E ora? Chi ci ferma più?

Sport - Il (fanta)calcio che veleggia al di sopra dei confini e delle bandiere
/ 09.07.2018
di Giancarlo Dionisio

Ve lo ricordate il lungo e frustrante periodo delle sconfitte autorevoli? Quello di una nazionale targata CH, una squadra che, nonostante giocatori di qualità come Kuhn, Blättler, Odermatt, in seguito Geiger e Heinz Herrmann, dovette attendere 28 anni per poter partecipare di nuovo alla fase finale della Coppa del Mondo? 

Eh sì, correva l’anno 1966 e la Nati disputava il suo ultimo Mondiale prima di una lunga latitanza. Si trovava in Inghilterra e vi parteciparono anche i ticinesi Prosperi e Gottardo. Riuscimmo a rimettere piede in un mondiale nel 1994, negli USA, e due anni più tardi, di nuovo in Inghilterra, i nostri ragazzi disputarono il loro primo Europeo. 

Quella di Roy Hodgson, e in seguito di Artur Jorge, era una squadra in cui i secondo cominciavano ad avere un ruolo determinante. Nel vecchio stadio londinese di Wembley l’asse Vega-Sforza-Kubi ci fece sognare. Fu l’inizio di un processo che si sviluppò e si ingigantì col passare degli anni. 

La Svizzera, in seguito, è riuscita persino a vincere un Mondiale, nell’autunno del 1999: quello della categoria U17, con una selezione che comprendeva anche i ticinesi Martignoni e Tosetti, ma le cui stelle si chiamavano Rodriguez, Mehmedi, Ben Khalifa, Seferovic e Xhaka. Bravi ragazzi, pieni di motivazione e talento, ma con il malaugurato difetto di non cantare il salmo svizzero prima delle partite. Una vergogna?

E allora immaginate una guerra mitteleuropea in cui le nazioni a nord minaccino la nostra neutralità. Una guerra cruenta, combattuta con mezzi convenzionali, ma anche con micidiali marchingegni tecnologici. Veniamo schiacciati. Siamo a terra. Il nostro territorio ci fornisce anfratti in cui darci alla macchia, ma non ci dispensa sufficienti mezzi di sussistenza. L’invasore è spietato. Molti di noi fuggono e trovano accoglienza nel profondo sud dell’Europa, in Grecia, Sicilia e Portogallo. Passano gli anni, la situazione in Europa si è normalizzata troppo lentamente e i nostri emigranti hanno messo radici laggiù. Avrebbero voluto tornare, ma la vecchia e florida Svizzera di un tempo è solo un’immagine scolpita nel cuore e nella mente di coloro che hanno avuto il privilegio di vivere l’equilibrio, la stabilità e il benessere di uno dei paesi più accoglienti della storia. I loro figli crescono, ad Atene, Salonicco, Palermo, Lisbona, Porto. La passione per l’hockey su ghiaccio si stempera e lascia spazio al calcio. Molti di loro giocano, parecchi sono bravini, alcuni sono dei fenomeni, al punto da approdare nelle selezioni nazionali dei paesi in cui i loro genitori hanno ottenuto ospitalità e cittadinanza.

Il 19 novembre del 2037, alla Azzurra Home di Roma, va in scena la sfida che stabilirà chi, tra Italia e Svizzera, si qualificherà per la fase finale della Coppa del Mondo. Sul fronte rossocrociato il portiere Grabcic sembra un incantatore di serpenti, nove partite giocate nel girone, una sola rete incassata. Il centrale Abdellah è un maglio che, se necessario, lascia segni indelebili su caviglie e polpacci avversari. Il numero 10 è Hoxa, due piedi da Oscar, con la dote innata di far credere l’esatto contrario di ciò che si appresta a fare. Davanti, la prima punta, è il gigantesco Milatic: 196 cm, due spalle da Schwingkönig (oppure re della lotta svizzera), ma con passo corto e rapido e il senso del gol scolpito sulla pelle come i suoi novantanove tatuaggi. La selezione azzurra si oppone alla forte Svizzera con la sua tradizionale solidità, e con una capacità di fraseggio, figlia della svolta voluta dalla Federazione dopo la drammatica esclusione dalla Coppa del mondo del 2018 in Russia. In questo contesto collettivo brillano due stelle. Walter Müller, figlio di esuli argoviesi, è un ragazzo dotato di intelligenza tattica straordinaria e forza fisica da decatleta. Giulio Bernasconi ha origini del Mendrisiotto. I suoi genitori erano fuggiti da Ligornetto quando il ragazzino era già un mito nel Raggruppamento regionale, nonostante fosse poco più alto di un metro. Giulio non è cresciuto molto, ma tutti sostengono che sia forte almeno quanto la Pulce atomica, Leo Messi, il calciatore che aveva illuminato i primi anni del millennio. Due piedi, velocità, resistenza, senso tattico, fiuto del gol e persino colpo di testa: ha tutto! In Champions ha già segnato nove reti nelle cinque partite della fase a gironi. 

Sono le 20.40. Risuonano le note del salmo svizzero. Le telecamere si muovono tra la curva, dove una moltitudine di fans rossocrociati, mano sul cuore, scandisce le parole in tre o forse quattro lingue, e il campo dove abbracciati e muti, gli undici eroi cercano ispirazione, energia e solidarietà. 20.42 tocca all’inno di Mameli. L’Azzurra Home è una bolgia. I ragazzi cantano, stonando simpaticamente davanti ai microfoni della TV. Si respira furore bellico: «Mo quelli li facciamo a pezzi!». Solo da due bocche non esce il motivante «Fratelli d’Italia, l’Italia s’è desta...». Giulio e Walter, abbracciati ai compagni, tacciono. Uno scandalo? Una vergogna? 

Dalla curva si eleva un coro: Ber-na-sco-ni///ta-ta-ta-ta-ta! Il ragazzo risponde salutando con la mano. Tutto normale. Il calcio veleggia al di sopra dei confini e delle bandiere. Ci sono calciatori di origine africana che fanno grande la Francia: Balcanici che sospingono la Svizzera e Svizzeri che fanno volare l’Italia. A proposito, nonostante la doppietta di Bernasconi, l’Italia è stata costretta allo spareggio. La Svizzera, per la nona volta consecutiva, è approdata direttamente alla fase finale della Coppa del Mondo, grazie alle reti di Abdellah e Milatic e al calcio di rigore di Hoxa. E ora chi ci ferma più?