Sulla mia scrivania, dove si accumulano in modo disordinato ritagli di giornale e appunti, c’è da 10 anni un articolo della psichiatra e psicoterapeuta Federica Mormando (datato 10 dicembre 2011) che s’intitola: La gioia si insegna. È rispuntato fuori per caso l’altro giorno e mi sembra che il tema sia più d’attualità che mai. Dopo due anni di pandemia e una guerra nel cuore dell’Europa, aiutare i nostri figli a essere positivi nei confronti della vita deve essere messo all’ordine del giorno: «È necessario ritrovare in noi e insegnare ai bimbi e ai giovani la gioia, che è un modo di essere, un’atmosfera in cui srotolare la vita, diversa dai picchi della felicità e dalle trappole del benessere – scrive la psicoterapeuta –. È un patrimonio di forza e di capacità di resistere. È libertà». Ho deciso così di invitare Federica Mormando, che per anni ha insegnato Educazione al pensiero creativo alla SUPSI di Lugano, a Il caffè delle mamme: «Quando mi chiedono quale sia lo scopo finale del mio lavoro rispondo sempre che è aumentare i gradi di libertà e le possibilità di gioia. Consapevole che invece da troppo tempo ci viene ammannita, anche dai media, l’educazione alla depressione».
La felicità è un picco, la gioia una disposizione dell’animo. In che modo noi mamme e papà possiamo contribuire a svilupparlo?
Il nostro ruolo è fondamentale perché possiamo aiutare i bambini e gli adolescenti a costruire una predisposizione alla gioia. Innanzitutto, dobbiamo cercare di essere figure di riferimento che rispondono ai bisogni dei figli.
Il desiderio indubbiamente c’è, più difficile riuscirci. Concretamente cosa bisogna fare?
Non vuol dire stare tutto il giorno in casa, ma esserci quando i bambini ci cercano magari con una scusa: un taglietto, un disegno da mostrare, una richiesta. Quando siamo fuori, rispondere con pazienza se ci chiamano al telefono oppure chiamarli noi. Tutto ciò serve per permettere loro di sviluppare un attaccamento sicuro che li porta a sentirsi amabili, avere fiducia in sé e non soffrire del timore dell’abbandono, anche da adulti.
Che cos’è l’attaccamento sicuro?
Il periodo dell’attaccamento inizia dalla primissima infanzia e si prolunga per i primi 3 anni circa, evolvendo in attaccamento sicuro o insicuro. Con quello sicuro i bambini possono a poco a poco introiettare una presenza positiva e acquisire la base di fiducia in sé necessaria per affrontare la vita. Vuol dire sviluppare dentro di sé una sensazione di sicurezza: i bambini esplorano, si staccano, e poi ritornano per accertarsi che anche se loro si allontanano la persona di riferimento c’è ancora.
Quali comportamenti invece possono essere causa di un attaccamento insicuro?
Se il bambino alle sue richieste di aiuto e di vicinanza si sente respinto o non trova nessuno che lo ascolti, sviluppa insicurezza, la sensazione di non essere amabile, la sospensione delle richieste di aiuto che pensa non accolte, l’ansia da separazione. È questo l’attaccamento insicuro.
Superati i primi tre-quattro anni di vita, cosa ci consiglia di fare per educarli alla gioia?
Favorire l’autonomia dei bambini, renderli coscienti delle proprie capacità e capaci di usarle secondo scelte pensate, dipendendo il meno possibile da altri. Ma anche stare attenti a non trasmettere la nostra insofferenza quando stiamo troppo tempo con loro e magari non ne possiamo più; oppure al contrario i nostri sensi di colpa quando non ci siamo abbastanza. Questi comportamenti trasmettono ansia e incertezza che è il contrario della gioia.
La quotidianità della vita spesso rischia di schiacciarci e tutte le buone intenzioni vanno a farsi friggere.
Vero. Ma bisogna stare attenti a non trasmettere l’idea che lavoro e casa siano dei gran pesi. Un consiglio, per esempio, può essere trascorrere tranquilli a casa qualche giorno di vacanza o non scappare sempre altrove nei fine settimana. Altrimenti l’impressione che diamo ai bambini è di insoddisfazione e stanchezza perenne nella quotidianità. Che invece bisogna insegnare ai nostri figli ad apprezzare.
Come?
Con semplicità. Non parliamo di soldi, ma facciamo notare il cielo azzurro, il sole al tramonto, i fiori spuntati in un’aiuola. Il gusto di una cena buona consumata chiacchierando con calma. La bellezza di una tavola apparecchiata insieme con cura. Un film. Il messaggio dev’essere: «È stata una giornata pesante, ma guardiamo gli aspetti positivi». Senza dimenticare che l’educazione alla bellezza va di pari passo con l’educazione alla gioia.
Allenarli alla bellezza vuol dire anche insegnare ai bambini ad apprezzare l’arte?
Senza dubbio. Vedere insieme una mostra o ascoltare la musica sono esperienze che allargano il cuore.
Altri consigli?
Predisporli alla gioia vuol dire anche fare loro sentire che ci teniamo davvero a farci capire e a comprenderli, spiegando loro il significato di parole che noi utilizziamo ma di cui possono non conoscere il significato; oppure chiedendo loro cosa vogliono dire espressioni che utilizzano e che noi non mettiamo bene a fuoco. Poi c’è il piacere del dono, ma allo stesso tempo è utile allenare il desiderio: avere tutto e subito porta i bambini a dare tutto per scontato senza nessuna gioia. E ancora: trasmettere il valore della fatica, che porta gioia quando viene raggiunto un obiettivo. Ed è una bella cosa farli sentire utili, dando una mano in casa.
I comportamenti sbagliati?
Non mantenere le promesse: bisogna farne poche, ma che poi vengono mantenute. Non dire bugie, ma aiutarli a capire le situazioni. Ed è sbagliato coccolarli solo se stanno male o si lamentano.
Alla fine dell’intervista Federica Mormando fa cenno anche ai neuroni specchio. L’autore della scoperta è lo scienziato Giacomo Rizzolatti, che tempo fa per farmi capire cosa fossero me li aveva spiegati così: «Sono una particolare classe di neuroni che si attiva sia quando una persona compie un’azione sia quando la vede fare. Permettono, in altre parole, di capire subito quel che fanno gli altri. Un meccanismo fondamentale non solo per apprendere attraverso l’imitazione (come fa una ballerina che impara un passo nuovo) ma anche per rendere partecipe l’osservatore delle emozioni altrui. È il meccanismo dell’empatia (dal greco en, dentro, e pathos, sentimento), che ci permette di commuoverci se vediamo uno spettacolo drammatico o di immedesimarci nelle azioni in campo della squadra del cuore». Ecco, per educare alla gioia, ricordiamoci che anche i nostri bambini sono empatici!