In Ticino, ragazzi e bambini praticano più di 40 sport. Sono circa 49mila coloro che nel 2015 hanno scelto almeno una disciplina, 31 mila ragazzi e 18 mila ragazze. Il maggior numero si cimenta in calcio, ginnastica sotto varie forme, sci, tennis, basket e nuoto. I monitori che si sono messi a loro disposizione sono stati 8340, come si evince dalle statistiche dell’Ufficio dello Sport del DECS. Ma chi sono? Maestri, amici, padri? Per cercare di capirlo, abbiamo parlato con quattro di loro: due ex giocatori, Flavien Conne che lavora ora per le giovanili dell’Hockey Club Lugano, e Dario Rota, che allena i 17enni e 18enni del Chiasso, oltre a Fabio Bassani che si occupa delle ragazze di 16 e 17 anni del Bellinzona Basket e Dolores Dalmas, la quale lavora con le giovani dai 10 ai 18 anni della gymnastique nella Società Federale di Ginnastica di Locarno.
Se per Conne è stato un percorso naturale passare da giocare ad allenare, la voglia a Rota è tornata dopo sei anni di inattività. «I giovani devono imparare molto dal punto di vista tecnico, tattico e fisico, puoi insegnare loro parecchio, al contrario di quanto avviene coi cosiddetti attivi», ci spiega. Già, insegnare: come? Flavien Conne ha a che fare con ragazzi di ogni età, dagli esordienti a chi è a un passo dalla prima squadra. «È ciò che mi piace di più. Un buon allenatore è come un maestro di scuola, ha esigenze diverse a seconda dell’età. Bisogna fare un click, parlare nel mio caso di hockey in modo diverso. Quando si lavora con bambini fra 10 e 13 anni, per esempio, si deve rimanere nel loro mondo e nel loro ambito, soprattutto nel modo di comunicare, non essere troppo duri e mettere troppa disciplina. Gestiamo gruppi, ma anche individualità, vanno trovate parole diverse per ogni singolo caso».
Le differenze non si notano solo in base all’età, ma anche al sesso. Bassani, che ha avuto a che fare con ragazzi e ragazze, ce lo fa notare. «Sono dinamiche diverse, personalmente ritengo che sia più difficile gestire un gruppo femminile. I maschietti, se hanno problemi, li risolvono subito, magari anche in modo duro, mentre con le ragazze è più complicato, talvolta per gelosie che ristagnano».
I nostri interlocutori non hanno mai dovuto affrontare casi di bullismo e machismo, fortunatamente. «La società impone regole interne a livello relazionare per frenare fenomeni del genere», afferma Conne. «L’hockey è una scelta, e il gruppo ha una forte motivazione comune».
Allenare da tanti anni vuol dire essere confrontati con il mutamento dei giovani, che, come dicono molti luoghi comuni, non sono più quelli di una volta. Bassani osserva che non hanno più la «fame di arrivare» di una volta, che lo sport è solo divertimento ed evasione, e Rota conferma. «Gli stranieri, con un vissuto difficile alle spalle, ne hanno spesso di più: basti pensare alla Nazionale Svizzera, con diversi naturalizzati». Conne ha il compito di esserci per tutti, «cerco di dare una mano ai ragazzi a realizzare il loro sogno, sia esso giocare in NHL oppure meno ambizioso. Cosa cercano nell’hockey? Socializzazione, risultati, ambizione, divertimento: per ciascuno c’è un po’ di tutto ma in proporzioni diverse».
Ovviamente, non tutti sono dotati allo stesso modo. L’obiettivo è includere chiunque, ricordandosi che lo sviluppo non è per forza lineare. «Quando hai di fronte un atleta non molto forte, devi allenarlo non più in vista di un futuro ma per farlo divertire praticando sport», dice Bassani. Per Dalmas, «ogni ragazza è benvenuta. Ma se una non è particolarmente dotata, lo diciamo subito ai genitori, per evitare che si facciano illusioni».
Quello dei genitori è un altro capitolo ampio. «Ci sono genitori che pretendono risultati. Mettiamo però una barriera, perché includerli implica che possano dire le loro opinioni ed è sbagliato, devono rimanere genitori e non fare gli allenatori perché non hanno le competenze. Solo una volta è successo che una ginnasta ha deciso di andare in un’altra società, la mamma era molto ambiziosa e pensava che non eravamo in grado di dare alla figlia ciò di cui aveva bisogno», aggiunge l’allenatrice. Bassani sostiene che bisogna mostrare ai genitori che le scelte sono effettuate per il bene dei ragazzi. «Magari convoco il genitore ad un allenamento e gli mostro che il figlio non riesce a eseguire un esercizio. Ma il rapporto con loro è fondamentale se non vai d’accordo con mamma e papà non puoi lavorare bene».
Sport vuol dire anche rapportarsi col proprio corpo, e in una disciplina come quella allenata dalla signora Dalmas è fondamentale. «Le mie sono ragazze che sono in forma, quello che posso vedere è che sono a loro agio col corpo, devono esserlo perché il nostro è uno sport dove il movimento corporeo è al primo posto, il sentirsi a proprio agio permette di presentarsi nel migliore dei modi. Chi è a disagio non può praticare, dato che devi esporti e anche con divise aderenti».
Rota racconta come nelle società sportive si trovino giovani di ogni fascia sociale, ma ritiene che il Ticino, nonostante il centro di Tenero, sia indietro rispetto alla Svizzera interna. «Lì si trova un centro sportivo in ogni paese, da noi le varie strutture sono disgregate». Anche Conne sottolinea le difficoltà incontrate per la scarsa disponibilità di impianti. Così come l’eccessivo carico fra scuola e attività varie può essere un ostacolo. «Devono giostrarsi tra basket, flauto, scuola, spesso non sanno scegliere cosa portare avanti», si lamenta Bassani, mentre per Rota il carico degli allenamenti è eccessivo. «Tre sedute alla settimana più la partita sono troppe per bambini di 9 o 10 anni, se non hanno una grandissima passione a 15 anni smettono, anche se hanno talento».
Lo sport rimane una palestra di vita, dove ci si confronta con soddisfazioni e delusioni, a volte col giudizio degli altri. Così come deve essere: una palestra per crescere e non solo per divenire i futuri campioni.