Si può imparare a difendersi dal compagno di scuola che manda messaggi continui e pieni di insulti, si può prevenire la pubblicazione di foto e video intimi sui social network, si può neutralizzare il bullo che schernisce sui gruppi WhatsApp, si può smascherare chi si aggira in rete con falsi profili e cattive intenzioni. Alice, una ragazzina di 14 anni, ha impiegato 9 minuti per mettere in fuga il suo molestatore, che l’aveva contattata su Facebook spacciandosi per un suo coetaneo. Prima gli ha chiesto di spostarsi su WhatsApp, quindi ha tracciato il suo numero di telefono e ha scoperto la sua identità: in realtà era un uomo di 25 anni, iscritto a chat e gruppi equivoci. Quando gli ha scritto per messaggio che aveva scoperto il suo vero nome e cognome, lui si è dileguato.
Queste sono alcune delle tecniche che si imparano con lo Zanshin Tech, la prima «arte marziale digitale» per difendersi dalle minacce della rete. Nata in Italia, insegna ai ragazzi e alle ragazze non solo a combattere gli attacchi online, che portano a vere e proprie persecuzioni, con conseguente esasperazione ed esiti anche tragici, ma soprattutto a prevenirli. Fonde gli insegnamenti tradizionali delle arti marziali orientali (non violenza, rispetto dell’altro, serena concentrazione, disciplina) a conoscenze tecnologiche tratte dal mondo della cybersecurity.
Zanshin è una parola giapponese che indica lo stato di vigilanza controllata e serena che il maestro di arti marziali deve avere prima, durante e dopo un’aggressione: si è coscienti di tutto ciò che c’è attorno (pericoli e aggressori inclusi) senza per questo cedere alla paura, all’ira o ad altri sentimenti. A inventarsi questa disciplina ibrida, o meglio «a scoprirla, come qualcosa che è apparso automaticamente appena ho svolto il rotolo», è stato Claudio Canavese, informatico e maestro di judo. «Ho cominciato a occuparmi di cyberbullismo con un’associazione che faceva software libero. Analizzando i meccanismi alla base del fenomeno, a un certo punto, quattro anni fa, ho iniziato a guardarli con gli occhi delle arti marziali, a riconoscerli come attacchi digitali. Quando i media si sono accorti del fenomeno, noi eravamo già avanti nelle nostre ricerche. Le scuole ci hanno chiamato per fare delle lezioni, ma ci siamo subito resi conto che gli incontri sporadici non erano sufficienti per cambiare l’atteggiamento dei ragazzi. E così abbiamo dato il via ai nostri corsi. Adesso, solo a Genova, ne abbiamo tre per chi ha dagli undici anni in su e uno per adulti. Nel frattempo stiamo formando un centinaio di nuovi insegnanti».
Sono tredici le tecniche di «attacco» online che prevedono precise reazioni. Gli aggressori in genere agiscono sotto falsa identità, e dopo un primo contatto mettono in atto un meccanismo di seduzione, per raccogliere informazioni e materiale compromettente. Poi sferrano il colpo, che è continuato, offensivo e sistematico. Può avvenire in privato, oppure in pubblico, sui gruppi WhatsApp o sulle pagine Facebook. «Riuscendo a ribaltare il punto di vista, insegnando ai ragazzi e alle ragazze a pensarsi come bersagli, e non come vittime, dimostriamo che dietro a un attacco c’è sempre una persona, che usa trucchi psicologici da smascherare e disinnescare. La padronanza di sé che si acquisisce con l’approccio delle arti marziali, insieme alle conoscenze informatiche che forniamo, permette di ottenere il controllo dell’aggressore, di portarlo dove non può fare male, anche quando si pensa di essere allo stremo si può sempre trovare una soluzione. Ovviamente in questo ultimo caso, se si è in presenza di reati, è necessario fare intervenire le forze dell’ordine».
Lo Zanshin Tech si impara nel dojo, che in giapponese significa «luogo per la ricerca della via», una stanza con computer e tavoli, ma si sta diffondendo anche nelle palestre di arti marziali tradizionali. Ci sono dieci livelli, dal bianco al nero, e i colori in mezzo sono quelli del filo del cavo di rete. Chi decide di intraprendere il percorso deve rispettare le cinque regole fondamentali: non usare quello che si impara per fare male; bisogna avere rispetto per sé stessi e per l’aggressore che va allontanato senza accanirsi; ciò che si dice nel dojo resta nel dojo; si fa lezione solo se ci sono almeno tre allievi e due maestri per la tutela di tutti; si lascia il dojo come lo si è trovato. È un percorso che può durare pochi mesi oppure anni ed è tagliato su misura sul singolo allievo. È pensato anche per gli adulti, perché la tecnica del cyberbullismo è la stessa che viene usata per le estorsioni online.
Ci si avvicina allo Zanshin Tech per passaparola oppure perché si sta subendo una violenza. «Da quando abbiamo cominciato sono stati risolti diversi casi. Siamo intervenuti in occasione di un’aggressione che durava da tre mesi, con una ragazzina che veniva attaccata da un’altra, con messaggi di insulti ogni ora. Alla base c’era una gelosia per una storia d’amore. La ragazza-bersaglio era in uno stato di stress elevatissimo, ha contattato uno dei nostri maestri, abbiamo analizzato la situazione e applicato una tecnica che si chiama azzeramento: bisogna smettere di rispondere, non bloccare l’aggressore perché altrimenti non si riesce a controllarlo, e accettare quello che arriva. A un certo punto la ragazza che mandava i messaggi offensivi ha smesso, cercando poi di ricucire il rapporto, dimostrando così che era lei ad avere bisogno di quella dinamica. L’aggressione, infatti, è una relazione tra due persone. Detto questo, l’azzeramento non funziona sempre, di sicuro non va attuato quando ci sono minacce o ricatti. Facciamo i corsi proprio perché ogni caso richiede tecniche specifiche, non si può improvvisare».