Educare è un’impresa collettiva

Pubblicazioni - L’avventura pedagogica di Franco Lorenzoni racchiusa in una trilogia appena conclusa
/ 24.07.2023
di Barbara Manzoni

Le scuole sono chiuse non c’è dunque momento migliore per riflettere sul mestiere dell’educare in questi tempi difficili, nella convinzione che più le difficoltà sono grandi più è necessario approfondire, analizzare, confrontare e guardarsi dentro. L’occasione in questo caso è data dall’ultimo libro di Franco Lorenzoni intitolato Educare controvento. Storie di maestre e maestri ribelli, da poco pubblicato dall’editore Sellerio. Il libro completa una trilogia iniziata con I bambini pensano grande (2014) e proseguita con I bambini ci guardano (2019). Una trilogia dedicata certo a chi nella scuola ci lavora ogni giorno, insegnanti di tutti gli ordini e gradi, educatori e formatori, ma la cui lettura può essere di stimolo anche a genitori, politici, funzionari, architetti (che le scuole le progettano) e a tutti coloro che hanno (o dovrebbero avere) a cuore i destini della scuola e l’educazione dei bambini e dei giovani. 

Franco Lorenzoni è stato per quarant’anni maestro di scuola elementare e, parallelamente, ricercatore e formatore, attivo nel Movimento di Cooperazione Educativa, ha fondato la Casa-laboratorio di Cenci in Umbria, ad Amelia, che è un vero e proprio centro di sperimentazione educativa su temi ecologici, scientifici, interculturali e di inclusione. Per questo suo impegno ha ricevuto due lauree honoris causa dall’Università Bicocca di Milano e dall’Università di Palermo. Sui temi ai quali ha dedicato una vita intera ha scritto alcuni articoli pubblicati su «Internazionale» e «L’Essenziale».

In Educare controvento Lorenzoni affronta (nei capitoli dispari) sette questioni educative che gli stanno a cuore: la scelta, il corpo, lo spazio, il tempo, il dialogo, l’arte del convivere, la conversione ecologica. Nei capitoli pari, invece, racconta le storie di maestre e maestri che hanno fatto la differenza promuovendo quelle che l’autore definisce «ribellioni efficaci». Sono: Piero Calamandrei, giurista e politico nato nel 1889, qui attento padre che osserva lo sviluppo del figlioletto Franco; Alessandra Ginzburg, pedagoga con approccio psicoanalitico paladina dell’integrazione dei bambini disabili nella scuola italiana negli anni 70; Emma Castelnuovo, insegnante di matematica che lotta per la liberazione del pensiero ed esalta le capacità di scoperta degli allievi; Nora Giacobini, impegnata a ripensare radicalmente l’insegnamento della storia; Mario Lodi, maestro elementare e scrittore che si ribellerà alla scuola che nega la parola a bambine e bambini (vi ricordate il libro Cipì?), accomunato nel capitolo a Don Lorenzo Milani e l’esperienza di Barbiana; Alexander Langer, militante ecologista e pacifista che si ribella a qualsiasi esclusione etnica; chiudono il volume le ribellioni di due giovanissime attiviste contemporanee: Malala Yousafzai e Greta Thunberg.

In questo alternarsi tra pratica e teoria Lorenzoni racconta la sua visione di scuola che nasce da due profonde convinzioni. La prima è la necessaria e imprescindibile centralità dell’ascolto di chi si vuole educare perché, scrive, «educare è liberare potenzialità, allargare gli sguardi, forgiare e mettere a punto conoscenze e strumenti in grado di moltiplicare le possibilità di scelta di ciascuno, ma non dovrebbe mai pretendere di portare dove vogliamo noi». La seconda è che «da soli non ce la possiamo fare», cioè chi educa ha bisogno di cooperare, ricercare insieme, condividere dubbi e domande, sperimentare e studiare: per educare controvento bisogna stringere amicizie e accogliere stimoli.

E come vorrebbe la scuola Lorenzoni? Così scrive nel capitolo dedicato allo spazio: «Sogno che tutte le bambine e i bambini, o almeno i più piccoli dai 3 agli 8 anni, possano entrare e uscire liberamente dalle loro aule, che è auspicabile abbiano tutte un’apertura diretta e autonoma verso un luogo aperto, possibilmente verde… ogni scuola dovrebbe essere circondata da un’isola pedonale vietata alle automobili, da segnalare con un bel cartello con su scritto “scusate, stiamo giocando per voi”…. La scuola dovrebbe sempre tendere ad abbattere muri e a pensare sconfinata e questo lo si dovrebbe percepire immediatamente vedendo i bambini occupare con i loro giochi e studi ed esperimenti gli spazi della città che la circondano».

La scuola per l’autore non è un’isola separata dal tessuto sociale e urbano che la circonda, anzi dovrebbe diventare piazza. Si educa dunque dentro e fuori la scuola e sull’«intensità educativa» Lorenzoni riflette in molti passaggi del libro come in alcuni articoli apparsi su «Internazionale» perché convinto che per contrastare l’esclusione sociale e superare le disuguaglianze che ancora (pre)determinano il futuro dei giovani ci siano due strade percorribili: la scuola e la città. E la città siamo noi adulti, tutti chiamati in causa e con urgenza in questo periodo in cui le problematiche e le sofferenze dei giovanissimi si sono moltiplicate e non solo a causa della pandemia.