«Circa il 10-15 per cento delle donne in età fertile, e quasi la metà di quelle con problemi di infertilità, sono colpite da endometriosi: una malattia ginecologica frequente e complessa che ha un impatto sul benessere psicofisico della donna e può pesare sul rapporto di coppia», così il ginecologo Giovanni De Luca (Clinica Sant’Anna di Sorengo) giustifica l’importanza della giornata mondiale dell’endometriosi (28 marzo) che annualmente sensibilizza su questa patologia.
L’eziologia non è ancora ben nota, ma si conoscono sintomatologia e conseguenze che, ribadisce, meritano una diagnosi precoce per intervenire in modo adeguato ed efficace: «Ancora oggi la diagnosi viene posta con eccessivo ritardo e pare che ci vogliano in media dieci anni prima che vi si giunga con la conseguente terapia. Un tempo troppo lungo che spesso implica l’instaurarsi di lesioni troppo estese e un rischio aumentato di infertilità e dolore cronico».
È una patologia benigna ma cronicizzante: «Generata dalla anomala presenza dell’endometrio (tessuto che riveste la cavità uterina) in organi diversi dall’utero, dove determina veri e propri sanguinamenti mensili». Alcune ipotesi ne spiegherebbero l’origine: «Quella più diffusa prevede che le cellule dell’endometrio siano trasportate all’interno dell’addome dalla cosiddetta “mestruazione retrograda” (una sorta di reflusso di sangue mestruale attraverso le tube di Falloppio in direzione dell’addome) che permetterebbe alle cellule di attecchire e creare isolotti di endometrio “ectopici” (al di fuori della loro sede mestruale). Un’altra ipotesi è la “metaplasia celomatica” in cui alcune cellule esterne all’utero potrebbero trasformarsi in ghiandole simil-endometriali, mentre alcuni studi recenti suggeriscono che le cellule endometriali esterne alla cavità uterina si troverebbero in altre sedi del corpo fin dalla nascita».
De Luca invita le donne a rivolgersi precocemente al medico che dovrà tenere conto dei fattori di diagnosi individuali: «Ancora oggi questo tema rimane quasi un tabù e, più che per il sospetto di endometriosi, la donna è spinta a rivolgersi al ginecologo per il calo della fertilità dovuta al processo infiammatorio, ma ripeto che una diagnosi precoce e corretta è il presupposto per un trattamento mirato ed efficace». Diagnosi che si pone quasi esclusivamente su anamnesi e accurato esame clinico, e solamente in casi selezionati troverà riscontro con una laparoscopia esplorativa che il nostro interlocutore definisce essere «esame diagnostico elettivo per eccellenza» al quale si possono sempre coadiuvare, ove indicato, esami diagnostici come ecografia o risonanza magnetica che possono dare una mano a identificare le pazienti candidate all’intervento chirurgico.
Posta la diagnosi, il trattamento individualizzato tiene conto di grado e sintomaticità dell’endometriosi: «Prevede diverse opzioni che comprendono chirurgia, terapia medica o la sola osservazione se è il caso». De Luca spiega che la chirurgia si propone di rimuovere le lesioni endometriosiche e risolvere eventuali danni di organi coinvolti, ricordando pure l’importanza di «dedicare attenzione e cura particolare alla conservazione del potenziale riproduttivo della donna»: «La chirurgia endoscopica mini-invasiva (laparoscopia) assicura i migliori risultati ed evita il ricorso alle grandi incisioni addominali, garantendo un veloce recupero post operatorio oltre che un minimo impatto estetico».
Nella cura dell’endometriosi la terapia farmacologica ha un ruolo molto importante: «Parliamo di terapie ormonali spesso indicate per pazienti senza immediato desiderio di prole, in grado di “sospendere” i residui microscopici della malattia che non possono essere asportati per via chirurgica e riducendo il rischio di recidive. Non dimentichiamo che la terapia medica contribuisce significativamente alla riduzione dei disturbi e migliora la qualità di vita, fino al momento della menopausa in cui il nuovo assetto ormonale della donna determinerà la scomparsa della stimolazione del tessuto endometriosico e, di conseguenza, dei sintomi di endometriosi».
Proprio la menopausa è una sorta di «terapia finale»: «Nella presa a carico si tiene conto della vita della donna e si consiglia alle pazienti di avere dei figli se lo desiderano, e di allattarli (condizioni ormonali che sospendono la sintomatologia dell’endometriosi). In altro modo si può procedere con una terapia contraccettiva fino ad arrivare alla menopausa». Non sono più in uso le «terapie ormonali forti come la menopausa artificiale» che comportano più complicazioni che benefici: «Vogliamo evitare conseguenze come osteoporosi, caldane e peggioramento della qualità di vita che non controbilancerebbero il beneficio, perché si curerebbe il problema con un altro problema».
Oggi, dice il medico, si opta piuttosto per la pillola anticoncezionale o una spirale medicata con cui si tende a fermare il ciclo mestruale mantenendo lo status pre-menopausale della donna: un ottimo compromesso per molte pazienti». Poche, infatti, giungono a livelli così estremi di sofferenza da portare alla terapia chirurgica radicale come l’isterectomia e, in rari casi, l’asportazione delle ovaie: «Questa è una scelta chirurgica riservata soprattutto a quelle donne senza ulteriore desiderio di prole che non hanno beneficiato della terapia farmacologica. In altri casi, la chirurgia si rende necessaria per le pazienti con chiare lesioni endometriosiche ad altri organi che possono risultare anche gravemente danneggiati: ne sono un esempio la compromissione e occlusione dell’uretere che può comportare danni renali, oppure le lesioni che infiltrano la parete intestinale con occlusioni e sanguinamento in cui può rendersi necessaria anche l’asportazione di interi tratti di intestino. Per fortuna si tratta di situazioni rare».
De Luca esprime l’importanza di una corretta igiene di vita: «Alimentazione curata con un adeguato apporto di fibre, vitamine e riduzione di carni rosse, astensione dal fumo e una regolare buona attività fisica possono pure migliorare significativamente la qualità di vita della paziente». Un invito accorato va alle donne che presentano mestruazioni dolorose: «II dolore mestruale non deve essere invalidante: la donna non deve accettare il ciclo mensilmente doloroso, il dolore pelvico o la dispareunia (dolore durante rapporti sessuali), magari ritenendoli “normali”». È per contro invitata a rivolgersi a uno specialista perché tutto ciò potrebbe nascondere una soggiacente endometriosi che andrebbe diagnosticata prima possibile: «L’endometriosi non deve essere un tabù e non va tenuta nascosta, anche per l’implicazione di un’eventuale infertilità, ma soprattutto perché la terapia è possibile e migliora la qualità di vita».