Gli equilibri instabili del ciclismo

Sport - Organizzatori al gancio, squadre in crisi da fame: il dopo-lockdown rischia di appiedare uno sport finanziariamente fragile
/ 31.08.2020
di Giancarlo Dionisio

Che tristezza vedere Wout Van Aert tagliare il traguardo delle Strade Bianche, a Siena, in una Piazza del Campo deserta! Che dire poi del suo numero d’alta scuola, sette giorni più tardi, sul lungomare di Sanremo? Vogliamo parlare del drammatico tonfo di Remco Evenepoel, e del trionfo di Jakob Fuglsang nell’edizione ferragostana della tradizionale Classica delle foglie morte? Tre corse entusiasmanti, tre storie avvincenti, due vincitori, episodi da brivido, ma solo tre gatti ad assistere, a causa delle misure di sicurezza sanitaria emesse dal Consiglio dei Ministri italiano. Lungi da me l’idea di mettere in discussione l’operato del Premier Giuseppe Conte, ci mancherebbe.

L’emergenza Covid-19 non è cessata, quindi non solo è giusto, ma è persino doveroso che le autorità politiche pensino alla salute della popolazione. Tuttavia, quanto sia importante la presenza del pubblico a bordo strada l’hanno sperimentato gli organizzatori del Mondiale di Aigle-Martigny (20-27 settembre), costretti a gettare la spugna, in virtù della decisione del Consiglio federale di protrarre fino al 30 settembre, il limite di 1000 spettatori per le grandi manifestazioni. 

Purtroppo, il persistere dello stato di allerta rischia di uccidere il ciclismo, sport notoriamente più povero rispetto al calcio e ad altre discipline. Qualcuno obietterà che in fondo, per assistere a una corsa – salvo rarissime eccezioni, come sui circuiti iridati o sulle tribune al traguardo – non si paga l’entrata, quindi, che ci siano 20 o 200mila spettatori, non dovrebbe modificare la situazione finanziaria. Vero, in parte! 

In realtà le 200mila persone che si assiepano a bordo strada, mangiano, bevono, dormono, acquistano magliette, cappellini, felpe, gadget, visitano città e regioni. In poche parole, creano un indotto non indifferente. Chi organizza le corse si aggrappa al sostegno degli sponsor, e spesso, fra i finanziatori, ci sono le strutture che si occupano di turismo. L’equazione è presto fatta: niente pubblico, niente turismo, di conseguenza, chiusura dei cordoni della borsa. Ciò significa che gli organizzatori, soprattutto quelli più piccoli, sono e saranno confrontati con un periodo estremamente critico, a rischio fallimento. 

Un ruolo fondamentale, in questa fase di incertezza, lo giocheranno le televisioni. A loro spetta il compito di alimentare l’interesse nei confronti del ciclismo. Producendo immagini sempre più spettacolari, facendo in modo che i loro commentatori possano raccontare storie epiche e seducenti. Tuttavia, le TV, se vorranno continuare a proporre le cronache dirette delle corse, dovranno sborsare il denaro per l’acquisto dei diritti di diffusione. Cifre – va detto, inferiori rispetto a quelle del calcio o della Formula 1 – che andranno a finire nelle casse degli organizzatori più importanti, oppure delle Agenzie che furbescamente se li sono accaparrati, o ancora in quelle dell’Unione ciclistica internazionale (Uci), per quanto concerne i campionati Mondiali. 

Il giocattolo potrebbe non rompersi, se nel flusso di denaro fossero coinvolti anche i veri protagonisti del fenomeno-ciclismo, i corridori e le squadre. In realtà si tratta di una delle rare discipline professionistiche in cui gli attori non percepiscono un solo centesimo per la diffusione delle immagini. I team costruiscono il 95% del loro budget grazie al sostegno degli sponsor, i quali, per le stesse ragioni espresse in precedenza, tendono ad abbandonare la barca prima che affondi. 

Che fare? Sul piano finanziario i margini sono ridottissimi. Possono essere limati alcuni salari elevati. Tuttavia, si sa, nel ciclismo non sono molti i corridori che entrano nell’ordine di grandezza dei milioni. Moltissimi pedalano, faticano e sudano col minimo sindacale. L’Uci potrebbe, anzi dovrebbe, ridurre il numero delle corse World Tour e soprattutto non obbligare le squadre, da un lato, a ingaggiare un numero così elevato di atleti, dall’altro, a partecipare a tutte le corse del calendario. Correre, con 2 o 3 contingenti diversi, magari uno in Italia, uno in Olanda, e uno in Polonia, significa viaggiare, alloggiare, mangiare, spendere parecchio denaro. 

Molte squadre non ce la fanno più a sottostare a questo regime. Qualcuno evoca timidamente lo spettro dello sciopero, per costringere gli altri partner a una condivisione più equa della torta. Il giorno in cui questa flebile voce dovesse farsi più decisa e stentorea, ne vedremo delle belle. 

Da un lato tutti sperano che l’emergenza Covid si affievolisca, e che si possa tornare alla normalità in tempi ragionevoli. Ad ogni modo, a prescindere dalla pandemia, che sta mettendo in croce soprattutto le squadre con mezzi ridotti, gli equilibri finanziari all’interno del mondo del ciclismo vanno assolutamente rivisti.