Stiamo entrando rapidamente nel futuro, e sarà il futuro di una società di anziani, di «vecchi». Lo dicono, chiare e spietate, le cifre. La parola «anzianità» – così come il termine infido di «vecchio» – si presta alle più diverse interpretazioni. Evocava fino a poco tempo fa immagini di declino, di decadimento, nella migliore delle ipotesi di tristezza. Oggi, fortunatamente, la mentalità si è evoluta ed essere anziani significa sia godere di un patrimonio di esperienza, di saggezza e di affetti, ma anche possedere la certezza che nessuna età può dirsi migliore di un’altra, perché si parla piuttosto di longevità, di rinnovata voglia di vivere, di scoperta di nuovi orizzonti.
Eppure diventare anziani comporta sempre, anche se in forme molto diverse per ognuno, l’arrivo di un leggero decadimento di alcune funzioni, comporta l’accettazione del calo di alcune prestazioni mentali, che possono riguardare la vista, l’udito, la prontezza mentale, la concentrazione, e prima di tutto la memoria. Questa funzione infinitamente complessa e delicata della nostra mente, che ci consente di conservare le informazioni, recuperarle, restituirle, è oggetto oggi di continue ricerche.
Come noto, sono molti i tipi di memoria, quella a breve termine è la più insidiosa, è quella che ti fa innervosire quando il nome di una persona o di una località «viene in mente» con inspiegabile ritardo, è quella che ti fa dimenticare cosa stavi facendo poco prima, o dove avevi collocato un oggetto.
Si può fare molto, naturalmente, per la sua riattivazione. Da più parti ormai si insiste sullo stile di vita, sull’alimentazione, sul fatto che aiutino la continua curiosità, il mantenersi in contatto con gli stimoli esterni, l’esercizio costante, e anche la meditazione, come sostengono alcuni; sul mercato sono facilmente disponibili pubblicazioni e corsi per aggiornarsi.
Ma dall’alba dei tempi abbiamo loro, le piante medicinali che hanno dato origine alla moderna farmacologia e che da sempre ci attendono per essere sperimentate, per donarci il loro aiuto. Le piante indicate per curare i disturbi della memoria e il rallentamento delle funzioni cognitive, sono quelle che producono un’azione dilatatrice delle arterie, delle vene, dei capillari e che con questo favoriscono la microcircolazione cerebrale: sono la curcuma, il garofano, il ginkgo, la pervinca, la quercia, la rodiola, la sequoia.
Un cervello meglio irrorato non può che funzionare meglio, inoltre la certezza di essere protetti dall’azione di queste piante medicinali non può che infondere sicurezza e fiducia in sé, effetto placebo o no. Tuttavia, ci raccomandiamo: non si finirà mai di sconsigliare di curarsi senza una guida valida. Le piante sono potenti, e occorre essere pienamente consapevoli che non sono mai del tutto prive di pericolosità.
Originario del continente asiatico, il Ginkgo biloba L. è un albero leggendario, antichissimo e sacro. Considerato l’ultimo sopravvissuto della sua stirpe, affonda le proprie radici nel suolo di 250 milioni di anni or sono, tanto da essere ritenuto un fossile vivente. Un esemplare arrivò per la prima volta in Europa nel 1750, e pare sia quello presente nell’orto botanico di Padova. È simbolo della capitale di Tokyo, alberi di Ginkgo antichissimi si trovano in Cina, nei pressi dei monasteri, piantati nei secoli dai monaci, e sei esemplari tuttora esistenti sono sopravvissuti alle radiazioni della bomba atomica di Hiroshima.
Il tronco può raggiungere 25 o 40 metri di altezza, e le sue foglie (caduche e utilizzate in fitoterapia), sono di un tenerissimo verde d’estate e di un bel giallo dorato in autunno.
Anche il nome, ovviamente, è di derivazione orientale, mentre il secondo termine, «biloba», deriva dal latino e fa riferimento alla forma particolarissima delle sue foglie. Di fatto significa avere due lobi. Osservando dunque questi due lobi, non fanno pensare ai due emisferi del cervello umano?
Preparati di Ginkgo vengono appunto usati per il trattamento di lievi e moderate insufficienze cerebrali che presentano sintomi di deficit mnemonico, difficoltà di concentrazione, stati depressivi emotivi, vertigini, cefalee, possono inoltre liberare dal dolore persone affette da arteriopatie periferiche (come nel caso della claudicatio intermittens) e trattare malattie dell’orecchio interno, come le vertigini di origine vascolare e involutiva. Recenti ricerche farmacologiche cinesi hanno suggerito la possibilità di curare con questi estratti anche le disfunzioni coronariche relative all’avanzamento dell’età.
Johann Wolfgang von Goethe amava molto questo maestoso albero, e così ne scriveva: «La foglia di quest’albero, affidato / dall’Oriente al mio giardino, / sensi segreti fa gustare / al sapiente e lo conforta / è una cosa viva che / in se stessa si è divisa / O son due che hanno scelto / le si conosca in una? / In risposta alla domanda / in senso giusto l’ho trovato: / non avverti nei miei canti, / che son duplice e sono uno?».
Bibliografia
Gabriele Peroni, Driope. Trattato di fitoterapia, Nuova Ipsa Ed.