Appuntamento

Sul tema, mercoledì 28 settembre, alle 18.30, avrà luogo una conferenza pubblica virtuale, con i dottori Marco Delcogliano e Luca Deabate. Vedi link


Ginocchio, quando serve il bisturi?

Medicina - La tecnologia in aiuto delle nuove strategie chirurgico-ortopediche
/ 26.09.2022
di Maria Grazia Buletti

«Nel corpo umano più andiamo in periferia e più le articolazioni sono complesse per fare fronte alla sollecitazione e all’enorme mobilità che sono chiamate a sopportare». A parlare è il dottor Marco Delcogliano (caposervizio di Ortopedia e traumatologia dell’Ospedale Regionale Bellinzona e Valli) che incontriamo con il suo omologo e responsabile cantonale Chirurgia del Ginocchio EOC Luca Deabate, per scoprire le patologie di tale articolazione e cosa ha in serbo il futuro della chirurgia ortopedica a questo proposito.

«Il ginocchio è un’articolazione complessa perché è quella di maggiore superficie, presenta parecchi legamenti ed è alquanto sollecitata». Così l’ortopedico conferma una statistica della Suva secondo la quale ginocchia e caviglie sono proprio tra le articolazioni più soggette a un grande numero di traumi indipendentemente se parliamo di sportivi o persone comuni.

Dal canto suo, Luca Deabate ripercorre le patologie più comuni che possono interessare le nostre ginocchia, suddivise in due tipologie: «Quelle traumatiche (con o senza fratture) e i processi degenerativi, compresi quelli che interessano la cartilagine. Ci si può imbattere, ad esempio, in lesioni del menisco, del legamento crociato anteriore e di quelli collaterali: lesioni spesso associate ad attività dovute alla pratica di sport con impatto come sci e calcio, soprattutto nei pazienti molto giovani». Indicando le lesioni degenerative come un progressivo deterioramento dei tessuti, Delcogliano completa la lista: «Vi è un tipo di artrosi che fa parte dell’uomo (idiopatica), in cui l’invecchiamento e la degenerazione dei tessuti articolari e della cartilagine creano attrito fra le ossa. Ne consegue il dolore. Ma l’artrosi può essere anche secondaria a elementi multifattoriali come predisposizione famigliare, problemi morfologici (ginocchia vare o valghe con un consumo cartilagineo irregolare o artrosi femoro-rotulea».

In prima battuta, l’approccio diagnostico suggerito dagli specialisti alle problematiche del ginocchio è di tipo clinico: «Un’anamnesi accurata durante la visita del paziente precede sempre eventuali esami diagnostici». Il chiaro messaggio riguarda il fatto che eventuali complementi di Imaging (Rx, Risonanza, TAC), spesso richiesti dal paziente stesso, devono servire solo a confermare l’ipotesi clinica postulata dallo specialista e, dunque, va valutata di caso in caso l’effettiva necessità. I due medici concordano sul fatto che: «Non dobbiamo curare la risonanza o la radiografia, bensì il paziente. E questo è soggettivo anche dal profilo sintomatologico: ci sono ginocchia poco rovinate che fanno tanto male, e ginocchia tanto rovinate che dolgono poco».

Comunque, il bisturi non è sempre la prima scelta: «Si rende necessario solo al termine di un percorso diagnostico-terapeutico conservativo, e nell’ambito di una valutazione di ciascun caso condivisa all’interno del team chirurgico-ortopedico». Deabate parla chiaro: «L’obiettivo è sempre votato a ripristinare la funzionalità che il ginocchio aveva prima del trauma, ma questo è possibile solo fino a un certo punto, in quanto ogni paziente è un individuo: ciascuno avrà proprie caratteristiche lesionali (e/o anagrafiche) secondo le quali la nostra équipe procederà a una personalizzata valutazione. Sapremo così se indirizzarci o meno verso un approccio di tipo rigenerativo».

Una presa a carico individuale che dipende da diversi fattori: «Età, attività ed esigenze del paziente, insieme all’ampiezza delle lesioni, permettono di individuare il tipo di approccio chirurgico terapeutico migliore». Delcogliano chiede di immaginare la cartilagine nell’articolazione come: «un muro di piastrelle in ceramica bianche e lisce che possono andare incontro a una lesione o, col tempo, a deterioramento e, quindi, artrosi. La sua poca irrorazione sanguigna ne fa purtroppo un tessuto con pochissimo potenziale rigenerativo. Nell’approccio chirurgico mini invasivo, laddove è possibile, andiamo a creare un tessuto simile alla cartilagine che possa ripararla o ricostruirla: ciò funziona solo quando la superficie da risanare è di dimensioni limitate».

Una chirurgia più importante è utile quando il danno al «muro di piastrelle» è esteso, spiega Deabate: «L’obiettivo è quello di ricostruire una buona cinematica del ginocchio affinché possa nuovamente muoversi adeguatamente nello spazio e in cui i vari legamenti funzionino in ottimo rapporto fra di loro in un’articolazione solida e stabile». Questo sarà possibile solo con l’inserimento di un impianto protesico, intervento che ha subito una grande evoluzione: «Oggi disponiamo di un ampio ventaglio di nuove e sempre più efficaci strategie terapeutiche chirurgiche; questo succede anche nell’ambito delle protesi totali per le quali la tecnologia robotica ci viene in aiuto già durante l’intervento stesso, in sala operatoria».

L’ortopedico definisce il proprio ruolo come quello di «un buon artigiano»: «Gli strumenti tecnologici di cui disponiamo ora ci permettono di affidarci meno solo al nostro sentire, ma consentono di misurare precisamente la meccanica di movimento di quel ginocchio che dobbiamo sostituire con la protesi. Ciò significa che l’intervento è di altissima precisione e il risultato oggettivabile e personalizzato: il robot ci viene in aiuto in corso di intervento già prima della posa della protesi, ricreando sullo schermo la ricostruzione di quel ginocchio e fornendo un’idea del suo movimento. Questo facilita la precisione della sua ricostruzione». È la descrizione di un intervento della cosiddetta «protesi di ginocchio navigata» e rappresenta una delle nuove frontiere della chirurgia ortopedica che non farà però mai a meno della mano del chirurgo: «Robot e navigatore servono a oggettivare i dati e indicano cosa fare e come fare meglio, secondo quella che è e rimane la nostra arte».

Marco Delcogliano conclude sostenendo la tesi secondo cui: «Un chirurgo esperto sa come usare il navigatore per migliorare il proprio intervento e perfezionarne il risultato».