Torniamo a parlare di spugne in questo secondo e ultimo servizio che si sofferma sulle loro caratteristiche e sulla loro utilità negli ecosistemi ambientali. Per chi fosse interessato, nell’articolo apparso su «Azione» del 2 marzo ( https://www.azione.ch/societa/dettaglio/articolo/le-spugne-usi-e-costumi-ieri-e-oggi.html ) scorso ci eravamo invece occupati degli utilizzi, antichi e contemporanei, delle spugne da parte dell’uomo.
Le spugne naturali, sia in acqua salata sia in quella dolce, precedono la comparsa dei nostri antenati e sono vissute a stretto contatto con l’uomo sin dagli albori della nostra esistenza sulla terra. Nell’era Precambriana, circa 600 milioni di anni or sono, la vita sulla terraferma non esisteva mentre quella marina era già ben differenziata. C’erano barriere coralline e scogliere, favorite dal clima caldo e dalla diffusa penetrazione della luce solare nella colonna d’acqua, determinata dalla scarsa profondità degli oceani. Negli attuali resti di quelle barriere coralline primigenie sono stati ritrovati fossili di due tipologie di spugne esistite: le specie Demospongiae, caratterizzate da uno scheletro siliceo e spongina (una proteina del collagene), e le Hyalospongiae, con scheletro siliceo e spicole non saldate (le quali possono essere di natura calcarea, cornea o silicea).
La lunghissima esistenza delle spugne ha determinato una quantità e varietà inverosimile di specie, poiché hanno saputo adattarsi tempestivamente al mutamento costante degli ecosistemi. Quelle viventi sono circa 8550, tutte classificate nel Phylum (Porifera), e si distinguono per una estrema diversità di colori, forme, dimensioni che possono anche trarre in inganno. Molte persone erroneamente le considerano delle piante, mentre si tratta di animali invertebrati che vivono attaccati a un substrato solido, così come i coralli, dai quali però si differenziano per molti aspetti.
I coralli sono organismi complessi, pluricellulari, mentre le spugne sono talmente semplici da non avere tessuto connettivo. I primi sopravvivono esclusivamente in acqua marina; le seconde vivono sia in acqua salata sia in quella dolce. Sicuramente entrambi, spugne e coralli, sono creature determinanti per il benessere dei sistemi corallini, che sono fra i più efficienti ecosistemi al mondo.
Le barriere coralline, ambienti immensi, brulicanti di vita, multicolori e multiformi, sono considerate l’ecosistema più produttivo dell’intero pianeta terra. Queste immense colonie di animali fissati al suolo, privi della possibilità di spostarsi altrove, come possono esistere e sopravvivere negli oceani tropicali, poveri di sostanze nutritive, che sono l’equivalente sommerso di un deserto? Sembrerebbe un paradosso, invece qui nulla viene sprecato e tutto è riciclato: potremmo considerarle economie circolari perfette.
Le barriere coralline sono, infatti, regolate da un efficientissimo utilizzo e riciclo dei nutrienti, tant’è che – nonostante l’immensa produzione di energia per sostenere tutta la barriera – lo scarto è quasi equivalente a zero. I produttori primari (alghe e coralli) rilasciano nell’acqua circa il 50 per cento delle sostanze nutritive che producono, di cui circa l’80 per cento si dissolve immediatamente nel liquido.
Le spugne, che sono essenzialmente degli animali filtratori, trattengono queste sostanze, le utilizzano per il proprio metabolismo, e le trasformano in elementi come ossigeno, carbonio e azoto. In aree delle barriere coralline dove i nutrienti scarseggiano, le spugne trasformano i carboidrati in sostanze zuccherine, e le rendono disponibili espellendole come escrementi di cui alghe e coralli si cibano. A loro volta questi ultimi producono materiale organico che viene fagocitato dalle spugne prima di entrare nel flusso delle correnti oceaniche ed essere trasportato al largo. In questo modo le barriere coralline sono autosufficienti. Questo nesso causale è stato studiato dal biologo marino Jasper de Goeij e altri, dell’Istituto di Biodiversità e Dinamiche degli Ecosistemi (IBED) dell’Università di Amsterdam, anche in ambienti difficili come nelle grotte e nei tunnel sommersi, dove scarseggia la luce necessaria alla fotosintesi. In particolare, le specie di spugne che vivono in zone sciafile (ambienti poco illuminati) trattengono dall’acqua una enorme quantità di materiale organico; ne trattengono il 60 per cento e ne rilasciano il 40 per cento. Ciò dovrebbe comportare la duplicazione della loro biomassa ogni due o tre anni, invece queste spugne hanno una crescita molto lenta poiché le caverne sono così densamente colonizzate da non esserci sufficiente spazio per ulteriori espansioni.
