«Un paesaggio di gusto leonardesco, dove l’orrore si temperava in un senso di favola: frane, burroni, boschi, un mulino, orizzonti improvvisamente chiusi, mitici». Così, nel 1965, Pio Fontana descriveva le Gole della Breggia, affondate nel Mendrisiotto della sua giovinezza. Lo ricorda Alberto Nessi in apertura del libro Il cementificio del parco – Storia della Saceba e della riqualifica territoriale realizzata dopo la sua chiusura, pubblicato nel 2012 per le Edizione Casagrande.
All’apice di una pianura dall’anacronistico toponimo «Molini», i resti del cementificio Saceba sono oggi archeologia industriale mentre i calcari della vecchia cava di Maiolica si stagliano verso il cielo, austeri testimoni di un paesaggio amputato. Il «Biancone», infatti, non costringe più la valle «in gola scoscesa lasciando il passo al solo torrente», come annotava Luigi Lavizzari nel 1850. Oggi, le gole esordiscono 150 metri più a monte, nella formazione del Rosso ad Aptici, più antica e sopravvissuta poiché inutile alla produzione di cemento. L’anfiteatro della cava ha foraggiato il boom edilizio del Ticino, al ritmo di 150mila tonnellate di cemento l’anno, prodotte tra il 1963 e il 1980 aggiungendo l’argilla della formazione della Scaglia al carbonato di calcio della Maiolica.
La parete di Maiolica ha però un significato che supera il valore del minerale che la compone. «Maiolica» è un termine usato dai cavatori lombardi per definire un calcare fine, bianco, dalla frattura liscia e curva come la superficie di una conchiglia. Esordisce in letteratura 200 anni or sono, quando Giovanni Maironi da Ponte nel suo Dizionario Odeporico della Provincia Bergamasca (1819) nota ad Almenno presso Bergamo «una cava di marmo bianco chiamato Maiolica, il quale è molto pregiato e atto a essere impiegato ne’ più fini lavori».
Il suo candore è una presenza ricorrente sui rilievi estesi dalle Alpi all’Himalaya. Riflette, infatti, la natura oceanica dell’antica Tetide, culla di quelle catene montuose, e dei diversi bacini che la componevano. Alcuni di questi vecchi mari sono poi divenuti giovani montagne, come il Generoso. Altri, al contrario continuano a espandersi, come l’Oceano Atlantico Centrale, conservando nei fondali sedimenti analoghi a quelli delle Gole della Breggia.
Gli strati di Maiolica dell’ex cava Saceba raggiungono uno spessore di 130 metri e si sono depositati tra 145 e 125 milioni di anni or sono, all’alba del Cretaceo, periodo geologico che, dal latino creta, deve il nome proprio alla diffusione globale di un calcare bianco a grana fine. I francesi lo chiamano craie, i tedeschi Kreide, gli inglesi chalk, facendone una vera e propria icona. Le bianche scogliere di Dover, alte oltre cento metri, sono, infatti, cornice a drammi di Shakespeare che, nel Riccardo II, celebra proprio «this precious stone set in the silver sea». La Maiolica ha origine analoga, legata alla diffusione esplosiva di un plancton calcareo dai connotati moderni. È composto di minuscole alghe unicellulari, i coccolitoforidi, rivestite da ancor più minuscoli scudi di carbonato di calcio detti coccoliti. Negli oceani attuali possono riprodursi fino a quattro volte al giorno arrivando facilmente a 100mila individui per litro d’acqua e generando fioriture lattiginose visibili dallo spazio. Alla loro morte, la corazza si disgrega in singoli coccoliti che ammantano il fondale marino di un fango impalpabile. Hanno, infatti, dimensioni di pochi millesimi di millimetri, tanto da definirli nannofossili, e il loro studio è iniziato grazie all’introduzione del microscopio elettronico, una cinquantina di anni fa. Un cubetto di Maiolica grande come un dado da gioco è composto facilmente da milioni di coccoliti e altri nannofossili, forse affini ma di cui mancano controparti attuali.
