Il 9 marzo di cinquant’anni fa, gli studenti della Magistrale di Locarno occuparono l’Aula 20, dando inizio ad una protesta che durò quattro giorni ma che produsse effetti che ebbero lunga e vasta eco.
Intitolato «Il sogno di una cosa», sta prendendo forma nelle pagine del portale di storia partecipativa lanostraStoria.ch un dossier che raccoglie una generosa selezione di documenti conservati nelle Teche RSI. Pur mettendo al centro dell’interesse quanto accadde durante l’intero arco di quell’anno che davvero segnò un’epoca, la scelta dei documenti abbraccia un periodo storico assai più vasto, che va dal 1963, estendendosi per quasi due decenni.
Ragione di questa scelta editoriale è il fatto che il Sessantotto – posto pressoché alla fine di quella che lo storico Eric J. Hobsbawm definì l’«Età dell’oro» (1946-1973) del Secolo breve – non fu un movimento sociale che nacque dal nulla, e neppure si esaurì in quell’anno stesso. Aveva radici che si prolungavano almeno fino all’inizio di quel decennio, e la molteplicità dei soggetti sociali coinvolti, la varietà degli ambiti che ne vennero toccati, nonché l’estensione geografica del movimento diedero luogo a processi di trasformazione che si svilupparono per almeno due decenni sotto il segno di un’esplicita rivendicazione giovanile, prima di diventare esperienza esistenziale condivisa a tutti e a tal segno intrinseca al comune sentire, da non più poter essere identificata come causata da quelle contestazioni di piazza.
Mentre nelle Teche della RSI spiccano i volti degli studenti Sergio Cavadini e Dino Balestra – l’uno perché portavoce di coloro che decisero di occupare l’Aula 20, l’altro perché critico nei confronti dell’azione di protesta –, colpisce osservare l’anticipazione delle contestazioni ticinesi rispetto al resto della Svizzera, che il dossier su lanostraStoria.ch documenta con una ormai dimenticata marcia per la pace avvenuta a Bellinzona nell’aprile del 1967.
Se è vero, come suggerisce il titolo (Voce e specchio) della storia della RSI curata dal Theo Mäusli, che la Radiotelevisione svizzera di lingua italiana è stata uno specchio della nostra regione, allora è utile studiarne i documenti pubblicati su lanostraStoria.ch per comprendere quale immagine i cittadini della Svizzera italiana avevano del Sessantotto. Interessante, quindi, osservare che, ancor prima della bellinzonese marcia per la pace, la RSI aveva prestato attenzione alla cultura alternativa americana, mandando in onda servizi dedicati al Greenwich Village, intercettando l’emergere di una cultura insofferente agli schemi, e dedicando servizi agli scrittori della beat generation e ai loro epigoni europei.
L’aula 20 della Magistrale non era ancora stata occupata, al maggio parigino mancavano ancora tre mesi, e «Prisma», la sera del 7 febbraio 1968, mandava in onda un’inchiesta di Marco Nessi tra i giovani ticinesi per conoscere il loro grado di soddisfazione e i loro desideri di cambiamento. Il titolo recitava: La parola ai giovani; apprendisti e studenti di tutto il paese parlarono del loro vissuto e delle loro aspettative, ponendo in tal modo in primo piano la «questione giovanile». Successivamente, lo «specchio TSI» estese lo sguardo da Berlino Est a Cuba, dalla Spagna al Belgio – talvolta mettendo a fuoco i rapidi cambiamenti nei costumi, altre volte documentando rivendicazione di carattere più strettamente politico.
Il dossier su lanostraStoria.ch dimostra che nella nostra regione si ebbe ben chiaro che stava accadendo qualcosa che non avrebbe più lasciato il mondo come prima, investendo ogni aspetto della vita quotidiana con un incalzare di eventi che acquisirono un’eco planetaria nel mese di ottobre, quando alle Olimpiadi del Messico i due atleti di colore americani Tommie Smith e John Carlos, guardando in basso mentre suonava l’inno americano, levarono al cielo il pugno guantato di nero, simbolo del Black Power, espressione radicale del movimento per i diritti civili negli Stati Uniti. Da questo punto in poi, il dossier «Il sogno di una cosa», con una cinquantina di video, segue le tracce del post Sessantotto, nella politica, nella scuola, nella musica, nel costume, arrivando a mostrare anche documentari di recente realizzazione – come Mio padre era un hippy di Michelangelo Gandolfi – che vanno in senso contrario, che risalgono cioè il corso della memoria per esplorare ciò che nello specchio della TSI non si poté vedere perché troppo intimo: il desiderio di un mondo nuovo dei giovani ticinesi oggi settantenni.