Dubitare di noi stessi è dannoso

Psicologia – Pensare a cosa avremmo potuto fare e a come sarebbe potuta andare diversamente, ci destabilizza. Intervista a Susan Krauss Whitbourne, professoressa emerita di Scienze psicologiche e del cervello all’Università del Massachusetts Amherst
/ 20.09.2021
di Stefania Prandi

Dubitare di noi stessi in continuazione può essere dannoso. Roderci internamente pensando a cosa avremmo potuto fare e a come sarebbe potuta andare diversamente, ci destabilizza. La ruminazione mentale diventa pensiero controfattuale, come viene chiamato in psicologia, quando si continuano a immaginare scenari o situazioni alternative che sarebbero potute succedere, ma non sono avvenute. Uno studio recente dell’Università di Groningen, nei Paesi Bassi, ha dimostrato che le persone ossessionate dai «pensieri improduttivi» mostrano livelli più elevati di depressione e malessere. Al pensiero controfattuale Susan Krauss Whitbourne, professoressa emerita di Scienze psicologiche e del cervello all’Università del Massachusetts Amherst, ha dedicato un articolo appena pubblicato negli Stati Uniti. 

Professoressa Krauss Whitbourne, come funziona il pensiero controfattuale?
Nel pensiero controfattuale si immagina «il secondo tentativo», cioè si prova mentalmente a fare qualcosa di diverso da ciò che è stato fatto. Si rievoca senza sosta un evento nella propria testa, vedendolo accadere in modo differente. 

Esistono diversi tipi di pensiero controfattuale?
C’è il pensiero controfattuale «al ribasso», cioè il sentirsi fortunati perché la situazione avrebbe potuto essere peggiore. Se ci si è fatti male da qualche parte, ad esempio si è battuto un dito contro uno spigolo, si riflette sul fatto che, nonostante il dolore, sarebbe potuta andare molto peggio, magari ci si sarebbe potuti slogare una caviglia. Questo tipo di pensiero controfattuale di per sé non è particolarmente problematico, contrariamente a quello «verso l’alto», che porta a credere che le cose avrebbero potuto essere migliori. Un caso purtroppo molto attuale adesso, negli Stati Uniti, riguarda le persone che dicono che avrebbero dovuto farsi il vaccino contro il Covid-19, invece di rifiutarlo, e adesso stanno morendo o vedono morire i loro cari. 

Perché il pensiero controfattuale è così dannoso?
Perché quello che è successo non si può cambiare. Nel «pensiero controfattuale autoreferenziale verso l’alto» si rivive un evento negativo autoaccusandosi e si ragiona su quanto le cose avrebbero potuto essere migliori se solo si avesse agito diversamente. Sarebbe invece utile imparare dal passato e dirsi che nel futuro ci si comporterà senza ripetere gli stessi errori. C’è poi un altro caso di pensiero controfattuale, nel quale non si colpevolizza se stessi ma qualcun altro, chi ha provocato il danno. Ma continuare a immaginare le stesse scene nella propria testa non è utile, causa molto dolore. Arrovellarsi ha senso soltanto se si riesce a sviluppare una strategia di adattamento. 

Quanto tempo può andare avanti un pensiero controfattuale?
Può durare per anni. Può anche non finire mai se non si smette di rivivere l’evento nella propria mente. Ha un impatto negativo sulla salute psicofisica perché il ruminamento mentale include l’autocolpevolizzazione e porta alla depressione. Piangere sul latte versato, per usare un modo di dire efficace, trattiene nel passato. L’unica possibilità di liberarsi è l’accettazione: smettere di accanirsi perché più a lungo coltiviamo un pensiero, più pervade la nostra coscienza, sedimentandosi. Non si può andare indietro nel tempo, conta solo la vita di adesso. 

Ci sono persone più propense a rimuginare?
Sì, secondo alcuni studi, chi dubita di sé si focalizza sempre su quello che ha fatto e su come avrebbe potuto agire altrimenti. È una forma crudele di autocritica. Essere troppo duri con se stessi condanna al pensiero controfattuale in modo cronico. Si prova sofferenza per le proprie azioni, ci si sente sbagliati e colpevoli.

Perché ci sono persone che si autocolpevolizzano più di altre? 
Non è una caratteristica con cui si nasce, ma si sviluppa a causa di fattori o episodi scatenanti. Una volta innescata, in alcune persone diventa uno schema permanente. Molte volte si sviluppano attitudini disfunzionali, chiamate pensieri disadattivi, e si distorcono le interpretazioni degli eventi, in un modo che corrisponde a una propria visione interna. Quando si entra nella spirale è difficile smettere perché si è preda di un ragionamento automatico: qualsiasi evento negativo viene ricondotto a un presunto sbaglio che si è commesso, si diventa catastrofici, ingigantendo i fatti e vedendoli peggio di quanto siano. È un’attitudine che si può apprendere in famiglia. Succede, ad esempio, quando i genitori incolpano un figlio o una figlia di qualcosa di cui non è davvero responsabile. A quel punto il senso di biasimo può interiorizzarsi. Ma è anche una forma mentis che c’entra col modo in cui la società tratta i gruppi di individui, discriminandone e penalizzandone alcuni. In questo senso, diverse ricerche ci dicono che le donne sono più propense all’autocritica e reagiscono sviluppando disturbi interiorizzati, come ansia, depressione e disturbi ossessivo-compulsivi. Gli uomini, quando hanno problemi di autostima, in genere reagiscono diversamente. 

Cosa si può fare se si è preda del pensiero controfattuale?
Il primo passo è rendersene conto e capire che si tratta di uno schema da interrompere il prima possibile. Dopo avere acquisito consapevolezza, bisogna dirsi che non si è destinati a essere traumatizzati dall’evento negativo per il resto della propria vita. Magari si può trasformare l’esperienza, facendola diventare una risorsa utile per gli altri, diventando un portavoce di una causa, un’attivista. Inoltre, esiste l’Acceptance and Commitment Therapy, un intervento psicologico e psicoterapeutico con strategie di accettazione e mindfulness che motivano a passare all’azione, modificando il comportamento e incrementando la flessibilità psicologica. La terapia può ridurre il proprio attaccamento al pensiero controfattuale: si trae insegnamento dall’esperienza e la si usa costruttivamente, liberandosi dalla dimensione fantasiosa e cercando di restare nel momento presente.