Dopo lo smartphone

Tutte le Big Tech stanno investendo nella realtà aumentata che permette di potenziare la visione della realtà «vera» con altri elementi, puntando su sensazioni ed emozioni
/ 12.07.2021
di Rocco Bianchi

Smartphone addio? Il prossimo passo dello sviluppo tecnologico potrebbe presto rendere obsoleti iPhone, iPad, Galaxy e qualsiasi altro dispositivo dotato di un display? Forse, magari, probabile, possibile… pur con tutti i distinguo, gli avverbi e gli aggettivi del caso, è proprio questo lo scenario cui stanno lavorando e si stanno preparando i grandi dell’economia 4.0 (ormai quasi 5).

Che realtà virtuale e realtà aumentata siano due prodotti in forte espansione da alcuni anni è cosa nota, per lo meno agli esperti del settore; a esplicitare per primo dove questa forte espansione e il suo conseguente sviluppo tecnologico potesse portare è stato un anno fa l’amministratore delegato di Facebook Mark Zuckerberg: far comunicare le persone tra loro senza più impiegare schermi. Ovvio, dirà qualcuno, Zuckerberg gli smartphone mica li produce, per cui è normale che cerchi di bypassare un settore in cui lui non è presente e mai lo potrà essere se non al prezzo di onerosissimi e dunque inutili investimenti. Non per nulla la sua ricerca è orientata alla creazione di un dispositivo indossabile di realtà aumentata, tipo occhiali intelligenti o visori come quelli indossati dai protagonisti di Ready player one, il penultimo film di Steven Spielberg (un omaggio alla cultura pop di fine XX secolo in chiave futuristica). Obiettivo, permettere alle persone di essere connesse sempre ed ovunque.

Obiezione corretta, a prima vista, se non che anche i CEO di tutte le altre Big tech si stanno orientando su questa strada. Anche quelli che all’inizio erano ferocemente scettici, come Tim Cook della Apple, che proprio poche settimane fa in un’intervista ha definito la realtà aumentata come il futuro, la strada che potrebbe cambiare il mercato e, di conseguenza, le nostre vite. Meglio prepararsi. E magari cominciare ad interrogarsi sulle conseguenze etiche, filosofiche e sociali dell’ennesima rivoluzione tecnologica prossima ventura.

Perché, con buona pace dei visionari e dei creativi di alcuni decenni fa che sognavano una specie di universo parallelo digitale (è la realtà virtuale), la realtà aumentata, in sigla AR, non ricrea un ambiente completamente digitalizzato, ma permette di potenziare la visione della realtà «vera» (a questo punto le virgolette sono d’obbligo) con altri elementi. Informativi soprattutto, ma non solo, che si punta anche a sensazioni e dunque ad emozioni. Per capirci, Microsoft ha appena vinto un contratto da 22 miliardi di dollari per costruire visori per la realtà aumentata per le forze armate USA, mentre Zuckerberg sta sviluppando un braccialetto in grado di interpretare i segnali del polso che potrebbe rivoluzionare l’interfaccia e dunque il modo di accedere e controllare l’AR. Insomma, a suo dire un braccialetto e un paio di occhiali non troppo ingombranti ma anzi piuttosto simili a quelli normali su cui arriveranno informazioni e ologrammi digitali sarà tutto quello di cui avremo bisogno tra qualche anno per comunicare e interagire con il mondo. Dandoci per di più la sensazione di essere effettivamente in presenza, benché a distanza, dunque permettendoci di vivere le nostre esperienze in modo vivido e «reale». Se non è il de profundis di smartphone e tablet, poco ci manca.

In attesa che Zuckerberg o chi per lui ci rivoluzioni il futuro, come detto la realtà aumentata sta conquistando sempre più fette di mercato, e le sue applicazioni pratiche, sia pure ancora appena abbozzate rispetto alle visioni dei suoi creatori e alle prospettate possibilità, aumentano di giorno in giorno. Perché gli orizzonti applicativi di occhiali interattivi, specchi speciali, riviste digitalizzate, quadri che prendono vita, parabrezza intelligenti che ti guidano nel traffico e chi più ne ha più ne inventi, sono pressoché infiniti.

Siamo infatti, come detto, allo stadio embrionale del suo ipotetico sviluppo, non fosse che per il fatto che smartphone e tablet sono ancora necessari: si inquadra un oggetto qualunque e sul display appaiono informazioni aggiuntive (testi, immagini, filmati…), un nuovo livello di comunicazione che si va ad aggiungere e in alcuni casi sovrapporre a quello che i nostri occhi vedono, potenziando appunto la quantità di dettagli e di dati. Per questo si sta diffondendo in modo sempre più rapido non tanto o non solo nell’industria dell’intrattenimento, o infotaiment che dir si voglia, ma in ambito industriale, che in questo senso si sta preparando a migrare definitivamente dall’homeworking allo smartworking, aggiungendo appunto al normale lavoro nuovi livelli informativi e nuove possibilità di interazione con colleghi e ditte collegate. Il tutto in tempo reale.

Già oggi poi con delle soluzioni AR le aziende del settore manufatturiero possono ridurre i tempi di fermo macchina non pianificata e i tempi di manutenzione, comprimendo di conseguenza i costi, mentre in altri casi la realtà aumentata sta già giocando un ruolo nella pre-produzione (perché, ad esempio, produrre prototipi reali quando posso lavorare, elaborare e sperimentare in AR?), riducendo i tempi di sviluppo e di conseguenza anche in questo caso i costi. Siamo agli albori delle smart factory.

Senza dimenticare le possibilità offerte nella vendita online, con i clienti catapultati in una realtà in cui sarà loro possibile visualizzare e forse addirittura provare i prodotti desiderati, e nell’assistenza da remoto, con un tecnico apparentemente al nostro fianco a spiegarci cosa fare e come farlo per risolvere il problema (manuali di istruzioni, addio!). Oggi siamo ancora a una simulazione animata sullo schermo, domani chissà.

Last but not least, la realtà aumentata ben si adatta e si è adattata a questi tempi pandemici e di distanziamento, dato che non richiede contatto fisico. Al grande pubblico tuttavia le applicazioni più note di realtà aumentata – in realtà spesso ancora solo mondi e ricostruzioni virtuali con eventualmente alcuni inserti di AR – oggi sono quelle impiegate nell’industria culturale e di intrattenimento. In particolare nei musei. Sempre il nostro Zuckerberg ad esempio a fine aprile ha annunciato di aver camminato «fisicamente» nel mausoleo di Augusto, pur essendo comodamente seduto nel suo ufficio a Menlo Park. In generale l’idea è di coniugare cultura e divertimento attraverso nuovi percorsi cognitivi ed emozionali.

Altro aspetto da non sottovalutare per il futuro, oltre a infotaiment e smart factory, sono le smart city: tutte le pubbliche amministrazioni infatti in futuro comunicheranno con i loro cittadini attraverso una serie di oggetti che diventano parlanti o di uffici virtuali, con assistenti e impiegati non sappiamo se più efficienti di quelli fisici, ma sicuramente sempre disponibili.

Vada come vada, una cosa è certa: la realtà aumentata trasformerà le nostre vite, poiché ci darà la possibilità di ampliare non solo le nostre conoscenze, ma anche le nostre possibilità di interazione con la vita reale. Ammesso poi che reale lo resti davvero. Ma questo è un altro discorso.