Hotel Corippo

Valle Verzasca – Il più piccolo villaggio svizzero sta rinascendo grazie all’innovativo progetto di albergo diffuso
/ 04.12.2017
di Fabio Dozio

Museo a cielo aperto, reliquia dei secoli passati, gioiello incastonato nella montagna. Un centinaio di casupole di granito con la facciata rivolta a sud, per farsi accarezzare dal sole. Sole che illumina il villaggio il mattino, ma che, in autunno, all’una già si spegne. Corippo, il più piccolo paese della Svizzera, è abbarbicato sul lato destro della val Verzasca. «Villaggio che più di ogni altro ha saputo conservare un carattere tipicamente vallerano», si legge sul cartellone all’entrata. È rimasto intatto nel tempo e, infatti, è considerato un monumento di rilevanza nazionale e nel 1975 è stato designato «realizzazione esemplare» per l’Anno europeo del patrimonio architettonico.

Ora ci vivono tredici persone, perlopiù anziane, quasi tutte fanno Scettrini di cognome. Nel 1850 gli abitanti erano 294. «Non siamo messi così male – ci racconta Gabriella Scettrini, 82 anni, mentre attraversa il sagrato e si appresta ad aprire la chiesa di Santa Maria del Carmine – al mattino arriva il panettiere, con pane e latte, poi il postino, si possono fare anche i pagamenti. Se il servizio postale rimane così, siamo contenti. Vado una volta al mese a fare la spesa grossa, con mio figlio. Io sono qui dal 1962, da 55 anni. Sono ripiombata a Corippo dopo essere stata al piano, dove il bisnonno aveva comperato terra e costruito con i soldi dell’emigrazione. Negli anni Sessanta eravamo una cinquantina di abitanti, famiglie con bambini e si stava bene».

C’è anche chi è più critico. «La vita di paese non c’è più. I giovani se ne sono andati e non vengono ad abitare qui. Non ci sono posteggi, le case sono scomode, senza riscaldamento, vanno bene come case di vacanza», ci dice Pia Scettrini, vicina agli ottant’anni, che è stata municipale fino a qualche settimana fa quando insieme al sindaco Claudio Scettrini e all’altra municipale, la cognata Clarina Scettrini, ha dimissionato.

Crisi politica per stanchezza e logoramento. Il Municipio, composto di tre persone, ha abdicato e il Consiglio di Stato ha dovuto nominare un gerente, Vittorio Scettrini, che assicurerà la gestione del villaggio fino all’aggregazione con gli altri comuni della Valle. Un parto sofferto con un travaglio che dura da decenni e che, secondo le ultime previsioni, dovrebbe avvenire non prima del 2020, con una votazione popolare in valle, dopo l’approvazione da parte del Gran Consiglio. La fusione comunale sistemerà gli aspetti amministrativi, ma per mantenere in vita Corippo ci vuole altro.

L’altro, per la fortuna di questo angolo sperduto di Ticino, è la Fondazione Corippo. Nel 1975, la Confederazione, il Cantone e il Comune hanno costituito una Fondazione per dare seguito al programma di interventi concordato in occasione dell’Anno europeo del patrimonio architettonico, indetto dal Consiglio d’Europa. Scopo della Fondazione è darsi da fare per conservare, rianimare e promuovere il villaggio. Negli anni Novanta si è capito che non si poteva pretendere di far rinascere il paese puntando sulla promozione delle abitazioni primarie. Corippo è un villaggio di altri tempi. «Io ho lavorato 40 anni in albergo a Locarno – racconta Pia Scettrini – partivo ogni mattina con il bus delle 6.20 e tornavo alla sera. I giovani non ci stanno a fare questa vita. Non vogliono più fare due passi a piedi. Io ho due figli, ma si sono trasferiti entrambi al piano».

Nel 2007 la Fondazione è stata rinnovata e da quel momento si è lanciata l’idea madre che dovrebbe salvare il villaggio: l’albergo diffuso. «È un progetto condiviso dagli abitanti, – ci dice l’architetto Fabio Giacomazzi, chiamato dal Cantone a presiedere e rilanciare la Fondazione – parlando con loro percepisco il timore che il villaggio possa lentamente morire. Per un certo periodo la Fondazione è rimasta inattiva. Da una decina di anni stiamo lavorando a questo progetto. Ora vi è l’attesa di vedere finalmente concretizzarsi qualcosa». 

