Curare una donna non è come curare un uomo, anche se la malattia è la medesima. Sembra al tramonto il paradigma della medicina «testata sull’uomo, valida per tutta la popolazione»: uomo e donna non sono la stessa cosa. Diversi, perché? La domanda è pertinente tanto quanto univoca è la risposta della dottoressa Susanna Grego, cardiologa attiva fra il Cardiocentro Ticino e la Clinica Sant’Anna di Sorengo: «Diversi? Sì, perché lo sono. L’essere uomo o donna condiziona sia l’insorgenza e il decorso delle malattie, sia l’aspetto diagnostico, il trattamento, la cura e la riabilitazione. È oramai appurato che, pur essendo soggetti alle medesime patologie, uomini e donne presentano sintomi, progressione di malattie e risposte ai trattamenti molto differenti tra loro».
«Il fatto che per lungo tempo non siano state considerate altre differenze rispetto al sistema riproduttivo ha portato all’erronea convinzione che non ce ne fossero»
A suffragio di questo cambiamento epocale, una crescente mole di dati epidemiologici, clinici e sperimentali indica sempre meglio l’esistenza di tante differenze. Ciò dimostra ulteriormente l’importanza di tenere conto del «sesso e/o genere dipendenti» per tutti, a tutte le età. Cambiamento di prospettiva che nel 2018 ha indotto l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) a introdurre il concetto di «medicina di genere» definendolo come lo studio dell’influenza delle differenze biologiche (definite dal sesso), socio-economiche e culturali (definite dal genere) sullo stato di salute e di malattia di ogni persona.
Ad agosto di quest’anno un ulteriore passo avanti: le ricerche di Jöelle Schwarz dell’Università di Losanna rivelano che per la stessa malattia non si devono necessariamente usare lo stesso approccio e gli stessi trattamenti, rafforzando in tal modo consapevolezze che la medicina non si può più permettere di ignorare. Si sbaglia chi crede che si tratti di «medicina delle donne», spiega la dottoressa Grego: «Se in passato si pensava che fossero le sole patologie dell’apparato riproduttivo-ginecologico a caratterizzare la salute della donna, oggi abbiamo sufficienti evidenze che dimostrano come le differenze fra uomo e donna vadano oltre a queste, e sappiamo che le fasi stesse del ciclo ormonale nella donna si accompagnano a condizioni fisiologiche e patologiche differenti».
La nostra interlocutrice porta l’attenzione sul ribaltamento del paradigma che nella visione globale della medicina ha sempre anteposto l’uomo e tralasciato la donna: «Il fatto che per lungo tempo non siano state considerate altre differenze rispetto al sistema riproduttivo ha portato all’erronea convinzione che non ce ne fossero. È un errore che ha permesso di dare le cose per scontate, mentre ci si rendeva conto dell’esistenza di malattie specifiche di un sesso o dell’altro: pensiamo al tumore dell’ovaio, o dell’utero, e a quello della prostata, anche se esistono pure malattie che hanno una cosiddetta prevalenza in un sesso piuttosto che nell’altro». Ma non chiamiamola semplicisticamente più medicina di genere: «Il riorientamento sugli aspetti biologici porta alla corretta definizione di Sex and Gender medicine, che non vuole indicare una nuova specialità, ma una necessaria e doverosa dimensione interdisciplinare della medicina votata a studiare l’influenza del sesso e del genere (inteso come condizione del singolo individuo nella società) sulla fisiologia, fisiopatologia e patologia umana».
Nella nostra era, pare impossibile che sia ancora necessario colmare una lacuna così grande, eppure con parecchi esempi la cardiologia dimostra che quasi fino ad oggi tutta la prassi medica, oramai codificata da importanti linee guida, è fondata su prove ottenute da grandi sperimentazioni condotte quasi esclusivamente su un solo sesso, quello maschile. «Questo è il motivo che rende necessario ristudiare le patologie che affliggono uomini e donne nel quotidiano: malattie cardiovascolari, tumori, malattie metaboliche, neurologiche, infettive e tutte le specialistiche anche chirurgiche: la Sex and Gender medicine riguarda di fatto tutte le specialità del sapere medico».
Emblematico l’esempio del campo cardiologico: «Nonostante sia stato statisticamente chiarito che le malattie cardiovascolari siano la prima causa di morte nelle donne, ancora oggi si pensa che queste malattie siano prevalentemente maschili. Ciò dipende dal fatto che nella descrizione degli studi epidemiologici dei fattori di rischio, dei sintomi, della terapia dell’infarto e della prevenzione, il sesso femminile nella storia della medicina quasi non esiste». La dottoressa Grego sottolinea come oggi sia noto che, colpite da infarto del miocardio, le donne possono avere sintomi molto diversi, tanto che si parla di sintomatologia atipica: «Spesso non hanno un caratteristico dolore toracico, ma al collo, al dorso oppure non hanno alcun dolore ma solo stanchezza, affanno, palpitazioni. Perciò possono non essere prese in considerazione al pari di un uomo, non essere ricoverate o essere soccorse in ritardo. La sottovalutazione può in parte spiegare perché la mortalità delle donne dopo un infarto sia caratteristicamente superiore rispetto a quella degli uomini».
Un’altra differenza riguarda l’esame delle coronarie (coronarografia): «Nelle donne l’ischemia del cuore può essere più facilmente legata a un’alterata reattività delle piccole arterie del cuore piuttosto che alla occlusione di quelle grandi. Ne consegue che la diagnostica è più complessa e deve seguire percorsi differenti. Ad esempio, nella donna la coronarografia può non evidenziare gravi alterazioni delle coronarie epicardiche». Le patologie cardiovascolari che si reperiscono quasi solo nel sesso femminile sono varie («ad esempio la Sindrome di tako-tsubo o la dissezione coronarica»), ma poco si è fatto in questi anni di grandi ricerche e scoperte per comprendere il perché di queste diversità, anche se «la cardiologia, nonostante tutto, è la specialità più avanzata in fatto di conoscenza delle differenze Sex and Gender».
Una strada tutta da costruire, che chiediamo alla cardiologa di riassumere: «Sex and Gender medicine significa comprendere in quale modo le malattie di tutti gli organi e sistemi si manifestano nei due sessi e, soprattutto, quale sia l’impatto della diversa considerazione tra gli individui sul riconoscimento dei sintomi, delle patologie, della necessità di differenti percorsi diagnostici e di interpretazioni individualizzate dei risultati. Senza tralasciare le differenze nella risposta ai farmaci o al bisogno di utilizzarne di diversi. Ciò vale pure nella prevenzione di tutte le malattie. L’obiettivo rimane quello di ottimizzare l’approccio medico in tutti».