cellule immunitarie, prodotte o residenti nel midollo osseo che si trova all’interno delle ossa del cranio. Quando c’è un pericolo, i neuroni rilasciano nel liquido cerebro-spinale ‒ un fluido denso che bagna il Sistema nervoso centrale ‒ delle sostanze che raggiungono le cellule immunitarie all’interno del cranio, attivandole: il cervello sarebbe quindi in grado di scegliere quali cellule usare per difendersi, se quelle «locali» oppure se farle arrivare da altre parti del corpo. La scelta tra le due popolazioni di cellule immunitarie dipenderebbe dalle rispettive efficacia e potenza: quelle «locali» sono meno aggressive, mentre quelle «importate» lo sono di più. Se si sviluppa un tumore, per esempio, è necessario chiedere il rinforzo esterno per contrastare la progressione cancerosa.
La collaborazione tra il sistema nervoso e quello immunitario non è attiva solo in caso di malattie del cervello e questo è particolarmente evidente nella cosiddetta «potatura delle sinapsi». Le sinapsi sono le microscopiche connessioni tra le cellule nervose (neuroni) che rendono possibile lo scambio delle informazioni tra loro: la quantità di sinapsi presente su un neurone è variabile, da poche centinaia ad alcune migliaia. In questo modo una cellula nervosa è connessa ‒ tramite segnali in entrata e in uscita ‒ con migliaia di altri neuroni. Durante lo sviluppo del cervello e fino all’adolescenza, la quantità di sinapsi che si formano su ogni neurone è elevatissima, tanto che, al termine dello sviluppo cerebrale, è necessario eliminare le sinapsi in eccesso, quelle che ‒ per esempio ‒ non sono più utilizzate: questo fenomeno è la cosiddetta «potatura» delle sinapsi, in inglese pruning. Le cellule della microglìa sono particolarmente attive nel produrre le sinapsi durante lo sviluppo cerebrale: si è scoperto che la presenza di cellule immunitarie (in particolare i linfociti di tipo T) ha il compito di aiutare la maturazione della microglìa, innescando il fenomeno della «potatura» delle sinapsi. Osservando animali da esperimento carenti di linfociti T, si è visto che il sistema della microglìa non funziona correttamente e che la mancata eliminazione delle sinapsi in eccesso determina anomalie del comportamento: come questo influsso dei linfociti sulla microglìa avvenga è ancora oggetto di studio.
La comunicazione tra il cervello e il sistema immunitario è a doppio senso, come è dimostrato da numerosi esperimenti condotti recentemente. Si era ipotizzato che situazioni di coinvolgimento emotivo potessero attivare le cellule immunitarie e la conferma è arrivata studiando il funzionamento di alcune parti del cervello come la cosiddetta area ventrale-tegmentale e la corteccia dell’insula, attive entrambe in situazioni di coinvolgimento emotivo e di sensazioni in varie parti del corpo, come l’intestino. Nel corso di sperimentazioni animali, stimolando con deboli impulsi elettrici le due aree cerebrali, si è visto che tale attivazione è in grado di stimolare la moltiplicazione di linfociti immunitari nella zona del colon nel corso di coliti. In pratica, le sensazioni dolorose tipiche dell’irritazione arrivano alle due aree cerebrali che si attivano e stimolano i linfociti della zona infiammata. Sorprendentemente, si è notato che ‒ in alcuni casi ‒ la stimolazione nervosa attiva la risposta immunitaria nel colon anche in assenza di cause che possono determinare la colite. È come se le cellule nervose delle due aree cerebrali conservassero, memorizzassero le precedenti risposte immunitarie e si attivassero in seguito a condizioni emotive particolari, un meccanismo che può essere alla base della colite di origine psicosomatica in soggetti emotivamente predisposti.