Dove la Svizzera sorprende

Paesaggio e architettura – Piccoli grandi musei sono sparsi su tutto il territorio anche nelle periferie dove meno te li aspetti: un vanto della composita realtà elvetica
/ 21.09.2020
di Luciana Caglio

È talmente simile al suo stereotipo pubblicitario da sembrare finto. Invece l’Appenzello è proprio così, come lo s’immagina e come l’hanno raffigurato i pittori naïf nei loro paesaggi idealizzati. Lasciando alle spalle l’autostrada, gli impianti industriali, i caseggiati delle periferie urbane nella valle del Reno, ci s’inoltra nel verde dei boschi e poi dei prati, punteggiati dalle fattorie e dalle mucche al pascolo. Nel giro di pochi chilometri, per il visitatore è il tuffo in un passato che pare congelare i luoghi nell’immobilismo. E la sensazione perdura, entrando nella città di Appenzello, capitale del semicantone interno. Qui, il centro storico, storico lo è davvero. Niente da spartire con i raffazzonati tentativi di salvare il salvabile, cui si assiste in località, vittime di una smania edilizia sconsiderata. Qui gli edifici secolari, accuratamente riabilitati da interventi indispensabili, racchiudono gli spazi destinati alle attività commerciali e, in pari tempo, al passeggio, momento d’incontro insostituibile e, non da ultimo, alla vita politica: sulla piazza principale, avviene, ogni anno, il rito della Landsgemeinde, dove, per alzata di mano si decidono le sorti del Cantone: eleggendo i rappresentanti del popolo, approvando o respingendo leggi, iniziative, provvedimenti d’interesse pubblico. I cosiddetti «Tafel», le preziose insegne, appese alle pareti di edifici ridipinti nei colori originali non hanno uno scopo semplicemente decorativo. Continuano a indicare negozi, bar, servizi pubblici che svolgono le loro funzioni. Lo scrupolo conservativo non ha bloccato le esigenze economiche e sociali. Anzi, ne è diventato un incentivo. Che funziona, anche sul piano turistico, più che mai nella stagione del covid, che ha indotto gli svizzeri, bon gré-mal gré, alla riscoperta del proprio paese. Che riserva sorprese.

Tanto più folgoranti in quest’Appenzello, che, all’improvviso, assicura l’impatto con la modernità, nelle sue forme più incisive. Ecco, a pochi passi dal centro, il Kunstmuseum, edificio segnalato dalle guide dell’Heimatschutz e promosso a icona dell’architettura contemporanea. Con il suo profilo a zig-zag, l’edificio lascia un segno originale, all’esterno, e razionale all’interno. Reca, del resto, la firma di progettisti autorevoli, gli zurighesi Annette Gigon e Mike Guyer, già autori del museo Kirchner a Davos e dei restauri dei musei di Winterthur. L’opera, inaugurata nel 1998, in sale ampie e adeguatamente illuminate, ospita fino al 4 ottobre, guarda caso, le visioni mediterranee di Selim, ticinese d’adozione. Ora, l’interrogativo è scontato, come mai una città di 6000 abitanti ha potuto dotarsi di una struttura tanto prestigiosa. E qui si apre un’altra bella pagina di storia locale. Protagonista l’industriale Heinrich Gebert, mecenate lungimirante che, attraverso l’omonima Fondazione, ha finanziato opere d’avanguardia. Oltre il museo dell’arte, la «Ziegelhütte», il centro culturale, ricavato da una fabbrica dismessa di tegole, mattoni, laterizi. Secondo l’autore della ristrutturazione, Robert Bamert, questo è «un esempio di architettura ibrida». Cioè, il secolare involucro di legno che risale al 1566, è diventato il contenitore di necessità attuali: una biblioteca, un teatro, sale da concerto, congressi, shopping. Tutto ciò, senza cancellare le tracce della sua storia, che rispecchia il passaggio dall’era agricola a quella industriale. Come ci spiega, in italiano, la curatrice Sara Petrucci, evidentemente un’oriunda, l’ambiente, prevalentemente in legno e pietra, si è dotato degli impianti tecnologici che consentono concerti, spettacoli teatrali, congressi,incontri gastronomici, adesso per forza di cose rimandati.

Insomma, manifestazioni ed eventi di alta qualità che non sono più la prerogativa dei grandi centri.

È una sorta di rivalsa delle periferie rispetto a Zurigo, Basilea, Ginevra. Rappresenta un aspetto, oseremmo dire un vanto, della composita realtà elvetica, di cui si stanno moltiplicando gli esempi, e in particolare con musei coraggiosamente innovativi.

Come nel caso di Coira che, secondo dati storici, sarebbe addirittura il più antico agglomerato della Svizzera. Anche qui, il nucleo storico, ben conservato, è diventato un centro vivace commercialmente e un’attrazione turistica. Ma si è saputo andare oltre quella che oggi è persino una moda: i centri storici riabilitati sono all’ordine del giorno sul piano europeo. Ecco, infatti, la sorpresa: la sede del nuovo Museo cantonale, vera e propria icona, oggetto di accese polemiche. Inaugurata nel maggio 2016, porta la firma degli architetti Barozzi e Veiga di Barcellona, vincitori del concorso internazionale indetto nel 2011. Sorge a fianco della Villa Planta, tipica costruzione signorile fine ’800, già abitazione di Jacques Ambrosius von Planta, commerciante che aveva fatto fortuna in Egitto e innamorato dell’orientalismo. Acquistata dal Cantone, nel 1957, restaurata da Peter Zumthor negli anni 90, ospita il Museo retico, depositario delle tradizioni locali. Mentre, l’arte moderna e contemporanea, trova posto dietro la bianca facciata bugnata, a effetto diamante, inventata dagli architetti spagnoli. Niente di stridente in quest’accostamento. Anzi, conferma la continuità dell’arte, nelle sue migliori espressioni.

Certo, per concludere, ne ha fatto di strada l’istituzione museo. Si pensi al più rappresentativo, il British Museum, esempio di architettura neoclassica fine 18.mo secolo, e rinnovato dalla geniale piazza con cupola, introdotta all’interno, ideata da Norman Forster nel 2000. Ma soprattutto, ed è quel che più conta, si pensi all’incessante proliferazione di musei, che documentano grandi e piccole civiltà, da salvare e da conoscere. La Svizzera, in proposito, se la cava bene. Con quasi un migliaio di musei, sparsi su tutto il territorio, figura fra i paesi europei meglio dotati.