Società e politica hanno deciso che la pandemia è finita. Si ha voglia di ritornare alla vita di prima. Dal punto di vista sanitario, considerati i contagi e i morti a livello nazionale e internazionale, la pandemia è tutt’altro che terminata. In questa crisi, gli appelli alla prudenza delle esperte e degli esperti sono rimasti spesso inascoltati. A volte, le loro previsioni allarmistiche sono state smentite dalla prova dei fatti. I dubbi nei confronti della scienza si sono fatti strada nella popolazione, favoriti anche da quel sottobosco di informazioni che popola i social media. Prima della pandemia, una persona su due aveva grande fiducia nelle informazioni scientifiche e delle istituzioni. All’inizio della crisi, tale fiducia è addirittura aumentata. Un fenomeno che la psicologia sociale indica come rally round the flag. In una situazione di pericolo, le persone si riuniscono attorno alla bandiera e guardano con fiducia alle autorità politiche affinché le guidino fuori dalla crisi.
Oggi, i sondaggi presentano un quadro ben diverso e indicano un calo significativo della fiducia nei confronti di tutte le istituzioni e delle esperte e degli esperti. Una crisi di fiducia che ha toccato anche la medicina. «Non possiamo perdere la fiducia nella medicina. La fiducia è fondamentale», indica Hubert Steinke, direttore dell’Istituto di storia della medicina dell’Università di Berna.
Possiamo già fare un bilancio di questa pandemia e confrontarla con quelle del passato?
È ancora presto per un’analisi approfondita. Già oggi si possono però indicare due elementi che si differenziano sostanzialmente dalle epidemie passate. Il primo è l’ampia discussione pubblica sulle misure per contenerla e sulle informazioni scientifiche. È stato un dibattito che ha interessato anche la medicina. Il secondo elemento è la velocità con cui questo virus si è diffuso in tutto il mondo e la rapidità con cui siamo riusciti a sviluppare un vaccino.
Se la società è stata colta di sorpresa, gli epidemiologi e i virologi avevano già lanciato l’allarme sul rischio che un agente patogeno sconosciuto potesse diffondersi in tutto il mondo. La pandemia non era del tutto inattesa.
Sì, molti esperti l’avevano vista arrivare a causa dell’elevata mobilità della società. La nostra epoca è caratterizzata dall’emergere di nuove epidemie che si possono diffondere come questa o in maniera diversa. Rispetto al passato, abbiamo però molte più possibilità per contrastarle.
Eppure, in questi due anni di pandemia, proprio la medicina viene messa sempre più in discussione. Con quali conseguenze?
Dal mio punto di vista, in questo periodo storico siamo confrontati con una grande sfida perché viene parzialmente messa in discussione una delle colonne portanti della medicina: la fiducia nella medicina. Senza fiducia, la medicina non può funzionare. Sarebbe davvero un grosso problema se la società non dovesse più fidarsi della medicina. Ho l’impressione che questo fenomeno, come lo viviamo oggi, abbia raggiunto una nuova dimensione.
Le incertezze rispetto a un virus che era pressoché sconosciuto hanno forse minato tale fiducia?
La medicina è in continua evoluzione e capita a volte che nuovi studi vengano discussi pubblicamente anche se non sono ancora assodati e sicuri. Può succedere quindi che tali conoscenze scientifiche vengano confutate da altre ricerche, generando un certo disorientamento nella società. Va ricordato che è difficile spiegare alla gente le incertezze con cui è confrontata la scienza e la medicina. Per la popolazione è difficile comprendere la comunicazione scientifica, a volte contraddittoria, com’è stato con le mascherine o con la durata della protezione del vaccino. Il mondo scientifico deve quindi uscire dalla sua torre d’avorio e insegnare alla gente che la scienza non è infallibile, che non è onnisciente. Deve comunicare chiaramente che quel sapere è quello più esatto in quel momento e che ci si deve basare su quel sapere, anche se incompleto, per prendere delle decisioni.
Il sottobosco informativo della rete e dei social media, certo non aiuta a rafforzare la fiducia nella scienza. E poi, le autorità e la scuola insistono affinché l’individuo pensi con la propria testa. Non ci deve quindi sorprendere se le persone mettono in dubbio le conoscenze scientifiche o il giudizio del dottore.
Sì, è vero. Vogliamo una popolazione critica. Non vogliamo più dei pazienti che, come avveniva negli anni Settanta del secolo scorso, fanno senza battere ciglio tutto ciò che dice loro il dottore, considerato un semidio con il camice bianco. Però non possiamo permettere che la critica ci faccia perdere la fiducia nella medicina. La fiducia è fondamentale. Nessuno, neanche i dottori conoscono tutti i dettagli, le statistiche, le nuove ricerche sul coronavirus. Anche i dottori devono quindi fidarsi dei virologi e degli epidemiologi. E nemmeno la società può controllare tutto ciò che viene scritto e pubblicato sul Covid-19. Alla fine si tratta di avere fiducia nella base scientifica.
Durante la campagna vaccinale si è percepita questa sfiducia nella medicina e nella scienza di una parte della popolazione.
Anche se la vaccinazione è lo strumento più efficace per sconfiggere una pandemia, la medicina è confrontata con un grosso problema. Non è facile spiegare i vantaggi di una vaccinazione. È molto più semplice dimostrare gli effetti positivi di una terapia farmacologica. Quando si ha la febbre, basta prendere un medicamento per abbassare la temperatura. L’effetto positivo è immediato e dimostrabile. Con la vaccinazione ci viene invece chiesto di iniettarci qualcosa anche se siamo perfettamente sani. Inoltre dopo l’iniezione si vedono solo gli effetti collaterali o che una persona si ammala anche se è vaccinata. Non si può invece dimostrare che una persona non ha contratto il virus perché era vaccinata.
I pazienti vogliono essere coinvolti e accompagnati nel processo decisionale da interlocutori credibili. I medici di famiglia possono assumere questo ruolo?
In generale, la società è più critica nei confronti delle informazioni e delle decisioni delle istituzioni o delle autorità. Tale evoluzione ci obbliga ad adeguare il nostro sistema sanitario. Ad esempio, i dottori devono prendersi il tempo necessario per chiarire i dubbi e le incertezze dei pazienti. A differenza della comunicazione istituzionale, che usa le statistiche e un linguaggio impersonale, i medici di famiglia fanno capo alle esperienze personali, a un rapporto di fiducia che questa pandemia e le discussioni intorno al Covid-19 non hanno per fortuna minato, come indicano le statistiche.
Finora le campagne di salute pubblica sottolineavano l’importanza dell’alimentazione salutare e di uno stile di vita sano. Con la pandemia questi elementi sono finiti in secondo piano. Con quali conseguenze per la gestione della crisi?
In passato, ci si è concentrati sulle malattie non trasmissibili, come il diabete, il cancro o i problemi cardiovascolari. Alle persone è stato chiesto di assumere comportamenti salutari, di seguire uno stile di vita sano. Ciò ha incoraggiato la responsabilità individuale e l’individualizzazione. Un processo che interessa la società, non solo la salute. Con la crisi causata dal coronavirus, all’individuo è stato ora chiesto di essere solidale, di non considerare solo il proprio benessere, ma quello di un’intera società. È stato così insidiato un valore fondamentale della nostra società; l’autodeterminazione. Un cambiamento di paradigma, difficile da comunicare e da accettare.