Colpisce una donna su dieci eppure resta poco conosciuta. Stiamo parlando dell’endometriosi, «una malattia ginecologica generata dall’anomala presenza dell’endometrio (tessuto che riveste la cavità uterina) in organi diversi dall’utero, dove determina veri e propri sanguinamenti mensili», spiegava il dottor Giovanni De Luca, intervistato lo scorso anno proprio su «Azione» da Maria Grazia Buletti (vedi «Azione» del 31 maggio 2021).
«L’endometriosi può essere asintomatica o sintomatica. In questo secondo caso può portare ad avere cicli mestruali fortemente dolorosi, dolori alla schiena che talvolta irradiano alle gambe, colon irritabile, cistiti ricorrenti, stanchezza e nausea croniche, emicrania e altro ancora. Può portare a subire interventi chirurgici, all’infertilità e in alcuni casi all’invalidità», afferma Francesca, 40 anni, la quale ha già subito 5 interventi importanti a causa di tale patologia, che si va a ripercuotere, ovviamente, sul benessere psicofisico della donna. «Quando si convive con una malattia cronica, è importante cercare una via per una vita il più “accettabile” possibile». Il che passa attraverso un trattamento che nel caso dell’endometriosi è individualizzato, controlli regolari, come pure un’alimentazione e un’attività fisica adeguate. «Altri elementi importanti sono il ritagliarsi uno spazio per il rilassamento e la condivisione», continua Francesca, che sarà una delle partecipanti del gruppo di auto aiuto destinato a persone che soffrono di endometriosi attualmente in fase di costituzione. Il concetto di «auto aiuto» prevede che delle persone confrontate a una stessa situazione di vita si riuniscano per condividere il proprio vissuto e offrirsi sostegno reciproco. Uno degli ambiti in cui tale concetto si esprime al meglio è proprio quello delle malattie croniche, con le quali si tratta di imparare a convivere. In questi casi, la forza del gruppo risiede nel fatto che oltre alle esperienze vengono condivise pure risorse e strategie, con un alleggerimento del carico sia emotivo sia pratico.
Nel nostro cantone sono presenti una sessantina di gruppi di auto aiuto, per oltre 30 tematiche. Il Centro Auto Aiuto Ticino promuove la conoscenza e lo sviluppo dei gruppi, anche attraverso l’organizzazione di corsi per quelli che si stanno costituendo. Come il corso che sta seguendo Lisa, ventisettenne promotrice del gruppo di auto aiuto sull’endometriosi: «Dopo la diagnosi mi sentivo emarginata e isolata, come se fossi l’unica ad avere questa malattia; così tramite Endo-Help Svizzera sono entrata in contatto con Auto Aiuto Ticino e ho scoperto che avrei potuto creare un gruppo dove poter condividere la mia esperienza e le mie emozioni con persone che potevano comprendermi poiché affette dalla stessa patologia; Auto Aiuto Ticino mi ha poi sostenuta nella ricerca di donne che potessero entrare a far parte del gruppo».
Una di queste donne è Francesca, la quale, già nel 2008, aveva percorso questa strada: «Dopo essermi informata a fondo sul tema, insieme a un’amica-collega abbiamo formato un gruppo di auto aiuto e proposto dei momenti d’incontro e sostegno (anche per i partner). Abbiamo dispensato volantini e spiegato agli interessati cosa fosse questa patologia. Inoltre, con il sostegno di medici esperti abbiamo organizzato delle serate informative aperte al pubblico e al personale sanitario». Ora, Lisa, Francesca, assieme a Nicoletta e Sarah, si stanno impegnando affinché dal prossimo mese di gennaio possano partire gli incontri di un nuovo e unico gruppo di auto aiuto ticinese per persone affette da endometriosi. «Principale obiettivo del gruppo è far sentire le partecipanti meno sole nell’affrontare quotidianamente la malattia. Dal momento poi che il gruppo di auto aiuto favorisce l’autoconsapevolezza e lo sviluppo di capacità per migliorare la qualità di vita, un ulteriore obiettivo è che le partecipanti accettino l’endometriosi come parte integrante della propria esistenza», spiega la promotrice. Una volta consolidato il gruppo, l’idea è quella di sensibilizzare la popolazione su questo delicato argomento organizzando conferenze e andando nelle scuole. «Serve una buona informazione sulla malattia per le ragazze; troppo spesso ancora mamme o nonne normalizzano un eccessivo dolore che esse provano durante il ciclo», commenta Sarah. Sul tema del dolore interviene l’altra partecipante del gruppo che si sta costituendo, Nicoletta: «Premettendo che se una ragazza ha dolori mestruali non vuol dire che abbia l’endometriosi, ammetto che se io (o la mia famiglia, i miei amici) avessi saputo di più riguardo alla malattia, forse la diagnosi sarebbe arrivata prima». A Nicoletta la malattia è stata diagnosticata a 31 anni, quando era già al quarto stadio (il più avanzato). «Purtroppo – ci racconta – qui entra in gioco un problema a livello diagnostico, poiché la malattia non sempre viene vista in ecografia e alla risonanza si ricorre solo in caso di forte sospetto; servirebbe uno strumento mirato, da poter utilizzare in modo più generalizzato». Uno dei grandi problemi connessi all’endometriosi è proprio il tempo che passa per la diagnosi, dieci anni in media. Un tempo decisamente troppo lungo, che spesso implica l’instaurarsi di lesioni estese, un rischio aumentato di infertilità e dolore cronico, oltre a comportare incertezza e sofferenza per le donne. «La lotta per trovare le risposte ai propri dolori è sfiancante; un susseguirsi di visite caratterizzate da diagnosi errate o dalla normalizzazione dei sintomi, durante le quali spesso non ci si sente comprese e credute dai professionisti sanitari. Un percorso durante il quale entrano in gioco fattori psicologici, ansia, tristezza e la chiusura in sé stesse», puntualizza Lisa, che aveva sintomi molto particolari e non sempre in concomitanza con il ciclo, e nel cui caso ci sono voluti 7 anni per giungere a una diagnosi.
