Donne in montagna

Pubblicazioni – La scrittrice Daniela Schwegler ci regala dodici ritratti di donne che hanno scelto di fare la guida alpina in Svizzera
/ 23.09.2019
di Natascha Fioretti

Quest’anno, a ragione, c’è un tema che cerca attenzione. È quello delle guide alpine donna che in tutta la Svizzera, su un numero complessivo di quasi 1300 unità risultano essere una trentina o poco più. Ne ha parlato Caroline Fink nel suo film documentario uscito quest’anno Frauen am Berg nel quale ci racconta la storia di una guida alpina donna e di due in formazione. Ricordando che la pioniera, la prima alpinista svizzera è stata la ginevrina Yvette Vaucher che salì in vetta al Matterhorn nel 1965, vi diamo allora una bella notizia: è appena uscito in tedesco per il Rotpunkt Verlag un’altra pubblicazione sul tema, questa volta della scrittrice e appassionata di montagna Daniela Schwegler. Himmelwärts (Verso il cielo) ci propone dodici ritratti molto personali di guide alpine donna di tutta la Svizzera. Ognuno di questi è pronto a svelarci i segreti di quella che fino a poco tempo fa è stata una professione tutta al maschile. 

Il primo ritratto, non poteva essere diversamente, è quello di Nicole Niquille, la prima guida alpina donna svizzera. Di Charmey, Canton Friburgo, oggi 63 anni, la sua è una storia davvero particolare. Ha conseguito il diploma nel 1986 e ha scalato le più alte vette del mondo dalle alpi fino ai giganti dell’Himalaya come l’Everest e il K2. Poi un brutto incidente la costringe in sedia a rotelle ma non basta a fermarla. Nicole Niquille apre un ristorante sul Lac de Taney nel Vallese che conduce per quindici anni e poi nel 2005, con i soldi della pensione d’invalidità, costruisce un ospedale in Nepal, nella regione dell’Himalaya. E se la sua storia è nota grazie alle pagine dei giornali che negli anni 80 si occuparono delle sue imprese, vale la pena fare luce su qualcuna delle altre. Ad esempio quella della bernese Käthi Flühmann, guida alpina dal 1988 e lontana nipote della leggenda alpina Melchior Anderegg (1828-1914), famoso per essere stato il primo a scalare diverse vette alpine importanti. Insieme al marito Daniel Flühmann, anche lui guida alpina, ha fondato Hasliguides un’agenzia che organizza e offre trekking e escursioni in montagna. «È stato mio marito a convincermi a fare il corso, lo devo a lui se ho trasformato la passione della mia vita in una professione. È stata la migliore scelta che potessi fare!».

Fa un certo effetto quando nel suo racconto si sofferma sugli sguardi straniti dei colleghi che la vedono portare in giro i suoi clienti «sono gli stessi sguardi e gli stessi bisbigli che anni fa giravano quando mi presentavo in capanna in mezzo a tanti uomini». Non è stato molto diverso quando in Austria, di recente, è salita sul Grossglockner, la montagna più alta «arrivata in capanna l’oste sorpreso esclama: “una guida alpina donna, una cosa del genere non si era mai vista!”». Si è convinto quando ha visto il suo tesserino «prima ha sgranato gli occhi, poi mi ha offerto una grappa». Il messaggio è chiaro «come donna devi avere una grande sicurezza in te stessa, altrimenti non ce la farai mai. E non è una questione di genere, il fiuto, la passione per la montagna o ce l’hai o non ce l’hai». 

Sfogliando i dodici ritratti ci accorgiamo ben presto che manca una donna ticinese. Non si tratta di una dimenticanza dell’autrice, semplicemente mancano guide alpine nel nostro cantone. Abbiamo cercato di capire perché parlandone con Massimo Bognuda, guida alpina ticinese con diploma federale (guidealpineticino.ch). Innanzitutto ci dice che la formazione modulare per diventare guida alpina è molto pesante e difficile, sia dal punto di vista economico, dello sforzo fisico e del tempo da investire (per informazioni può essere utile consultare il sito dell’Associazione svizzera delle guide alpine sbv-asgm.ch/). Il corso dura tre anni e ha un costo che si aggira intorno ai 30’000 franchi. «Fisicamente la formazione mette a dura prova e non ci sono differenze tra uomini e donne, viene richiesta uguale forza e impegno fisico. Però negli ultimi anni nella formazione si è registrato un aumento delle donne. Attualmente sono tre le donne aspiranti guida alpina che faranno l’esame finale nel 2020». 

Si può vivere di sole guide? «Si può, tutto dipende dal proprio stile di vita e dalla regione nella quale ci si trova. In Ticino è molto difficile perché non c’è la cultura della guida alpina, un’altra cosa è a St. Moritz, Zermatt o Grindelwald dove il mestiere è più radicato e in molti fanno richiesta per risalire le cime. Alla lunga comunque è un mestiere molto impegnativo che richiede diversi sacrifici». Cosa cerca il cliente in una guida alpina? «La conoscenza del territorio, dei sentieri e della montagna, la sicurezza, la capacità di intrattenere e di raccontare storie».

Fare la guida alpina non è una passeggiata, si portano i clienti a fare sci alpino, salite con pelli di foca o ciaspole e in estate si salgono i classici 4000 metri. Ci sono anche l’arrampicata sportiva, il free climbing e trekking impegnativi come la Via Alta della Val Verzasca. È chiaro che non si tratta di una semplice professione, una di quelle che la sera chiudi la porta dell’ufficio e fino al mattino dopo dimentichi tutto. Lavorare in montagna a questi livelli significa avere un’ottima condizione fisica, una grande tempra, lucidità nei momenti critici, un’abilità tecnica e tanta energia. Per questo forse le guide alpine sono in calo. Come dice Massimo Bognuda in chiusura «fare la guida alpina è più di un lavoro, è uno stile di vita alla ricerca della natura e della libertà».