Hai fatto i compiti?

Scuola e famiglia – Tra genitori se ne discute molto: i compiti a casa sono necessari? I bambini ne ricevono troppi? O troppo pochi? Ne abbiamo parlato con Alma Pedretti dell’Ufficio delle scuole comunali del DECS
/ 13.03.2017
di Roberto Porta

Si fa presto a dire… compiti. Per chi ha figli in età scolastica il tema è di quelli che invece fanno scorrere fiumi di parole, perché quel foglio che con frequenza più meno regolare appare sulla scrivania del proprio figlio non è soltanto un semplice esercizio ma rappresenta, a ben guardare, un vero e proprio strumento di comunicazione tra la scuola e i genitori stessi. 

Attraverso il compito mamma e papà possono capire quali sono i temi trattati in classe e intuire se il proprio figlio è riuscito ad assimilare il programma scolastico. Tra i genitori c’è chi li trova troppo facili, chi troppo complicati, chi ne vorrebbe uno al giorno, chi invece non li ritiene necessari. Insomma c’è un gran vociferare attorno a questo argomento. Non per nulla il collegio degli ispettori delle scuole comunali ha ritenuto necessario redigere un vademecum informativo destinato a chi ha figli alle scuole elementari. «L’esigenza – si sottolinea nel documento – nasce dalla necessità di indicare in modo univoco quale sia l’indirizzo attuale in merito a questo importante momento di contatto tra scuola e famiglia». Un testo di due pagine nel quale si legge tra l’altro che «la necessità di lavorare da solo al di fuori dalla scuola porta il bambino a prendere coscienza di ciò che ha imparato, ma anche ad individuare i propri limiti e le proprie difficoltà. Ciò contribuirà a insegnargli che per migliorare occorrono impegno e costanza, a volte anche sforzo, e che molto dipende dalla sua disponibilità».

Il collegio degli ispettori ha pure preparato un secondo documento, destinato questa volta agli insegnanti, con una serie di raccomandazioni sul tema del compito a domicilio. Indicazioni che sono attualmente in fase di rielaborazione. «Il docente è chiamato a spiegare regolarmente agli allievi lo scopo dei compiti assegnati affinché i bambini stessi ne percepiscano il senso – ci dice Alma Pedretti, aggiunta del capo ufficio delle scuole comunali, presso il Dipartimento Educazione Sport e Cultura (DECS) – eviterà di assegnare frequentemente, addirittura sistematicamente, compiti che costituiscono esercitazioni sui contenuti delle lezioni apprese a scuola. Tuttavia è possibile che il docente avverta l’esigenza di estendere certe esercitazioni anche oltre le ore di lezione, allo scopo di aiutare gli allievi che ne avessero particolare bisogno». 

Da queste parole ci giunge la prima indicazione decisamente interessante: i compiti devono nella misura del possibile costituire una novità, non una ripetizione di quanto fatto in classe. E qui gli ispettori nel loro documento all’indirizzo dei docenti elencano diversi esercizi da assegnare. Alcuni davvero originali, come quello che per esempio porterà il bambino a «ritrovare e ricopiare i nomi degli inquilini» dell’edificio o della via in cui si abita, passando in rassegna le bucalettere o i campanelli. Oppure si tratterà di trascrivere e spiegare «le cifre e le lettere che si vedono sui comandi della cabina di un ascensore». Oppure ancora «verificare con l’aiuto di una bilancia l’esattezza del peso scritto sull’imballaggio di alcuni generi alimentari». Insomma la fantasia non manca nel definire il contenuto del compito. 

Ma quale la frequenza ideale di questi esercizi da svolgere a casa? «Il docente di scuola elementare – ci dice Alma Pedretti – è chiamato a privilegiare il doppio compito settimanale. Salvo accordi specifici con questa o quella famiglia, si eviterà di assegnare compiti tutti i giorni e durante le vacanze previste dal calendario scolastico o durante il weekend. Il principio alla base di questa raccomandazione sta nel fatto che gli allievi si devono poter riposare, visto che il carico di lavoro in classe è già piuttosto elevato». Altro aspetto importante è quello della durata di un compito, che «dovrebbe variare tra i quindici minuti per i bambini del primo ciclo scolastico – indica ancora Alma Pedretti – e i trenta-quaranta minuti per gli allievi di terza, quarta e quinta elementare. Durate maggiori possono essere previste per compiti che necessitano un’attività di ricerca».

Nelle loro informazioni alle famiglie, gli ispettori raccomandano ai genitori «di prendere contatto con il docente, se il figlio dovesse impiegare sistematicamente un tempo ritenuto eccessivo per lo svolgimento dei compiti». E qui entra il gioco il ruolo dei genitori: devono aiutare i propri figli oppure lasciarli fare da soli? «Entrambe le cose – sottolinea Alma Pedretti – ciò che è importante è variare e dimostrare un interesse sincero per il lavoro scolastico dei propri figli». Al bando andrebbero messi da una parte le esigenze troppo elevate – l’«assillo per il perfezionismo» – e dall’altra l’indifferenza verso qualsiasi lavoro dei propri figli.

Va pure detto, e qui apriamo un nuovo capitolo, che le scuole comunali hanno anche un regolamento, del 1996, in cui all’articolo 10 si parla delle sanzioni nei confronti degli allievi. Tra le altre cose vi si legge che è vietata «l’esecuzione di compiti supplementari attinenti all’insegnamento da eseguire a domicilio». In altri termini da circa vent’anni nelle scuole comunali ticinesi è stato messo al bando il castigo, sotto forma di compito a casa per chi dimostra di non essere particolarmente disciplinato. Ma così facendo non si corre il rischio di un eccessivo permissivismo? «Alcuni docenti ricorrono ancora a questo strumento – precisa la vice-direttrice dell’ufficio scuole comunali – ma in generale si ritiene che il castigo sia ormai superato dai tempi. La scuola ticinese ha fatto dei passi avanti e mira a includere, non a escludere, il bambino. È importante contestualizzare sempre un episodio: se un allievo è stato indisciplinato e, come docente, so che a casa vive una situazione difficile, è inutile dargli un castigo, si sentirebbe ancora più ai margini della classe, ancor più penalizzato. Se invece un bambino dimostra ad esempio disinteresse per ciò che è stato fatto in classe, un compito supplementare può anche essere dato. In generale però non ne vediamo il senso». 

Insomma in una società in costante evoluzione, anche la scuola – e con essa lo strumento dei compiti – ha subito e subisce continui cambiamenti. C’è solo un aspetto che con cambia mai: quella domanda di genitori e docenti che assomiglia ad un ritornello, «hai fatto i compiti?».