(M. Martucci)

Fuori dall’aula

Formazione – L’outdoor learning, cioè l’imparare all’aperto, aiuta a sviluppare molte competenze
/ 05.03.2018
di Marco Martucci

«Fuori dall’aula!». A scuola è un comando perentorio. Ma «fuori dall’aula!» può anche essere un’esortazione, un invito alla classe e all’insegnante o anche un desiderio di quest’ultimo a varcare una soglia per continuare la lezione all’esterno, allo scopo di migliorarne l’efficacia.

Quando già insegnavo da diversi anni, uno dei miei figli rientrò un giorno da scuola particolarmente eccitato. Sapeva che il papà era professore di scienze e proprio per questo insisteva a mostrarmi un quaderno, con l’intenzione – come dopo capii – di farmi un grande piacere. Non stava più nella pelle: «Papà, abbiamo fatto le stagioni!». Detti un’occhiata attenta al quaderno e lessi ciò che mio figlio, con bella e ordinata grafia di scolaretto diligente, aveva scritto. E rimasi di sasso, mentre un brivido mi correva giù per la schiena. Una frase: «in inverno fa freddo perché la Terra è più lontana dal Sole». Che fare? Non dissi assolutamente nulla. Da una parte mi rincresceva smorzare un entusiasmo tanto sincero da far tenerezza. Dall’altra temevo di adombrare l’immagine che mio figlio s’era fatta dell’insegnante, per altro persona degna della massima stima.

Ancor oggi non so se la mia scelta di non intervenire fu giusta. Invero l’errore era madornale. Ed era un errore doppio, di contenuto e di metodo. Le stagioni non dipendono dalla distanza fra Terra e Sole; anzi, nel nostro inverno boreale siamo più vicini al Sole. E poi tutti sanno che gli australiani festeggiano il Natale sulla spiaggia perché da loro inizia l’estate e l’Australia non è certo più vicina al Sole. Com’è risaputo, le stagioni nascono dall’inclinazione dell’asse terrestre sull’eclittica, un concetto non tanto semplice da spiegare e da comprendere. Ma anche se l’insegnante avesse dato una spiegazione corretta – su questo c’è comunque da dubitare – avrebbe compiuto un altro tipo di errore, metodologico. Sarebbe stata una spiegazione ex cathedra, lontanissima dal mondo dell’esperienza quotidiana di un bambino. 

Cosa avrebbe dovuto fare, allora, per svolgere il tema delle stagioni? Avrebbe dovuto guardar fuori dalla finestra o meglio ancora invitare i suoi allievi a farlo. Le giornate si accorciano, il sole scalda per meno tempo, è più basso sull’orizzonte, le ombre sono più lunghe. Ma, per far questo, sarebbe stato necessario uscire o far compiere agli scolari delle osservazioni all’esterno, fuori dall’aula. Appunto. Il mondo non finisce lungo le quattro pareti dell’aula: anzi, proprio lì comincia e va avanti all’infinito, in attesa d’esser scoperto. Per sapere cosa c’è dall’altra parte della collina c’è poco da discutere: bisogna salirci sopra! Fuori dall’aula: la vera aula è il mondo, è l’universo. L’aula va bene per ripararsi dalla pioggia o dal freddo, per leggere e scrivere e per fare esperimenti di chimica o fisica, ma molte di queste cose si possono fare anche, e magari meglio, fuori dall’aula e non occorre neppure andar troppo lontano. È un processo educativo oggi noto in tutto il mondo attraverso l’anglismo outdoor learning, imparare fuori o, il che è lo stesso, outdoor teaching, insegnare fuori. In realtà, come spesso succede, non c’è nulla di veramente nuovo. Senza scomodare Aristotele che insegnava camminando con i discepoli lungo i viali del suo Liceo di Atene, apprendere e insegnare fuori, all’esterno, s’è sempre fatto. Imparare a sciare o a giocare a calcio, potare un albero o seminare il frumento, navigare su una barca a vela, osservare il cielo e riconoscere le nuvole o le costellazioni.

Ci sono un sacco di opportunità per imparare all’esterno, come i circoli sportivi, lo scoutismo, le associazioni ambientaliste con le loro attività rivolte ai giovani, i campi estivi, le vacanze e le escursioni in famiglia o, più spontaneamente, i giochi all’aperto con i sassi o con la terra, tanto per fare qualche esempio. Ma allora, si dirà, che c’è di nuovo e di particolare in questo outdoor learning? È il suo inserimento – in modo complementare e accanto al tradizionale insegnamento dentro un’aula – nell’educazione formale, cioè nei programmi scolastici. Ci sono scuole, come nell’Europa del nord, dove l’outdoor learning è pratica corrente; altre, nelle quali è limitato a periodi dell’anno o a luoghi appositi come la «scuola nel bosco». 

Un vero outdoor learning si fa con regolarità, quando è meglio che non lo stare chiusi in classe. I temi da sviluppare sono tantissimi, non limitati alla sola educazione ambientale, alle materie scientifiche o all’educazione fisica ma adatti anche ad altre discipline, a condizione che se ne ricavi un vantaggio rispetto allo stare soltanto in aula e che l’insegnante ci creda e non si arrenda di fronte alle piccole e comunque superabili difficoltà che potrebbero sorgere. Come il timore che la classe sfugga al controllo o che qualcuno possa farsi male o sporcarsi eccessivamente o la «biofobia» di certi genitori per i quali portare i figli nella natura consiste nel lasciarli in un parco giochi messo in sicurezza. Questi e altri piccoli problemi si lasciano risolvere facilmente con un poco di buon senso e di organizzazione e comunque quasi svaniscono di fronte agli innegabili vantaggi di un ben preparato outdoor learning, in grado di sviluppare molte competenze: lo sviluppo di progetti, la comunicazione, il lavorare in gruppo, la capacità di osservare e descrivere, la coordinazione dei movimenti, per citarne alcuni. Non da ultimo, la creazione di un coinvolgente rapporto con l’ambiente naturale, un suo apprendimento in prima persona, un’empatia verso la natura, valori preziosi oggi purtroppo pericolosamente troppo spesso assenti. 

Se poi all’outdoor learning s’aggiunge anche l’opportunità di collaborare alla ricerca scientifica, la motivazione non può che aumentare. È la citizen science dove il cittadino non scienziato di professione può, con le sue osservazioni e le sue misurazioni contribuire alla raccolta di dati importanti per la scienza. Esemplare in questo ambito è il programma internazionale di educazione scientifica e ambientale GLOBE, organizzazione non profit nata negli Stati Uniti nel 1994 sotto gli auspici dell’allora vicepresidente Al Gore e presente oggi in tutto il mondo, anche in Svizzera. Le attività di GLOBE, rivolte soprattutto alle scuole di ogni ordine e grado, spaziano dalla meteorologia all’osservazione dei mutamenti stagionali delle piante, dallo studio del suolo all’analisi dei corsi d’acqua: tutte attività svolte sul campo, all’aperto, con la possibilità d’inserire i dati raccolti in banche dati nazionali ed internazionali, a disposizione della comunità scientifica e di tutti i partecipanti in ogni parte del mondo.

Informazioni
www.globe-swiss.ch