L’impegno dell’Ordine mondiale della sanità (Oms) e di altre organizzazioni correlate è quello di non perdere occasione per promuovere a livello globale la sensibilizzazione su argomenti cruciali di salute pubblica di interesse della comunità internazionale, e lanciare programmi a lungo termine sugli argomenti al centro dell’attenzione. La salute è di fatto il nostro bene più prezioso e non è un tema che si esaurisce in poche riflessioni annuali. Oggi più che mai comprendiamo quanto questo vero e proprio capitale debba essere tutelato e conservato con cura, iniziando dalla prevenzione.
Le riflessioni dell’Oms e del mondo sanitario rientrano quasi tutte nella crescente consapevolezza che «prendersi cura della salute» sarebbe il passo da intraprendere ancor prima di arrivare a dover curare la malattia, dalla quale peraltro nessuno è immune nel corso della vita. «L’arte della medicina risiede nell’esperienza del medico e nelle sue abilità di empatia e comprensione del paziente: lo ascolta, lo osserva e lo visita, ponendo un’ipotesi di diagnosi come base sulla quale costruire una presa a carico adeguata e individualizzata», questa la premessa della dottoressa Julia Schürch (specialista in medicina interna e d’urgenza e responsabile dell’Unità di medicina interna alla Clinica Sant’Anna di Sorengo) che racconta l’importanza dell’accoglienza: «Ascolto e visita clinica fanno parte del primo approccio che ci porta verso la diagnosi, un passo necessario per individuare il problema di salute che affligge il paziente, e che ci permette poi di mettere in atto soluzioni specifiche che possano risolverlo», spiega la specialista referente medico dell’Ambulatorio visite urgenti (Avu) della struttura dove raccogliamo l’esperienza di Maria, una paziente: «Da tanto tempo ho un dolore allo stomaco, qualche volta a sinistra sopra lo stomaco. Oggi è molto più forte e sono venuta a farmi visitare perché sono abbastanza spaventata…». Dopo essere stata ascoltata e visitata, Maria è in attesa di alcune analisi.
«Per poter porre un’ipotesi di diagnosi, il medico deve valutare i dati che ha a disposizione e i sintomi che il paziente riferisce. Con la diagnosi si individua la patologia e la sua causa, così da impostare la cura più efficace possibile», ribadisce Schürch che sottolinea come in medicina bisogna sempre riuscire a evitare il più possibile una diagnosi errata che porterebbe a una terapia inadeguata e, di conseguenza, a una relativa perdita di tempo per la cura del paziente. Da qui si intuisce l’importanza di tutta questa prima fase che, come nel caso di Maria, permette di escludere almeno le patologie gravi. Cosa che però, in questo caso specifico, per ora ancora non porta chiaramente alle cause del suo dolore: «Abbiamo parlato con la signora che è stata visitata attentamente. L’ausilio di esami come la radiografia del torace e l’elettrocardiogramma ci hanno permesso di escludere che si tratti di un evento grave come infarto o polmonite. Ora, l’ipotesi di diagnosi è che possa soffrire di una gastrite».
Si tratta di un’ipotesi formulata sull’esclusione di patologie gravi e urgenti, per cui il prossimo passo della presa a carico sarà quello che dovrebbe confermare la cosiddetta diagnosi differenziale. A questo punto bisogna fare chiarezza fra i due termini: diagnosi e diagnosi differenziale. «La diagnosi indica il risultato di una procedura in grado di ricondurre un sintomo o un gruppo di sintomi a una categoria specifica o a un gruppo ristretto di categorie, dopo averne considerato ogni aspetto e seguendo un processo decisionale simile a un diagramma di flusso; è un passo necessario per individuare il problema e successivamente mettere in atto soluzioni specifiche che possano risolverlo. In pratica, è come se fosse un “codice” che permette di comunicare tra medici. Con il termine diagnosi differenziale in medicina intendiamo per definizione un procedimento decisionale che tende a escludere, tra varie patologie o condizioni simili in un determinato paziente, quelle che non comprendono l’insieme dei sintomi e segni che si sono riscontrati durante la visita e dagli esami, fino a comprendere quale sia la patologia o la condizione appartenente davvero al paziente».
Con la spiegazione delle due definizioni, la specialista ribadisce il fine ultimo della diagnosi differenziale: «Ci permette di arrivare a una corretta diagnosi della patologia in esame, escludendo patologie simili o che possano dare segni o sintomi analoghi, ed evitando così tutti i possibili errori di valutazione». Questo passo avanti è un procedimento che implica il coinvolgimento di altri medici specialisti, poi coordinati lungo tutto il percorso da quel «direttore d’orchestra» che è il medico di famiglia, colui che conosce a fondo il paziente.
Tornando all’esempio di Maria, la dottoressa Schürch spiega che «il suo medico di famiglia ci riferisce di aver già prescritto un trattamento farmacologico per provare a curare il sospetto di gastrite, ma non ha avuto l’effetto sperato. A questo punto, oggi i suoi dolori acuti l’hanno portata a farsi visitare all’Avu dove abbiamo escluso le cause gravi e urgenti. Ora, per procedere con una diagnosi differenziale dobbiamo coinvolgere lo specialista gastroenterologo che verosimilmente eseguirà una gastroscopia».
La dottoressa evoca l’importanza dell’esperienza del medico che valuta la necessità di questo altro passo multidisciplinare che, nel caso di questa paziente, risulta essere la «buona via» verso una diagnosi che porti a individuare la cura più adeguata.
«Più andiamo nello specifico, e maggiore sarà la probabilità di coinvolgere lo specialista del caso, sebbene ci siano anche diagnosi che già risultano ben chiare», conferma Schürch che ribadisce l’importanza della coordinazione dei casi complessi. La terapia adeguata alla diagnosi finale è quanto sarà prescritta a Maria, alla quale va pure il nostro augurio di pronta guarigione.