Educare il cuore? Dipende dalla cultura

In Occidente si ritiene impossibile imparare a gestire le emozioni, per gli orientali invece…
/ 01.05.2023
di Clara Caverzasio

Nella cultura occidentale le emozioni, soprattutto quelle delle donne, sono state a lungo interpretate come tempeste in grado di travolgere gli animi, contrapponendole alla più affidabile e mascolina razionalità. La loro sede è stata per secoli il cuore, al quale, come recita il detto, «non si comanda». Al contrario, del cervello – organo del pensiero razionale – possiamo e dobbiamo avere grande cura, educandolo e sviluppandone le funzioni.

Ben diverso è per le culture orientali, per loro infatti, e per gli indiani in particolare, il vero organo del pensiero è il cuore (dove pure hanno sede emozioni e sentimenti), mentre il cervello è sì una macchina straordinaria, ma in sé arida. «E questa sorta di fisiologia mistica fa ben vedere quello che tutti sperimentiamo, cioè l’interferenza, la correlazione e l’effetto reciproco continuo di emozioni e pensieri, al punto che possiamo dire che le emozioni sono il carburante dei pensieri». Sono parole di Giuliano Boccali, fra i massimi esperti di cultura e letteratura indiana, già professore presso l’Università di Venezia Ca’ Foscari e l’Università degli Studi Milano, autore di numerose pubblicazioni in particolare sulla letteratura indiana classica e sul tema dell’amore, delle passioni e delle emozioni, come il recente Il dio dalle frecce fiorite. Miti e leggende dell’amore in India (Il Mulino, 2022).

Interessante notare come negli ultimi tempi si sia creata una sorta di convergenza tra questa visione orientale delle emozioni e del cervello, e quello che sostengono oggi le neuroscienze, ovvero che le emozioni sono di fatto una sorta di scintilla che dà avvio alla coscienza e ai processi cognitivi. Quello che ancora distingue il pensiero occidentale da quello orientale (e in un certo senso ciò è paradossale) è la modalità secondo la quale l’uno e l’altro ritengono corretto gestire cuore e cervello, emozioni e pensiero.

«C’è un pregiudizio tutto occidentale per cui le emozioni non sarebbero educabili: noi occidentali diamo cioè per assodato che il cervello vada esercitato, affinato, educato; curiosamente alle emozioni e ai sentimenti si applica un presupposto contrario. Per la cultura orientale invece, soprattutto per l’India e il Giappone, le emozioni vanno affinate, educate, ampliate nelle loro tonalità, rendendo così ciascuno meglio capace di rapportarsi con sé stesso, cioè con la propria interiorità, con la natura e con gli altri esseri umani. Educare, in questa concezione orientale, è da intendersi come il contrario di reprimere, ma anche di lasciar sfogare, e proprio in questo crinale piuttosto stretto si gioca la partita dell’educazione delle emozioni».

In Oriente, non vi è un’unica via per educare le emozioni, come conferma Boccali: «L’educazione delle emozioni avviene attraverso varie vie, che passano però tutte attraverso un iniziale momento di sospensione e di silenzio; non si tratta né di reprimere le emozioni né di lasciarle sfogare, ma piuttosto di immergersi profondamente in esse e rimanere in ascolto, come in una sorta di fermo immagine. Se sto assaggiando un buon frutto, invece di deglutirlo avidamente, mi soffermo sul sapore, ascolto quello che mi dice». In questo modo si sospende l’incanalamento immediato e istintivo delle emozioni che ci porta a reagire e ad agire subito, moltiplicando paure, desideri e ansietà.

«Come insegna in particolare il buddhismo, aggiunge Boccali, occorre “essere in ciò che è”, immergersi profondamente nel presente – quello che il Buddha chiama la presenza mentale – senza reprimerlo e senza sfogarlo, ma assaporandolo in quello che è. Questo momento di sospensione e di silenzio deve dunque far seguito a un’immersione nelle emozioni». Da lì poi si dipartono diverse vie per l’educazione delle emozioni: l’affinamento delle sensazioni, la meditazione, l’espressione artistica e poetica, la contemplazione della natura, il gesto rituale.

«L’affinamento delle sensazioni è il processo di ascolto e di qualificazione: per esempio, di fronte a un paesaggio, chiedersi che cosa ti ispira quella sfumatura di arancione del tramonto; o che impressione ti lascia l’aria che passa sulla tua pelle. E occorre un po’ di tempo perché la sensazione ti dica qualcosa. Proprio questo affinamento è presente in tanta poesia tradizionale, sia indiana che giapponese. Un esempio su tutti, tratto da uno dei capolavori della poesia indiana, il Nuvolo messaggero: “Ti dicono che gli amori diminuiscono per la lontananza e invece, / mancando il godimento, / cresciuta l’emozione nel desiderio delle cose amate, / divengono un tesoro di affetti”. Dunque l’emozione, che di per sé è sempre volatile ed eccessiva, si raffina e si tramuta in sentimento se dopo il suo insorgere si instaura un intervallo di silenzio, di ascolto e di contemplazione. E questo – afferma Boccali – rinvia anche alla meditazione che è un altro degli elementi fondamentali dell’autoeducazione (centrale nel buddhismo) non solo di emozioni e sentimenti ma anche delle facoltà del pensiero. Un altro potente strumento di affinamento delle emozioni è il rito perché non permette loro di sfogarsi, ma le indirizza in una serie prevista di atti e di parole che però hanno alle spalle una tradizione lunghissima che le ha elaborate, in genere su base simbolica. Le tramuta in un elemento liturgico. E ancora oggi nelle campagne indiane, in cui vive poco meno dell’80 per cento della popolazione (un miliardo e 400 milioni di persone), questa visione e questa dimensione funzionano ancora a meraviglia, grazie anche ai riti. Il bambino indiano viene cresciuto attraverso i riti della religione a saper trattare e vorrei dire parlare con i fiori, con l’acqua, con gli animali oltre che con gli altri esseri umani. Certo la televisione, i telefonini, i social da questo punto di vista sono infestanti, quindi questa educazione tenderà a perdersi».

Si è detto di come questa auto-educazione sia al centro del buddhismo, il quale mette in luce l’importanza di immergersi con coscienza in ogni istante della vita, inibendo lo sfogo. «Ma l’altra cosa che i buddhisti hanno molto coltivato – conclude Boccali – è tutta la gamma dei sentimenti nel timbro della compassione, cioè della compartecipazione, che aiutano molto a decongestionare l’Ego e la propria smania di manifestarsi». Un mettere in vetrina senza filtro le proprie emozioni e sensazioni che tanto caratterizza i nostri tempi, così bisognosi, invece, di intelligenza emotiva.