Elena Bernasconi-Tabellini

Educare all’intelligenza emotiva

L’empatia aiuta i nostri figli a crescere più equilibrati, sereni, sicuri di sé e a essere più felici. I consigli di Elena Bernasconi-Tabellini esperta di comunicazione nonviolenta
/ 15.05.2017
di Elisabetta Oppo

La comunicazione empatica, e l’importanza dell’insegnamento della stessa ai bambini, è diventata, oggigiorno, un tema di stretta attualità. Attraverso l’apprendimento dell’empatia, infatti, si offre ai bambini un’occasione di crescita, la possibilità di gestire meglio i momenti di crisi e una maggiore preparazione nell’affrontare le difficoltà della vita. La pedagogia ha lavorato molto sulle tecniche per sviluppare l’empatia nei bambini, attraverso giochi di ruolo o semplicemente sistemi e tecniche educative. Abbiamo approfondito l’argomento con Elena Bernasconi-Tabellini, istruttore certificato presso il Centro di Comunicazione Nonviolenta.

Signora Bernasconi-Tabellini, partiamo dal concetto di base, che cosa si intende per empatia?
L’empatia in generale è la capacità di mettersi nei panni dell’altra persona, sintonizzandosi con ciò che sente e attivandoci per prenderci cura dei suoi bisogni. Secondo la comunicazione empatica, che si ispira alla comunicazione nonviolenta sviluppata da Marshall Rosenberg, l’empatia fa parte della nostra natura. La cultura prevalente e il linguaggio che ci viene insegnato, purtroppo, ci fa però allontanare dalla nostra natura empatica. Nel linguaggio abituale, infatti, abbiamo appreso a dire cosa non va in noi o negli altri, a cercare i colpevoli del nostro disagio o di quello di altri. Differenze o conflitti vengono affrontati accusandoci a vicenda, con conseguente disagio, stress, distanza tra le persone, ribellione o mancanza di motivazione nel nostro agire. Attraverso la consapevolezza e la pratica della comunicazione empatica è possibile risvegliare il nostro naturale desiderio di contribuire al benessere di tutti.

Perché è importante che i bambini imparino l’empatia già da piccolissimi?
Come sostiene l’ASPI: «Un bambino rispettato sarà un adulto rispettoso». Da varie ricerche risulta che una persona che riceve amore, protezione, affetto e comprensione nei primi anni di vita tenderà a sviluppare maggiormente la capacità di empatia rispetto a chi riceve rifiuto, freddezza, indifferenza o abusi, che tenderà piuttosto a sviluppare comportamenti ostili e aggressivi verso gli altri.
I piccoli possono apprendere la comunicazione empatica interagendo con adulti che l’adottano. Nei paesi nordici il sistema educativo sostiene lo sviluppo di queste competenze comunicative empatiche nei bimbi come accompagnamento nello sviluppo come esseri sociali. Il cuore del concetto della comunicazione empatica sono i bisogni e i valori universali, condivisi dall’intera umanità, indipendentemente dall’età, il genere o la cultura. I bambini apprendono ad ascoltare se stessi e gli altri e a sviluppare maggior creatività nella gestione delle differenze e dei conflitti.

Un bambino può avere una peculiarità innata che gli permetta di essere più empatico di un altro?
Non ho informazioni in merito all’esistenza di peculiarità innate. Quello che so è che, stando a delle recenti scoperte, tutti disponiamo dei cosiddetti «neuroni specchio» che ci permettono di «vivere» dentro di noi le sensazioni di quello che un’altra persona, che stiamo osservando, sta vivendo. Secondo la mia esperienza, basta offrire un paio di spunti e i bambini possono entrare facilmente in contatto con sentimenti e bisogni universali, molto più velocemente di noi adulti, dato che hanno meno strati di condizionamento culturale ed educativo.

Quanto influisce l’ambiente familiare nella capacità di un bambino di sviluppare l’empatia?
La presenza di figure adulte comprensive e affettuose, che incoraggiano a coltivare valori sociali positivi quali l’espressione onesta, l’ascolto empatico e il rispetto reciproco, senza ricorrere a punizioni o premi, che esprimono in modo chiaro e assertivo i propri bisogni e considerano quelli dei bambini nella ricerca di soluzioni, può facilitare la crescita di bambini indipendenti, equilibrati e con una maggiore propensione alla risoluzione collaborativa di conflitti o differenze.

