Capitava spesso qualche anno fa. Adesso capita, meno, ma capita ancora. Solitamente solo a sud del ponte di Melide. È lì, infatti, che il lago Ceresio, d’estate, cessa di avere acque di colore blu e passa ad acque turchesi. Era l’estate del 2017 quando, in Ticino, il fenomeno fece notizia anche sui mass media. Mauro Veronesi, capoufficio della protezione delle acque e dell’approvvigionamento idrico, spiegò che il cambiamento di colore era dovuto al processo di eutrofizzazione del bacino sud del Ceresio. Niente di pericoloso: semplicemente le alghe microscopiche presenti nel lago, con l’innalzamento delle temperature e con dosi più abbondanti di sostanze nutritive quali azoto, fosforo o zolfo, prolificavano al punto da determinare un ambiente asfittico nelle acque lacustri.
In pratica, i consumatori primari di queste alghe non riuscivano più a smaltirle, per cui aumentavano sia l’attività batterica sia il consumo globale di ossigeno che avrebbe addirittura portato alla morte dei pesci. Negli ultimi anni non si è mai giunti al triste spettacolo dei pesci gonfi e galleggianti sulla superficie del lago, ma ci sarà sicuramente chi ricorderà quanto era verde e agonizzante il Ceresio negli anni Ottanta.
Alghe protagoniste di variazioni cromatiche sulle rive del Ceresio. Alghe protagoniste di variazioni cromatiche anche in Australia dove la grande barriera corallina da rosa sta diventando bianca. Il motivo? Il sodalizio tra coralli (che sono animali) e alghe (che sono vegetali) è stato compromesso dai cambiamenti climatici. Come ci spiega il ricercatore Andrea Gamba «coralli e alghe vivono in simbiosi. Nelle loro cellule, i coralli hanno alghe che, con il processo di fotosintesi, forniscono loro nutrimento. L’innalzamento delle temperature legato ai mutamenti climatici ha portato le alghe a produrre, anziché nutrimento, sostanze tossiche. Il corallo, per sopravvivere, espelle le alghe, ma così facendo perde il suo – diciamo così – cibo. È così che da rosa diventa bianco e poco dopo muore».
Andrea Gamba, 29enne biologo marino, è un luganese che dal 2021 si trova all’Università Victoria di Wellington dove, con un team di studiosi, sta svolgendo una ricerca di biologia molecolare marina, la quale potrebbe rivelarsi fondamentale per la preservazione del grande Reef. I primi risultati del suo studio sono già stati pubblicati dalla rivista scientifica «Frontiers in marine science» (www.frontiersin.org/journals/marine-science). Gamba – interessato alla simbiosi Coral-Symbiodiniaceae – sta infatti analizzando diversi percorsi molecolari che sono ritenuti importanti per il mantenimento della simbiosi corallo-alga, e lo fa utilizzando tecnologie di analisi che consentono la produzione di dati utili per la descrizione e l’interpretazione del sistema biologico studiato (dette scienze omiche) e altre tecniche molecolari.
Di che cosa si occupa esattamente?
Tema centrale del mio studio è stabilire in che modo questi due organismi comunicano, quali sono le molecole che si scambiano.
Non è già chiaro che il corallo fornisce alle alghe un ambiente protetto e composti necessari per la fotosintesi e che le alghe, in cambio, producono ossigeno e aiutano il corallo a rimuovere i rifiuti?
Sì, questo è chiaro, ma noi stiamo cercando di individuare quali siano, esattamente, le molecole che caratterizzano questa simbiosi. In altre simbiosi più studiate (come quelle tra diversi tipi di piante e funghi/batteri, per esempio legumi e rhizobium) si è scoperto che esistono diverse classi di molecole che sono fondamentali per il mantenimento di una simbiosi mutualistica a lungo termine. Queste molecole permettono agli organismi nella simbiosi di riconoscersi come partner benefici e non come potenziali rivali. Noi stiamo cercando di capire se queste molecole sono importanti anche nella simbiosi dei coralli. In particolare, ci stiamo concentrando sulle oxilipine, classe di molecole che si sono rilevate fondamentali nella comunicazione tra partner in diversi altri tipi di simbiosi (piante, funghi, protozoi, batteri).
Dunque, con i suoi colleghi, sta cercando di capire come il corallo si accorda con l’alga per sopravvivere.
Noi, precisamente, studiamo la fisiologia del corallo. Vede, è difficile poter proporre una medicina se non si conoscono le caratteristiche del paziente. Questo è quello che cerchiamo di fare noi: individuare come funziona la comunicazione corallo/alga. Per il momento sappiamo perché il corallo diventa bianco e muore, ma nessuno ha ancora trovato il modo per evitare che ciò accada. Noi, per il momento, siamo giunti a stabilire che le oxilipine siano fondamentali per far sì che il corallo riconosca l’alga come partner benefico e non come un potenziale parassita.
E come si procederebbe se la oxilipina fosse la molecola della salvezza?
Fermo restando che siamo nel campo delle ipotesi, quella più accreditata – visto che le temperature continueranno ad aumentare – è quella di procedere a coralli geneticamente modificati, ovvero introdurre nel DNA dei coralli dei geni che renderebbero il reef più resiliente ai cambiamenti climatici. Più facile a dirlo che a farlo perché procedere in questo senso comporta un problema etico piuttosto importante: la scienza che interviene sulla natura selvaggia sfidando il rischio di sbilanciare l’intero ecosistema. La natura, non dimentichiamolo, è perfettamente bilanciata. I grossi mutamenti sono riconducibili agli interventi umani, compreso il fatto che, se non si troverà un rimedio, entro pochi anni tutti i coralli del reef moriranno.