Educare alla concentrazione

Due nuovi quaderni didattici del Dipartimento formazione e apprendimento della Supsi per allenare l’attenzione e riflettere sulla scuola
/ 20.12.2021
di Stefania Hubmann

Attenzione e concentrazione possono essere educate con semplici attività da svolgere a scuola e in famiglia in modo da favorire l’apprendimento. L’innovativa proposta è racchiusa in un quaderno didattico pubblicato di recente dal Dipartimento formazione e apprendimento (DFA) della SUPSI. Un’altra pubblicazione, presentata nella medesima occasione, riprende invece il ruolo della scuola quale luogo imprescindibile dell’apprendimento, ma pure dell’esperienza che educa all’interazione sociale, al senso di appartenenza, all’aiuto reciproco. Aspetti emersi in tutta la loro essenzialità durante il primo lockdown con la chiusura degli istituti scolastici nell’intera Svizzera. Il quaderno della SUPSI li riprende nell’ottica della storia dell’educazione, per riflettere inoltre su soluzioni alternative e pratiche rivalorizzate durante l’emergenza sanitaria. Anche in questo contesto la scuola resta una fonte di benessere e non di paura.

I due quaderni sono destinati in via principale ai professionisti dell’educazione, ma la presenza della Conferenza cantonale dei genitori nell’organizzazione della loro presentazione online lo scorso novembre dimostra quanto possano essere utili e di interesse anche per le famiglie. I protagonisti della scuola al tempo della pandemia sono infatti sempre i docenti, gli allievi, i quadri scolastici e le famiglie.

Evermind – il quaderno incentrato sull’educazione all’attenzione e alla concentrazione nella scuola – indica già con il titolo un nuovo tipo di approccio. Con un neologismo coniato dalla lingua inglese, che racchiude la parole ever (sempre) e mind (mente) si punta ad una «mente sempre presente». Davide Antognazza – docente e ricercatore alla SUPSI, fra gli autori di entrambi i quaderni – spiega che attraverso semplici strategie ispirate alla tradizione e alle neuroscienze si riesce a meglio focalizzare l’attenzione. «Quest’ultima – precisa il ricercatore – è un potenziale che può essere allenato e incanalato. Il progetto, avviato prima dell’emergenza sanitaria, ha analizzato i processi di attenzione e concentrazione di chi apprende e di chi insegna. In entrambi i casi propone di sfruttare attività incentrate su se stessi, basate sulle sensazioni corporee e sul respiro». Fermarsi, respirare, sentire, non perdere il filo, rappresentano le quattro tappe di un processo che si vuole breve e di semplice attuazione. Prosegue Davide Antognazza: «La nostra idea si basa su due concetti fondamentali, ossia sostenibilità ed essenzialità. Non richiede infatti da parte del docente materiali particolari e nemmeno una lunga formazione. Le attività che sostengono lo sviluppo di questi processi sono inoltre riconducibili ad un’azione che tutti svolgono in continuazione: inspirare ed espirare aria. Sono quindi compatibili con ogni disciplina, non richiedono molto tempo e riguardano lo sviluppo personale, competenza trasversale fra i principali obiettivi della scuola».

Tradurre nella pratica quotidiana questi principi non è complicato. Il quaderno Evermind (curato anche da Monica Pongelli, Anna Bosia, Spartaco Calvo e Valeria Cavioni) propone diverse esperienze, alcune delle quali sperimentate durante il lockdown. Esse sfruttano ad esempio i suoni della natura, un prato verde o una spiaggia per guidare i partecipanti in una visualizzazione cui segue la concentrazione sul respiro, sul proprio corpo e sulle sensazioni che ne derivano. «L’attenzione non può essere catturata in modo permanente dall’esterno – conclude al riguardo il nostro interlocutore – ma è possibile migliorarla attraverso l’educazione. La proposta è quindi un modo per aiutare allieve ed allievi a gestire se stessi e a potenziare le proprie capacità di apprendere».

Apprendimento che dallo scoppio della pandemia ha conosciuto nuove forme, in parte innovative grazie ai supporti tecnologici, in parte riscoperte come è il caso della scuola all’aperto. Oltre a rivalorizzare certe pratiche, grazie al quaderno Scuola tra emergenza e quotidianità, la scuola ticinese può «recuperare il ricordo della sua storia per riflettere su come ha saputo affrontare i recenti momenti difficili di “fare scuola” in periodo di pandemia». Così scrivono gli autori Wolfgang Sahlfeld e Davide Antognazza nella presentazione. Centrale è la ricerca storica del primo, professore di storia della didattica al DFA, che ripercorre le grandi difficoltà vissute dalla scuola in Ticino, difficoltà che però fino alla primavera 2020 non hanno mai portato alla sua chiusura totale. Dalla terribile influenza spagnola nel 1918 a quella meno devastante nel 1957 (definita asiatica), dall’influenza di Hong Kong nel 1970 alla suina nel 2009 (che fece più che altro molta paura). Il contributo vuole porsi quale strumento di riflessione con la consapevolezza che, essendo l’evento ancora in corso, il bilancio resta provvisorio.

Sebbene in Svizzera rispetto ad altri Paesi la chiusura delle scuole sia stata più breve (due mesi da marzo a maggio), la stessa ha comunque comportato conseguenze accertabili. La non presenza in classe e l’annullamento di alcune attività hanno influito ad esempio sugli allievi di quinta elementare nel passaggio alla scuola media. Davide Antognazza spiega come questo importante cambiamento venga in genere pienamente superato entro novembre, mentre nel 2020 ciò è avvenuto dopo il periodo natalizio. Non sono quindi tanto le lacune a livello di programma – recuperabili con maggiore facilità, com’è avvenuto anche in passato – a preoccupare i professionisti del settore educativo quanto le competenze che derivano dalla scuola quale luogo fisico di interazione, scambio e crescita individuale, nonché sviluppo sociale.

Durante la pandemia un problema che ha toccato non solo la scuola riguarda l’incessante flusso di informazioni e parole, queste ultime in quantità eccessiva e non sempre con un uso appropriato. Per riportare un po’ di ordine a questo livello, il quaderno contiene un glossario con le parole-chiave del dibattito venutosi a creare durante l’emergenza sanitaria riguardo all’apertura e alla chiusura delle scuole.

Come l’aria che si respira – afferma in conclusione Davide Antognazza – l’aspetto irrinunciabile della scuola è stato percepito quando questa è venuta a mancare. Nel suo contributo ricorda che a scuola si impara il codice dell’interazione sociale, ci si confronta con un senso del limite, ci si trova in un ambiente sociale fonte di benessere. La scuola che sta a cuore ai due autori «è il piccolo mondo che fa da palestra al mondo più ampio», «il luogo che dà significato ad esperienze nuove, che non potremmo fare in altri luoghi, che non potremmo comprendere senza la mediazione dei maestri». Il periodo di chiusura ha infatti contribuito anche a meglio comprendere e valorizzare il loro ruolo.