Bibliografia

- Antonio Auguadri, Carlo Vittadini, Giacomo Lazzari, Tartufi del Cantone Ticino (incl. Monographia Tuberacearum, di Vittadini C. (Milano 1831), Ed. Soc. Micologica C. Benzoni (Chiasso, 1991), 307 pp.
- Gianfelice Lucchini, I Funghi del Cantone Ticino e di altre regioni svizzere ed estere conservati al Museo di Storia Naturale, Ed. E. Lucchini-Balmelli (Gentilino, 1997), 520 pp.
- A. Newton Jr., Mycophagy in Staphylinoidea (Coleoptera), in Wheeler, Q. & Blackwell, M. (eds.), Fungus-Insect Relationships: Perspectives in Ecology and Evolution – Columbia University Press (N. York,(1984), 514 pp.
- G.O. Poinar Jr., Life in Amber, Stanford University Press (Stanford, USA, 1992), 350 pp.

Micorrize che avvolgono i capillari
delle radici (larghezza 35 mm) (Alessandro Focarile)
Un tartufo nero (Tuber melanòsporum), grande quanto una nocciola, e il coleottero intento a cibarsi delle spore (Alessandro Focarile)
Molti gli insetti conservati nell’ambra del Baltico (35-40 milioni di anni) (pexels.photo)
 

Gli estimatori dei tartufi

Entomologia - II ben noto fungo sotterraneo è ricercato non soltanto da esigenti buongustai, ma anche da coleotteri ultra-specializzati
/ 20.01.2020
di Alessandro Focarile

Senza il prezioso e determinante aiuto di certi cagnetti bastardini, dal fiuto ineguagliabile e pazientemente addestrati, il «trifulat» piemontese, e il suo collega «truffier» francese ben difficilmente potrebbero trovare la «trifola». E senza l’indispensabile presenza degli insetti coleotteri del genere Leiodes (vedi foto), i tartufi sarebbero condannati a una ancor maggiore rarità. È questo un altro dei numerosissimi esempi di simbiosi (dal greco = vita insieme), e di evoluzione parallela (o co-evoluzione) di un insetto e di un vegetale. E poiché – una volta di più conosciamo anche i coleotteri leiòdidi conservati nell’ambra del Baltico (35-40 milioni di anni da oggi) – è una vita in comune instauratasi da ben vecchia data, si capisce che già in quell’epoca lontana erano presenti i funghi sotterranei. Forse, anche i tartufi. 

Il tartufo, e tanti altri funghi sotterranei meno conosciuti, e per niente pregiati e commestibili, difficilmente potrebbero svilupparsi e diffondersi nel suolo senza la presenza dell’insetto, come vedremo. 

Di fatto il tartufo è un tesoro, e come tale vive sottoterra. II «fungiatt» che vaga per i boschi, alla ricerca di svariati funghi commestibili (non esistono solo i pregiati boleti), difficilmente può immaginare che, ai suoi piedi, vi è tutto un mondo, ricchissimo di specie, costituito dai funghi ipogei (= che vivono sottoterra). Sono funghi del tutto particolari, che non avendo la possibilità di diffondere le loro spore all’aria libera, devono forzatamente ricorrere all’opera dei Leiodes

Questi coleotteri, nel cibarsi esclusivamente di spore, mostrano uno stadio altamente evoluto e specializzato di alimentazione. Così operando, contribuiscono alla veicolazione delle spore, che vengono espulse, in parte non digerite, nel terreno circostante. L’esame del contenuto intestinale dei Leiodes mostra considerevoli quantità di spore le quali, esemplificando al massimo, sono i «semi» dei funghi. 

Nell’Europa temperata, due sono le specie di tartufi rinomati e ricercati: quello bianco (Tuber magnatum), e quello nero (T. melanòsporum). Abbisognano entrambi di terreni argillosi e ricchi di carbonati, dove possono insediarsi nei boschi di querce e di noccioli. In Ticino, la quasi completa assenza di terreni calcarei nelle regioni collinari (se si esclude parte del Mendrisiotto), fa sì che il pregiato tartufo bianco sia assente, e sia presente (seppure sporadicamente) quello nero, ben noto come «tartufo di Norcia», località dell’Italia centro-appenninica, oppure come «truffe du Périgord», regione della Francia centrale. 

Diverse altre specie di Tuber sono conosciute, ma hanno il difetto di non essere commestibili per gli umani. Ad esempio vi sono i ben noti «tartufi dei cervi» (appartenenti ad altri generi), che sono golosamente ricercati dagli ungulati nei boschi di pino e di peccia. La parte non fruttifera del tartufo costituisce il micèlio, il quale contrae una tipica simbiosi sotterranea con le radici di molti alberi (anche castagni e faggi). 

Sono le micorrìze (dal Greco = funghi + radici), le quali hanno una vitale importanza per la fertilità e la salute del bosco. Insediandosi sui terminali più minuti delle radici (vedi foto), le micorrìze permettono e facilitano l’assunzione, da parte dell’albero, di sostanze indispensabili, quali il potassio, il sodio, il fosforo, generalmente poco mobili nel suolo, e precariamente ottenibili dall’albero. Queste sostanze sono trasmesse all’albero dalla micorrìza, che si presenta come un cappuccio che circonda i terminali più minuti delle radici (vedi foto). Grazie a questa vita in comune, la micorrìza apporta nutrimento all’albero, e l’albero contraccambia offrendo la possibilità di sostegno e di ancoraggio alla micorrìza.

Tutt’oggi, nonostante le mirabolanti scoperte in campo biologico, i funghi restano creature vegetali misteriose e… redditizie. 

Perché a una annata doviziosa di comparsa, fa seguito una serie di annate «magre», nonostante i fattori climatici (umidità, temperatura) sembrino a noi favorevoli? Perché certi funghi hanno una comparsa del tutto fugace ed estemporanea, e non se ne vede la loro presenza attraverso lunghi anni? Perché l’uomo, tutt’oggi, è riuscito a coltivare solo qualche specie di fungo, peraltro non entusiasmante, dallo scialbo e deludente sapore, e dal profumo inesistente, se non quello di «legno marcio»?

Anche con i tartufi sono stati fatti (e si fanno tuttora) molti tentativi di coltivazione, ma senza risultati apprezzabili, e soprattutto remunerativi, se si considera che occorre attendere almeno dieci anni e più per vedere i risultati (anche negativi!) dei tentativi. Il gioco vale la posta in quanto, intorno ai tartufi, ruotano interessi commerciali con parecchi zeri. Soltanto a New York, uno dei più celebrati ristoranti acquista ogni anno qualcosa come 110 chili di pregiatissimi e costosissimi tartufi bianchi. Tutt’oggi, manca una collaborazione scientifica (reciprocamente proficua) tra studiosi e amatori dei funghi (i micòlogi e i «micòfagi») e gli entomòlogi, gli studiosi degli insetti. 

Forse la chiave di comprensione e di aumento delle conoscenze (anche ai fini pratici e applicativi), sta tutta nell’instaurarsi di questa collaborazione. I funghi hanno bisogno degli insetti, e questi hanno bisogno dei funghi. È un problema di sopravvivenza reciproca, come l’ambra del Baltico ci testimonia a distanza di tanto tempo.