Il dottor Philipp Fallscheer, specialista in chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica (Vincenzo Cammarata)

Giovani (e belli) per sempre

Anatomia - Chirurgia estetica e paura della morte nella conferenza pubblica alla Clinica Sant’Anna
/ 20.01.2020
di Maria Grazia Buletti

«In un’ampollina… L’elisir della giovinezza. Il segreto della vita eterna. Il potere di una pozione magica. A volte funziona… Io ho settantuno anni suonati! Ecco che effetto fa. Arresta il processo di invecchiamento all’istante, e lo costringe a regredire. Beva quella pozione, e non invecchierà mai più, neanche di un solo giorno. Non la beva, e continuerà a vedersi imputridire»: in questa esortazione di Lisle (depositaria di una magica e antesignana parvenza di medicina estetica) sta il senso del lungometraggio Death Becomes Her (in italiano: La morte ti fa bella). Una commedia nera che ricordiamo per la trama grottesca nella quale Madeline (interpretata magistralmente da Meryl Streep) manda all’aria il matrimonio della sua migliore amica Helen col chirurgo Ernest che alla fine diverrà suo marito. Poi, tutto ruoterà attorno alla chimera di vita e giovinezza eterne che entrambe le protagoniste perseguiranno rivolgendosi alla stessa misteriosa clinica dove l’affascinante Lisle persuaderà Madeline a comprare un elisir di lunga vita che la renderà per l’appunto, bella e immortale. Finché entrambe le donne, ansiose di eterna bellezza, andranno inesorabilmente in pezzi. 

«Giovani per sempre: chirurgia estetica e paura della morte» è il titolo del tema proposto mercoledì 22 gennaio dalle ore 18.00 (nella seconda conferenza del ciclo «L’Ora Blu») alla Clinica Sant’Anna di Sorengo, in cui interverranno il dottor Philipp Fallscheer e il dottor Giovanni Barco (specialisti in chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica), la pediatra Marianne Caflisch dell’Ospedale Universitario di Ginevra e le dottoresse ideatrici del Ciclo di conferenze «L’ora blu» Petra Donati e Cari Platis.

Un tema di crescente attualità che nell’incontro con il pubblico metterà su un piano colloquiale quel che sempre più impone la nostra società dei consumi nella quale la «manutenzione» è sempre necessaria, si tratti di un’automobile o, per restare nella metafora cinematografica, di una bionda «pozionata» da una maga. 

Durante la serata si avrà modo di disquisire sull’ideale di bellezza e sulla sua evoluzione, sull’era social nella quale siamo sempre più immersi e sulla relazione fra selfie, immagine di sé e realtà. E ancora: sull’età come variabile o meno del ricorso al ritocchino di persone sempre più giovani, sulla medicina estetica e sulla chirurgia plastica che potrebbero sconfinare nell’illusione di esorcizzare l’invecchiamento e, di conseguenza, la paura della morte.

Un universo vasto nel quale ci siamo addentrati, almeno un poco, insieme al dottor Philipp Fallscheer che ha dapprima definito chi sia il chirurgo estetico: «Utilizzando una citazione, posso dire che il chirurgo estetico è uno psichiatra con capacità estese».

Con questa efficace definizione, il dottore ci parla della sensibilità necessaria per ascoltare le persone e comprendere cosa hanno bisogno, «senza cadere nel tranello di voler dare tutto ciò che esse chiedono, magari in modo poco differenziato e omologato». L’etica è il primo concetto saliente che emerge parlando di un mondo in cui i trattamenti di medicina e chirurgia estetica si moltiplicano, e alcuni media li mettono sotto i riflettori con una luce molto diversa dalla realtà («bisogna chiedersi se siano tutti necessari»). Affidarsi in mani poco professionali o poco esperte è il pericolo che sta dietro l’angolo («magari sono interventi non sempre eseguiti in modo così ineccepibile»): «Questo si ripercuote sul professionista serio che lavora con senso etico, con il risultato che spesso tutta la categoria viene messa sotto accusa». 

C’è confusione, ma ci sono anche professionisti etici e affidabili. Saper ascoltare la persona, cercare di comprendere i suoi sogni e i suoi bisogni sono condizioni essenziali per il chirurgo estetico. «Una parola molto importante del mio vocabolario è “no”, quando questa si rende necessaria, anche se cerco di comprendere le motivazioni della persona che ho davanti». Tatto, abilità ed empatia emergono come fattori salienti in una comunicazione medico-paziente che sta alla base di un risultato adeguato alla persona stessa. Che si tratti degli interventi più praticati a livello mondiale come blefaroplastica, rinoplastica, mastoplastica e liposuzioni, o di trattamenti estetici («per i quali pure bisognerebbe affidarsi a un serio professionista chirurgo estetico, diffidando dei centri estetici che non sempre dispongono delle risorse per far fronte a eventuali possibili complicazioni»), emerge un professionista accorto ed empatico: «Ascoltare, comprendere, esprimere un proprio parere medico accompagnato da una simulazione o dalla spiegazione attraverso immagini o un disegno, permettendo alla persona di esprimere ciò che desidera, fanno parte di un approccio volto a garantire un risultato per il quale la persona possa uscire di qui più contenta di quando vi è entrata. Ciò che vorrei è consentire a chi ho dinanzi di riflettere bene, affinché se si fa qualcosa bisogna che sia fatta in modo adeguato e soprattutto privo di esagerazioni». 

Il nostro interlocutore ci spiega l’importanza della profonda conoscenza dell’anatomia e dell’anatomia estetica che concedono al medico di riuscire a valutare e ad applicare le regole delle proporzioni e delle misure estetiche che, comunque, ci spiega, tutti possediamo in modo innato. Emergono altre due parole chiave come armonia ed equilibrio: «Dobbiamo ricordare che esiste un’armonia di età interiore e una che il nostro esteriore riflette: quando quella esteriore sembra più “vecchia” di come ci si sente, allora potrebbe intervenire il desiderio di apparire più giovani esteticamente anche fuori, logicamente». 

Legittimo dunque desiderare di andare verso qualche ritocchino se questo ci fa sentire meglio, purché affidato a mani esperte e professionali che sapranno agire con etica in modo che il risultato non esca dal perimetro dell’armonia e dell’equilibrio. Viene da chiedersi se la chirurgia estetica possa essere un palliativo per aiutare a dimenticare la mortalità. «Potrebbe essere una teoria, io non ho una risposta», risponde francamente, aggiungendo: «Credo di poter interpretare il pensiero collettivo sul fatto che la paura della morte sia comune a tutti i mortali. Sentirsi belli, sempre più belli, sempre ancora belli potrebbe allora aiutare a farci vivere più momenti in cui non ci ricordiamo di questa legittima paura». 

Ci spiega che l’evoluzione della specialità volge verso i trattamenti non invasivi, anche se dice di non avere la sfera di cristallo: «Più che della chirurgia plastica, i miei timori riguardano il futuro della nostra società che ha accusato una crescita incredibile del desiderio di modificare se stessi, rischiando di andare anche un po’ oltre a quanto si possa reputare sensato».