Da adulto, di quali benefici può godere un bambino al quale è stata insegnata l’empatia, rispetto a uno che ne è rimasto estraneo?
I bambini potranno crescere con una buona autostima, sapranno esprimersi in modo autentico e rispettoso, sapranno essere più aperti all’ascolto, potranno sviluppare un senso di fiducia, collaborazione e creatività, con un conseguente benessere individuale nonché sociale. Agendo mossi da motivazioni intrinseche, tenderanno a essere più capaci di auto-regolarsi e ad avere maggiore auto-disciplina.

Quanto il contatto sempre maggiore con le nuove tecnologie ostacola nel bambino l’apprendimento dell’empatia?
Non ho dati in merito. Quello che mi sento di dire è che le nuove tecnologie sono appunto tecnologie e in quanto tali non ci aiutano a relazionarci con gli altri. Mi ricordo che qualche anno fa, durante un corso di comunicazione empatica con un gruppo di 17-18enni di Ancona, con mio stupore i ragazzi mi dissero che sapevano usare bene le nuove tecnologie, ma che loro volevano imparare a rompere il ghiaccio tra esseri umani, ossia in situazioni di relazioni non mediate dalle tecnologie. Il mio suggerimento pertanto è quello di offrire e stimolare possibilità di incontro di persona tra coetanei. Un invito accorato che faccio ai genitori è di ricreare una sana rete di amicizie e sostegno reciproco tra famiglie, per facilitare gli incontri di gioco al di fuori della scuola.

Dal punto di vista pratico come si può insegnare l’empatia ai bambini?
L’ascolto attivo ed empatico si può praticare in silenzio, quindi anche con i neonati e i più piccoli. Basta osservare il non verbale e provare a chiedersi come si sentano e di cosa potrebbero aver bisogno. Se si vuole usare le parole, si può adattare il linguaggio alla comprensione dei bambini più piccoli. Ad esempio possiamo chiedere se per il bambino è importante «che tutti vengano trattati allo stesso modo», anziché usare la parola equità. Oppure se per lui o lei è importante «poter dire la sua», anziché parlare di scelta o espressione. I bambini, a volte, possono esprimere rabbia perché si sentono dipendenti, frustrazione perché non riescono a farsi capire, delusione perché si sentono incompresi. Di fronte a queste forti manifestazioni di disagio, come genitori possiamo prenderci un breve momento per gestire la nostra risposta interiore. Per esempio potremmo prendere atto che siamo stanchi e vorremmo averla più facile e poter andare a riposarci. Il solo prendere atto di questi sentimenti e bisogni dentro di noi può aiutarci verso un ascolto sincero dei bambini. Dopo aver ascoltato, potremo a nostra volta esprimere i nostri sentimenti e bisogni riguardo alla situazione e chiedere loro di cercare insieme soluzioni che considerino i bisogni di tutti. I bambini apprendono così che il loro punto di vista non è l’unico valido, che altri hanno sentimenti, bisogni e idee differenti. Sulla base di queste esperienze possono sviluppare una capacità di comprensione e una disponibilità alla risoluzione collaborativa dei problemi.

Nelle scuole danesi si insegna l’empatia, anche qui in Ticino si iniziano a muovere i primi passi…
Credo che la scuola sia una «palestra di vita» in cui i bambini apprendono non solo nozioni, ma imparano anche a rapportarsi con gli altri, a comunicare, a gestire i propri stati d’animo e a sviluppare tutte quelle competenze relazionali che saranno loro utili nella vita. Sono felice di notare che in Ticino si sta facendo sempre di più in questo senso. Per quanto mi riguarda, attualmente collaboro con una classe di elementari dell’Istituto di Lugano con un itinerario di giochi e riflessioni per portare l’empatia in classe e propongo corsi nell’ambito dell’offerta di formazione continua dell’Istituto scolastico di Lugano.