E quindi? Anziché crescere, le spugne hanno un rinnovamento cellulare molto veloce, soprattutto quello dei tessuti preposti a filtrare l’acqua. Questo fenomeno – solo in parte dovuto ad apoptosi (morte cellulare) – è noto negli animali unicellulari, ma è sorprendente per quelli pluricellulari. In particolare, nella spugna Halisarca caerulea le cellule deputate a filtrare l’acqua si dividono ogni 5/6 ore, un fenomeno che rappresenta il più veloce ciclo di replicazione di tutti gli organismi noti. Le cellule sostituite e rilasciate nell’acqua costituiscono cibo per animali che si trovano a un successivo livello nella catena alimentare, come crostacei e policheti, i quali a loro volta alimentano animali più evoluti. Le spugne pertanto costituiscono la base di una catena alimentare che ricicla nutrimenti espulsi dai coralli e dalle alghe, in modo simile al riciclo effettuato dai micro-batteri nelle profondità oceaniche, e a loro volta espellono nutrienti sia per coralli e alghe (sostanzialmente zuccheri) sia per altri animali (crostacei e policheti). Anche dal punto di vista morfologico, le spugne sono animali molto semplici: il loro corpo si è specializzato a pompare e filtrare la maggior quantità d’acqua possibile per trattenere alimenti e nutrirsi, espellere metaboliti tossici e riprodursi. Al loro interno sono presenti cellule flagellate (i coanociti), strutture molto piccole simili a micro-capelli, che creano dei flussi d’acqua per veicolare i vari elementi. Alcuni ricercatori, fra cui Sally P. Leys, professore in Scienze Biologiche dell’Università di Alberta, hanno dimostrato che le spugne, ogni ora, filtrano volumi di acqua molto superiori al volume del proprio corpo. Si ritiene che questa attività sia possibile modificando il gradiente di pressione fra le pareti interne ed esterne dei corpi delle spugne, tuttavia il meccanismo con cui avviene questo fenomeno è ancora sconosciuto. Nonostante la semplicità delle spugne, il loro genoma (l’insieme di tutti i loro geni) è molto complesso e simile a quello degli altri animali, con una caratteristica sorprendente: tutte le loro cellule hanno la capacità di differenziarsi in altra tipologia di cellule in ogni fase della loro vita. I ricercatori che studiano questa differenziazione cellulare sono impegnati nella ricerca di rimedi per combattere le malattie oncologiche e nelle terapie per la rigenerazione dei tessuti.
Durante le ricerche è stato dimostrato che alcune spugne (ad esempio Hymeniacidon sinapium), quando subiscono ferite, hanno la capacità di produrre nuovi tessuti a una velocità 2900 volte maggiore del tasso normale di crescita.
C’è una grande varietà di organismi simbionti che convivono all’interno e all’esterno delle spugne, da quelli invisibili a occhio nudo sino ai crostacei, ai policheti, agli idrozoi e ai pesci. Diversamente dalle piante, delle quali si stima la longevità contando gli anelli di accrescimento annuali, è difficile stabilire l’età delle spugne. Si stima che alcune specie marine possano vivere oltre duemila anni, ad esempio le grandi spugne barile Xestospongia sp. che vivono nell’Oceano Indiano e Pacifico, mentre le spugne di acqua dolce sono relativamente poco studiate, come la Lubomirskia baicalensis, endemica del Lago Baikal.
La più grande spugna sinora nota è stata scoperta nelle profondità abissali al largo delle isole Hawaii: è lunga 3,5 metri, per 2 metri d’altezza e 1,5 di larghezza; quasi come un’auto di media cilindrata!
Fonte di vita per le barriere coralline
Mondo sommerso - Non tornano utili solo all’uomo, le spugne, ma svolgono un compito importante per il benessere degli ecosistemi ambientali nei quali vivono
/ 18.05.2020
di Sabrina Belloni
di Sabrina Belloni