«Il fascino del nostro cervello sta anche nel fatto che siamo distratti, emotivi, e abbiamo dei limiti. Non a caso le nostre conoscenze delle funzionalità cerebrali sono ancora poche rispetto alla complessità delle funzioni e delle malattie del cervello». A parlare è il dottor Claudio Staedler (primario di Neurologia del Neurocentro della Svizzera italiana EOC) che puntualizza: «Non dimentichiamo che il cervello ha il limite fisiologico di non riuscire a capire se stesso». Vogliamo comprendere cosa e come «vedo» quando «guardo», come sono collegati occhi e cervello, se la visione è uguale per tutti, se vediamo la realtà che ci circonda in modo oggettivo. E dare risposta alla domanda: cos’è la realtà?
Anche la neurobiologia è sempre più impegnata a spiegare l’ingegnoso meccanismo della visione, trovando risposte sulla scia del mito della caverna di Platone secondo cui ciò che ciascuno di noi vede rimanda a una realtà relativa e incostante. Platone descrive perfettamente la percezione delle ombre proiettate sul fondo della caverna come primo livello di esperienza conoscitiva comune a tutti. Nel suo mito gli uomini sono prigionieri, incatenati dalla convinzione che l’unica realtà possibile sia quella delle ombre percepite solo con gli occhi. Finché uno fra loro riesce a liberarsi e, uscendo dalla grotta, scopre la luce del sole che illumina e rende visibile gli oggetti. Basta il tempo di adattamento dei suoi occhi alla luce ed egli si abitua a percepire la realtà così come si presenta. Ciò gli permetterà di ampliare la sua visione, liberandola dalle ombre e rendendola sempre più aderente alla realtà circostante. «L’immagine del mondo che arriva al cervello dipende da ciò che gli occhi percepiscono come fossero una macchina fotografica. Le immagini si imprimono sulla retina (elemento ricettoriale dell’occhio che però è già parte del sistema nervoso), e percorrono il nervo ottico che funge da “cavo” di collegamento con la regione del cervello preposta a elaborare e produrre l’immagine così come noi la percepiamo», spiega Staedler, confermando che osserviamo attraverso gli occhi, ma vediamo col cervello: «Quando vedo qualcuno non vedo solo l’immagine, ma una sua elaborazione da parte del mio cervello che mi dice immediatamente che è una persona, contestualizzando quest’informazione oggettiva alla situazione (sta camminando verso di me, è piccola, grande, donna, uomo e via dicendo). Questo processo cerebrale evoca e propone il contenuto dell’immagine attraverso molte correlazioni. La visione è quindi composta da una parte oggettiva che viene integrata a livello cerebrale (vedo una certa forma così come tutti la vedono ma ne do la mia interpretazione)».
La visione è perciò influenzata da meccanismi neurofisiologici che influiscono sulla percezione: «Alcuni sono di natura fisiologica, altri attinenti alla sfera psicologica come l’esperienza pregressa, la personalità, gli interessi, i bisogni e lo stato emotivo come tratto caratteristico dell’individuo, e quello determinato da contesto e situazione. Entrano pure in gioco in modo pervasivo le variabili di natura sociale, come ad esempio la cultura dominante e i preconcetti». La vista è perciò una pura abilità del corpo, in quanto l’occhio è capace di distinguere i dettagli, gli oggetti e le scritte con una capacità sviluppatasi in modo funzionale alla sopravvivenza dell’uomo nell’ambiente. La visione, invece, è tutt’altra cosa: «È un fenomeno complesso, meglio definito come percezione visiva, grazie al quale l’immagine è costruita e integrata attraverso processi mentali complessi». Quindi, afferma il neurologo: «Sicuramente non vediamo tutti allo stesso modo, perché i dettagli che vedo io non saranno necessariamente uguali a quelli visti da altre persone; prendiamo ad esempio le diverse sensibilità visive degli artisti e dei fotografi, così come pure alcune patologie che possono influenzare questo processo». In altre parole: «Per interagire con il mondo esterno il nostro cervello è in grado di aggiungere, sottrarre, riorganizzare e codificare molteplici informazioni sensoriali». Ciò fa sì che l’uomo, a differenza di altri animali, non si limiti solo a osservare il mondo: egli cerca il significato cosciente delle cose che percepisce ed è capace di legare un concetto e un’emozione a un’immagine: «La corteccia visiva cerebrale è come un filtro attraverso cui la realtà deve essere analizzata». Potrebbe derivarne che, se la visione è un fenomeno soggettivo, la realtà potrebbe essere un’illusione. «Cosa sia la realtà e cosa voglia dire appartiene però all’ambito filosofico piuttosto che alle neuroscienze», afferma Staedler.
Inoltre, alcune malattie possono pure influenzare la visione: «Possiamo ad esempio riferirci a patologie semplici, come la disfunzione di un elemento anatomico nel sistema visivo in cui la visione è bloccata nella parte ricettoriale e la cecità può avere differenti cause come una lesione dell’occhio, una sua infiammazione o una sua degenerazione. Vi sono poi patologie neurologiche in cui il passaggio dell’informazione alla corteccia cerebrale è disturbato (sclerosi multipla, ictus, tumori o anche malattie neurodegenerative). Ad esempio, un ictus nella regione occipitale del cervello può ledere la corteccia predisposta alla prima elaborazione visiva». Vi sono malattie come quelle neurodegenerative che possono portare a un cambiamento della percezione: «A questo proposito, è interessante osservare gli autoritratti di William Utermohlen, un artista che dopo la diagnosi di Alzheimer ha continuato a dipingere, mostrando via via il cambiamento della percezione di se stesso». Fra le più interessanti troviamo infine la sindrome di Charles Bonnet: «Un disturbo che può manifestarsi a qualunque età, quando la diminuzione della vista innesca un rallentamento o un blocco dei messaggi trasmessi dalla retina alla corteccia visiva, mentre il cervello si comporta in modo opposto e si attiva per creare vivide allucinazioni visive delle quali la persona ha in genere piena coscienza, al contrario delle allucinazioni innescate da patologie psichiatriche come le psicosi (in particolare la schizofrenia) di cui la persona non ha coscienza della natura allucinatoria». La visione è quindi cosa molto complessa: «Il cervello lavora molto più di quanto percepiamo e continua a costruire una realtà che ci permette di interpretare ciò che vediamo». Allora, i concetti di reale e di oggettivo ruotano attorno al comune denominatore dei dettagli e alla coerenza nel racconto delle persone: «Elementi oggettivi della realtà perché percepiti simili da tutti».