I progetti sono chiari, l’albergo diffuso prevede la riattazione di otto edifici abitativi in disuso di proprietà della Fondazione, da cui si ricaveranno undici camere con bagno per un totale di ventidue posti letto. L’Osteria sulla piazza è pure stata acquisita dalla Fondazione che la sta rilanciando come punto di riferimento dell’albergo. Il gerente del locale fungerà da curatore e animatore delle iniziative turistiche, didattiche e culturali. Accanto alle camere verrà recuperato il vecchio mulino e si intende rivitalizzare alcuni terrazzi ripristinando la coltura della segale. La prima tappa prevede investimenti per circa 3,2 milioni di franchi, in parte già stanziati da Confederazione, Cantone ed enti privati. Complessivamente, a progetto concluso, l’investimento ammonterà a 6,3 milioni.

I tempi di realizzazione sono più lunghi del previsto: come mai? «A partire dal 2006 – spiega Giacomazzi – quando gli organi della Fondazione sono stati rinnovati per concretizzare il progetto di albergo diffuso, sono stati approntati gli studi che permettessero al Cantone di deliberare il proprio sostegno finanziario. Il credito è stato approvato dal Gran Consiglio nel febbraio del 2014. Da allora ci stiamo occupando del reperimento di ulteriori fondi necessari per il finanziamento dell’operazione. Le scarse risorse proprie disponibili hanno anche rallentato i lavori di progettazione. Alla luce della raccolta di fondi e del conseguente avanzamento del progetto, non saremo ancora pronti per la primavera del 2018, come a un certo punto si pensava; il tutto slitta al 2019».

Il progetto di albergo diffuso, una novità in questa forma in Svizzera, ha avuto ampia eco. Ha ricevuto l’Hotel Innovations Award, un premio nazionale, ma se ne parla anche all’estero. Il sito del quotidiano inglese «Daily Mail», per esempio, ha titolato: «Tiny Swiss village with a population of just 13 to be turned into a giant hotel to save it from extinction». I pochi abitanti sono un po’ frastornati, perché negli ultimi mesi sono giunti in paese molti giornalisti. «Non c’è mai stato un bataclan come quest’anno, – ci dice la signora Graziella – la cosa che mi disturba è che certi ti chiedono se abbiamo l’acqua in casa, come se fossimo non dico nel terzo, ma nel quarto mondo. Io ho fiducia nella Fondazione. L’albergo diffuso può funzionare, ma deve essere ben organizzato. Bisogna che ci sia il personale formato, che sappia cosa fare, non frim, frum, fram... L’osteria deve diventare il punto di riferimento, ma devono sistemarla».

Fra i domiciliati non manca chi è scettico, ma è anche comprensibile perché sono decenni che si parla di rilanciare Corippo e non sempre le buone intenzioni si sono trasformate in realizzazioni. Come valuta il futuro il presidente della Fondazione? Il vostro intervento potrà in qualche modo far rinascere il villaggio? «L’idea alla base dell’albergo diffuso – precisa Fabio Giacomazzi – è proprio quella di dare una nuova destinazione e vita a edifici che non si prestano ad altre funzioni e che quindi resterebbero abbandonati, oppure diventerebbero case di vacanza private, chiuse per la maggior parte dell’anno. La destinazione alberghiera è quella che meglio permette di salvaguardare le caratteristiche architettoniche degli edifici e nel contempo evitare il fenomeno dei letti freddi. Il progetto va avanti e non ci aspettiamo ripercussioni negative dalla nuova situazione venutasi a creare con la messa in gerenza del Comune. Con la futura aggregazione si apriranno sicuramente nuove prospettive di cooperazione».

«L’albergo diffuso è il nostro futuro, – ci dice prima di salutarci sulla piazza del paese Graziella Scettrini – altrimenti che cosa facciamo? A meno che arrivi qui uno come quello di Andermatt, come si chiama... che ha investito tutti quei milioni. Oppure che qualche emiro s’innamori di Corippo».