Giorni migliori, nella difficoltà

Cure palliative a domicilio - La Fondazione Hospice Ticino, nel ventennale della sua attività, è stata confrontata con l’anno di pandemia
/ 17.05.2021
di Maria Grazia Buletti

«Non abbiamo bisogno di giorni migliori, ma di persone che rendano migliori i nostri giorni, e ci adoperiamo perseguendo sempre questo obiettivo», è la riflessione del direttore della Fondazione Hospice Ticino Omar Vanoni nel definire le cure palliative e nel descrivere il ventaglio di ambiti in cui esse sono prodigate. Concorde con l’infermiera consulente in cure palliative Lorenza Ferrari e la collega Milena Angeloni (ora in pensione e memoria storica del sodalizio), egli ne puntualizza missione e obiettivi: «Le cure palliative (dal latino pallium che significa mantello, coperta) sono atti terapeutici che comprendono cure fisiche, ma pure sostegno psicologico, sociale e spirituale verso persone gravemente ammalate e loro famigliari. Cure che non si contrappongono a quelle che perseguono la guarigione dalla malattia, ma propongono un approccio integrativo e globale alla cura di malattie gravi».

Lorenza Ferrari ammette che ancora oggi la percezione della realtà delle cure palliative non è ancora perfettamente chiara e si divide in due differenti forme: «Non si ha sempre una percezione approfondita di ciò che sono e cosa offrono: non ci si è ancora sufficientemente staccati dall’idea che esse siano prodigate attraverso la somministrazione di morfina durante gli ultimi giorni di vita dei pazienti oncologici». Le fa eco Milena Angeloni: «Non è più così da tempo, anche se talvolta pure i professionisti faticano a entrare nella giusta ottica e per alcuni di loro la concezione delle cure palliative è migliore, ma non ancora sufficiente dato che taluni ammettono ancora di ricorrervi troppo tardi, usufruendone quando il paziente è oramai alla fine, mentre ripetiamo che lo spettro di azione ha un raggio molto più ampio e benefico per paziente e famigliari».

Lorenza e Milena concordano sul non confondere le cure palliative con le cure alternative, così come sul tatto e l’empatia che bisogna mettere in campo: «Chi vi si è avvicinato comprende che esiste il tabù della morte, perché è ovvio che stiamo parlando di un periodo della vita che si rivolge alla sua ultima fase. Per questo, la fondamentale sensibilità del paziente e dei suoi famigliari è rispettata: non facciamo nulla che non sia desiderato e se il desiderio è quello di non parlare di certi argomenti, lo esaudiamo». Nel 2020 il sodalizio ha compiuto 20 anni, un traguardo importante durante la pandemia di Coronavirus che ha riportato prepotentemente alla ribalta il nostro rapporto con l’età avanzata, le malattie che la possono accompagnare e il rapporto che la nostra società ha con il tabù della morte.

E non c’è neppure stato il tempo per stilare un bilancio del ventennio di attività, né per fermarsi a festeggiare. È però chiaramente emersa l’importanza delle cure palliative che hanno visto incrementare fortemente i bisogni, spiega il neo direttore sanitario dottor Brenno Galli: «Nel 2020 abbiamo curato 627 persone a domicilio a fronte delle 496 del 2019. Sono aumentati pure i decessi a domicilio: 200 nel 2020, 120 nel 2019». Lorenza riassume il nuovo scenario che ha mutato le cure palliative dagli esordi a oggi, vedendo affacciarsi all’orizzonte altre patologie, con il loro carico di bisogni di cure palliative e a domicilio che richiedono una specifica presa in carico di Hospice Ticino: «Pensiamo ai pazienti affetti da patologie neurologiche come la SLA, situazioni molto complesse anche dal profilo relazionale, che si trascinano per anni e non solo con un carico emotivo che va a coinvolgere anche i famigliari». Riflessione a cui si aggancia Milena: «Pensiamo anche ad altre situazioni legate ai problemi cardiocircolatori e respiratori che andrebbero considerati ancor prima che la situazione arrivi a uno stato avanzato. Senza dimenticare le demenze senili, per quanto sia possibile assumersene a casa la cura in sostegno e concomitanza alla famiglia: il tutto va a completare come dicevamo il quadro di cure palliative oncologiche».

Una presa in carico complessa e interdisciplinare evidenziata dal direttore Vanoni che porta ad esempio la collaborazione con alcuni di questi partner del sistema sanitario: «Medici di famiglia, cure domiciliari, fisioterapisti e affini, assistenti sociali e non da ultimo medici ospedalieri». Questa rete vede Hospice come perno e assicura un efficace e competente sostegno ai famigliari curanti, votato all’erogazione di cure palliative adeguate proprio in un momento storico che ha visto la filosofia sociale attraversare l’idea che il domicilio rimane un luogo ancor più da privilegiare per la cura, sebbene talvolta restare a casa potrebbe comportare dei limiti da non sottovalutare, valutati perciò di volta in volta da Hospice.

Il dottor Galli ben descrive quest’anno pandemico e i suoi perché, accompagnato da un carico di lavoro e psicologico cui il personale Hospice ha dovuto fare fronte: «La pandemia di Coronavirus ha aumentato il senso di famiglia, molte famiglie non hanno più voluto portare il proprio anziano all’ospedale (per il rischio di non poterlo più visitare), rinsaldando il senso di appartenenza e occupandosi personalmente dell’anziano e dell’ammalato, scelta che ha portato pure a un aumento di decessi a domicilio. I famigliari hanno voluto rimanere fino all’ultimo accanto al loro caro, richiedendo consulenza e Cure palliative adeguate. È ovvio che per andare incontro a questa richiesta debbano essere dati i presupposti, come la consulenza che Hospice Ticino offre».

Inoltre, il dottor Galli non manca di sottolineare che la pandemia ha reso ancora più urgente la necessità di doversi chinare sulle cure palliative anche nelle case per anziani: «Con il Coronavirus, per la prima volta, da noi, la medicina si è dovuta confrontare con l’aspetto etico della redistribuzione delle risorse, mettendoci dinanzi a scelte difficili ma necessarie che poco c’entravano con la polemica sulle case anziani. Con cure e cure palliative adeguate, si rende superfluo il trasferimento in ospedale dell’anziano che non sempre gli è benefico». A suffragio di questa riflessione egli dice: «Malgrado i presupposti migliori, statisticamente, gli anziani deceduti per Covid in ospedale sono pari a quelli deceduti nelle case per anziani, con la differenza che l’anziano rimasto in sede ha potuto essere curato in un contesto e ambiente a lui familiare e rassicurante, con meno disorientamento e isolamento».

A fronte delle difficoltà vissute anche dal personale di Hospice, egli oggi si ripropone di fare tesoro del vissuto, ponendo delle priorità e tornando a offrire anche quei servizi importanti che erano stati ostacolati dal Covid: «Ad esempio le visite ai parenti dopo il lutto e tanto altro ancora, individuando i punti di maggiore sofferenza vissuta e facendo tesoro dell’esperienza per dare spazio a un nuovo inizio».