Giovani, social e fake news

Media – La pandemia ha riavvicinato le persone ai media tradizionali anche se formati e linguaggi dell’informazione stanno cambiando e i «deprivati di notizie» crescono
/ 03.05.2021
di Roberto Porta

In questa nostra società in cui esiste una statistica per (quasi) tutto non ne poteva mancare una relativa alle fake news, con riferimento in particolare a quanti giovani entrano in contatto con queste notizie, che un tempo chiamavamo «bufale». «Questa esposizione varia da paese a paese e dipende anche dall’educazione ai media di cui si dispone – ci dice Eleonora Benecchi, docente alla Facoltà di comunicazione dell’USI di Lugano – Lo studio nazionale JAMES con cui collaboriamo indica che nel corso del 2020 il 56% dei giovani tra i 12 e i 19 anni è entrato in contatto con una notizia che poi si è rivelata falsa». In altri termini l’esposizione alle fake news coinvolge più di un giovane su due, una proporzione che potrebbe essere più alta, visto che si tratta di un’autovalutazione, cioè sono gli stessi giovani che affermano di aver riconosciuto queste notizie come false e tra di loro c’è anche chi non riesce a riconoscerle. 

«L’aspetto più preoccupante sta nel fatto che i giovani in realtà non cercano notizie, non si informano, non lo fanno sui media tradizionali ma neppure su quelli digitali – fa notare Eleonora Benecchi – La loro dieta informativa è molto povera. Questa categoria di giovani soffre di una “deprivazione informativa”. Non hanno un’alfabetizzazione alle notizie e per loro è molto difficile riconoscere una fonte attendibile, proprio perché non hanno metri di riferimento». Ed esiste una statistica anche per questa categoria di giovani, come rileva ogni anno lo studio sulla qualità dei media in Svizzera, pubblicato dall’università di Zurigo. Un’analisi da cui emerge che i «deprivati di notizie» raggiungono il 53% delle persone, nella fascia di età tra i 16 e i 19 anni. Si tratta di giovani che stanno a lungo online ma non per informarsi. Sono connessi con le loro comunità di riferimento ma girano volutamente al largo dalle notizie. «Con l’età e anche con l’istruzione cresce comunque l’interesse per l’informazione e aumenta la necessità di saper distinguere tra informazione e disinformazione. Va detto però che le notizie vengono perlopiù lette in modo superficiale, ci si limita troppo spesso al titolo e al trafiletto. Un problema che tocca anche gli adulti e che è all’origine di una ricezione molto superficiale della notizia». 

Sui social media si crea inoltre una sorta di scontro generazionale, visto che, studi alla mano, spesso sono le persone adulte, anche con più di 65 anni di età, che diffondono fake news, e lo fanno con una frequenza più alta rispetto a quanto diffuso dai giovani. «I giovani subiscono queste fake news, e ne vengono influenzati. La disaffezione dei ragazzi nei confronti dell’informazione dipende anche dalla sensazione di non potersi fidare. I ragazzi partono dal presupposto che quello che vedono online non è affidabile. Questa sfiducia nel mondo dell’informazione è così diffusa che non fanno sforzi per creare un loro menù informativo». 

Di fronte a questa ampia categoria di «deprivati di notizie» quali possono essere gli strumenti su cui far leva per raggiungere i più giovani, per poter arrivare a loro anche attraverso le testate giornalistiche tradizionali? «La pandemia che stiamo vivendo ha riportato le persone, anche i giovani, verso i media tradizionali – sottolinea la professoressa Benecchi – In Svizzera l’informazione televisiva del servizio pubblico è stata in questo ultimo anno la fonte considerata più affidabile dai giovani. Nonostante usino i servizi della SSR poco frequentemente c’è da parte loro una fedeltà alla marca che si è consolidata nella socializzazione famigliare e scolastica». 

Lo scollamento tra il mondo dell’informazione e quello dei giovani è anche un problema di mezzi, di strumenti. I giovani utilizzano spesso media e piattaforme online diversi da quelli lungo i quali scorre quotidianamente il flusso delle notizie, da qui la loro scarsa «dieta informativa». «Bisogna ancora lavorare molto a livello di formati, di linguaggi, di modalità che sappiano avvicinare questo settore della popolazione». Una sfida decisamente ostica. «Il nostro studio più recente svolto per l’Ufficio federale della comunicazione ci ha fatto capire che c’è una differenza di fondo. I media tradizionali intendono le notizie come ciò che si dovrebbe sapere, mentre il pubblico giovane vede le notizie anche come ciò che è utile, interessante e divertente sapere per loro. Per i giovani informazione fa rima con intrattenimento. Con tre canali preferenziali su cui muoversi: i social media, i motori di ricerca e i portali video, come Youtube. I giovani usano questi tre strumenti per cercare informazioni e per intrattenersi», ci dice ancora Eleonora Benecchi dell’USI di Lugano. 

Le redazioni giornalistiche si trovano così confrontate con un dato di fatto: il loro modo di agire non riesce a intercettare i giovani o perlomeno una buona parte di essi. «Gli sforzi fatti finora rivelano che non ci sono risultati significativi, lo dice anche l’annuario sulla qualità dei media nel nostro Paese». La professoressa Benecchi ci fa però notare che a volte il contatto tra questi due mondi funziona. In casa RSI vanno molto bene i filmati di informazione e intrattenimento di «Spam», dedicati proprio ai giovani mentre, ed è un altro esempio, «la BBC sta facendo un lavoro importante su Tiktok per far passare i propri contributi informativi. Anche in Svizzera questo social media è molto importante, visto che il 40% dei ragazzi lo usa regolarmente. Sulla pandemia i giovani hanno individuato la televisione come il mezzo più affidabile, ma si sono informati molto attraverso i social media, confrontandosi poi direttamente con amici e parenti quando sentivano il bisogno di verificare le notizie trovate online». Gli studi in materia ci dicono infatti che i giovani sono consapevoli del fatto che i social media sono meno affidabili rispetto ai media tradizionali, pur passandoci parecchio tempo. Da qui una certa attenzione a non lasciarsi mettere in trappola dalla disinformazione, con la famiglia, la scuola e le stesse redazioni chiamate a tener alta la guardia. 

E non si tratta solo di media e di giornalismo perché vista l’ampiezza del fenomeno c’è il rischio di ritrovarci un giorno non più in una democrazia ma in una società dominata da incantatori di serpenti, che a suon di algoritmi incanalano a loro piacimento i flussi dell’informazione, non più libera ma controllata. Di questo in fondo si tratta, né più né meno. Per i giovani e per tutti noi.