La formazione delle Alpi ha inclinato gli strati di 50° verso sud, permettendo di attraversare cronologicamente tutta la successione lungo il piede della parete di cava, nel verso della corrente del fiume. Un vero e proprio archivio della storia del nostro pianeta, lungo 20 milioni di anni e scandito al ritmo di 6 mm ogni 1000 anni. Un archivio la cui lettura è quanto mai di attualità. A più riprese, l’atmosfera cretacea fu, infatti, alterata da massicce emissioni di CO2 e conseguenti periodi segnati da effetto serra, riscaldamento globale, fusione completa dei ghiacci polari e innalzamento del livello marino di 200 metri rispetto a oggi. La diffusione dei coccolitoforidi fu anche una risposta a quelle crisi climatiche: aggiungendo alla CO2 un po’ del calcio disciolto nell’acqua marina, le microscopiche alghe hanno prodotto quegli scudi di carbonato di calcio (CaCO3) che ricoprivano la loro cellula e, una volta depositati sul fondale e poi trasformati in roccia, riempirono infine i sacchi di cemento della Saceba. Dobbiamo pertanto al plancton di un oceano di 140 milioni di anni or sono il carbonato di calcio che ha sostenuto il boom edilizio del nostro cantone.
Sono tuttavia alcuni strati di argilla nera, spessi pochi centimetri e intercalati negli ultimi 20 metri dei calcari bianchi della Maiolica, che dovrebbero farci riflettere. E preoccupare. Nel 2002, gli studiosi dell’Università di Milano hanno correlato tre di essi al cosiddetto «Livello Faraoni» dell’Appennino Umbro-Marchigiano, dove fu individuato da Paolo Faraoni per poi essere pubblicato nel 1994. Risale a 131 milioni di anni or sono ed è l’espressione del primo di una serie di sette «Eventi Anossici Oceanici» avvenuti nel Cretaceo. Si tratta di episodi legati a mancanza di ossigenazione sui fondali marini (anossia, appunto) e registrati dai sedimenti a scala globale. Esprimono picchi di emissione di gas serra, a loro volta causa di un riscaldamento globale con condizioni tropicali estese fino alle nostre latitudini e temperate fino ai poli. Il livellamento termico tra acque marine tropicali e polari frenò la circolazione oceanica provocando una stagnazione sui fondali, con accumulo della sostanza organica prodotta in un clima caldo e umido. Nel corso del Cretaceo, in soli 30 milioni di anni si formò così la metà dei giacimenti di idrocarburi noti oggi, inclusi quelli del Golfo Persico e del Golfo del Messico.
Le argille nere del Livello Faraoni della Breggia contengono fino al 12 per cento di carbonio organico, in parte derivato da resti vegetali di terraferma, in parte dal plancton marino. La sua formazione è conseguenza delle estese eruzioni laviche del Plateau del Paraná-Etendeka: si tratta di una colata basaltica estesa quanto 40 volte la Svizzera e oggi frammentata tra Sudamerica e Africa dalla successiva apertura dell’Oceano Atlantico. Iniziata 134 milioni di anni or sono, l’eruzione iniettò in atmosfera enormi quantità di CO2 e altri gas serra, raggiungendo l’acme proprio 131 milioni di anni or sono, in concomitanza col Livello Faraoni. Quest’ultimo, immobilizzando la sostanza organica in fondo al mare, in pratica seppellì la CO2 presente in eccesso, ristabilendo così condizioni climatiche «normali», testimoniate dalla rinnovata formazione di strati bianchi di Maiolica.
Bruciando gli idrocarburi estratti da rocce di questo tipo liberiamo quella CO2 cretacea iniettandola di nuovo in atmosfera, questa volta nel giro di pochi decenni anziché di milioni di anni. Potremmo confidare che di nuovo la CO2 sia usata da vegetali terrestri e plancton producendo una sostanza organica che di nuovo finisca immobilizzata sui fondali in conseguenza di un imminente Evento Anossico Oceanico. Dovremmo tuttavia chiederci quanto tempo sia stato necessario alla Terra per uscire da simili crisi climatiche, una volta innescate. La risposta è nelle moderne datazioni degli strati neri del Livello Faraoni. In quel caso, almeno 100mila anni. Ben di più, da 600mila a un milione, per gli altri sei Eventi Anossici del Cretaceo.
Informazioni
La Maiolica è descritta dai geostop 11-13 del sentiero geologico del Parco delle Gole della Breggia, che offre anche il «Percorso del cemento» comprendente l’eventuale entrata nelle gallerie di estrazione. https://www.parcobreggia.ch
Di Maiolica e «Livello Faraoni»
Geologia - Estratta fino agli anni Ottanta per produrre cemento, la roccia delle Gole della Breggia conserva l’impronta di una crisi climatica globale, avvenuta 131 milioni di anni or sono
/ 25.05.2020
di Rudolf Stockar
di Rudolf Stockar