La malattia colpisce i soggetti in modi molto diversi. «Può anche contribuire all’insorgenza di altre patologie e causare danni importanti agli organi interni – spiega Nicoletta, che da non molto sa di essere affetta da endometriosi – recentemente sono stata sottoposta alla rimozione di una parte di intestino, un intervento che si sarebbe potuto evitare se la diagnosi fosse giunta prima». Oltre a quelli prettamente fisici, l’endometriosi colpisce molti, troppi, aspetti della vita di chi ne è affetto. «È una patologia che crea disagi fisici e psicologici, con ripercussioni a livello di vita di coppia e famigliare, sociale, lavorativa ed economica e tutto ciò rende la situazione emotivamente molto dolorosa», afferma Francesca. «In particolare, le donne che ne sono affette vivono poi con incertezza e inquietudine il non sapere se la loro fertilità sia stata intaccata dalla malattia», aggiunge la giovane promotrice del gruppo.
L’incertezza è sicuramente un elemento che accomuna tutte: «Con una patologia cronica ci sono periodi in cui si può stare bene, ma poi le cose possono cambiare da un momento all’altro. Gli interventi chirurgici e le cure ormonali non sempre sono efficaci e in quei casi la malattia continua a fare il suo corso. Si tratta purtroppo di una malattia insidiosa e silenziosa e spesso ci accorgiamo del danno fatto un po’ troppo tardi. Questo è un pensiero che credo assilli tutte noi», dice Nicoletta.
Questa condizione così complessa, dolorosa e invalidante purtroppo nella nostra società resta ancora un tabù. «Forse ciò dipende dal fatto che l’endometriosi tocca la sfera più intima della donna, per cui si fa fatica a parlarne, soprattutto fino a che non si è concluso almeno in parte il processo di accettazione della malattia e delle sue ripercussioni sul corpo e sulla propria femminilità – commenta Sarah, che attualmente è senza professione a causa delle sue patologie – il fatto poi che tante donne non abbiano mai sentito parlare di endometriosi porta a non sentirsi comprese e chiudersi in sé stesse». Ed è qui che entra in gioco il gruppo di auto aiuto, che è per eccellenza un luogo e un tempo dove sentirsi capite a fondo. «Anni fa ho preso parte a un bellissimo gruppo Facebook italiano sull’endometriosi. Improvvisamente parlando con queste donne mi sono sentita normalissima. Ciò è stato di grande aiuto per andare avanti e “fare amicizia” con la malattia – spiega Sarah – nei momenti bui scrivendo a loro ho trovato calore, sostegno e consigli preziosi. Ora tocca a me aiutare chi ha avuto di recente la diagnosi. Questo è uno dei motivi per cui ho deciso di partecipare al gruppo che si sta creando».
Di quanto discusso durante gli incontri, alle partecipanti capiterà di parlare anche alla presenza di altre persone – amici o famigliari – le quali, non condividendo la tematica in questione, corrono però il rischio di rispondere solo teoricamente o «a sensazioni». «A volte ho l’impressione che fuori dal gruppo bisogna prestare attenzione a non “annoiare” i propri interlocutori, che potrebbero allontanarsi o non aver voglia di sentirci – racconta Sarah – in un gruppo di auto aiuto invece non servono nemmeno parole per sentirsi capite. Ciò rende più facile affrontare argomenti personali e intimi». Riguardo ai quali si aggiunge il fatto che un gruppo di auto aiuto, per sua definizione, garantisce riservatezza e anonimato in merito a quanto detto durate gli incontri.