«Denormalizzare il fumo»

Giornata mondiale senza tabacco - L’Associazione svizzera per la prevenzione del tabagismo lancia una nuova strategia decennale per ridurre il consumo di sigarette - Ne abbiamo parlato con il direttore, Luciano Ruggia
/ 31.05.2021
di Peter Schiesser

Introdotta la prima volta nel 1988 dall’Organizzazione mondiale della sanità, la Giornata mondiale senza  tabacco che ricorre oggi vuole essere un’occasione per indurre i fumatori a rinunciare per 24 ore alla sigaretta e a prendere in considerazione la possibilità di smettere in via definitiva, come pure per riflettere sulle conseguenze del tabagismo sulla salute, un problema di sanità pubblica che resta di portata mondiale. Il tema è complesso, dalle mille sfaccettature e implicazioni. Lo abbiamo affrontato con Luciano Ruggia, dal 2020 direttore dell’Associazione svizzera per la prevenzione del tabagismo, che ha da poco lanciato una nuova strategia decennale nel tentativo di portare la Svizzera su un cammino più virtuoso (il nostro paese è fra gli ultimi in classifica in Europa per quanto riguarda le misure strutturali per ridurre il consumo di tabacco). Ruggia, cresciuto in Ticino, è un esperto di salute pubblica, è ricercatore presso l’università di Berna, dal 2006 al 2017 ha lavorato all’Ufficio federale della sanità pubblica, dal 2016 fa parte del board di Medicus Mundi Svizzera.

In Svizzera una persona su cinque fuma tutti i giorni. Fra gli adulti la percentuale di fumatori è del 27 per cento, fra i giovani dai 15 ai 25 anni supera il 30 per cento. E altrove in Europa?
In alcuni paesi, come l’Inghilterra, l’Irlanda, i paesi nordici, è stato ottenuto un abbassamento molto significativo del tasso di prevalenza del fumo fra gli adulti (la percentuale di fumatori, ndr). L’Irlanda è al 17 per cento e l’obiettivo è il 5 per cento entro il 2025; hanno ottenuto questo con diverse misure strutturali simultaneamente.

In una classifica europea, la Svizzera dove si situa?
La Tobacco prevention scale elaborata dalla Lega europea contro il cancro situa la Svizzera in fondo alla classifica, solo la Germania viene dopo di noi. Ma la Germania sta migliorando, perché sta introducendo dei limiti alla pubblicità di sigarette, ciò che da noi non è ancora il caso. Noi siamo molto in basso in termini di misure strutturali e siamo fra i peggiori anche per quanto riguarda il tasso di prevalenza e l’impatto sulla salute, ricordiamoci che in Svizzera 9500 persone muoiono ogni anno per le conseguenze dirette del fumo.

L’Associazione svizzera per la prevenzione del tabagismo ha varato una nuova strategia, con una visione decennale: nel 2030 vorreste raggiungere l’obiettivo di ridurre al 15 per cento il tasso di prevalenza. Molto ambizioso, considerato che da dieci anni è restato fermo.
Per una strategia ci vuole una visione, un obiettivo, bisogna essere ambiziosi. In Svizzera c’è una popolazione appena più grande di quella irlandese, perché non potremmo essere altrettanto ambiziosi degli irlandesi? Possiamo farlo se vogliamo, lo può fare il parlamento. Le misure per arrivarci sono: vietare la pubblicità sul tabacco, sulla nicotina, sulle sigarette elettroniche, aumentare il prezzo delle sigarette. In Irlanda il pacchetto di sigarette costa 13 euro e 60, per un giovane è più del costo di una pizza, una birra e un caffè a Dublino. In Svizzera se vai in pizzeria spendi subito 30 franchi. Quindi da noi il pacchetto di sigarette dovrebbe costare 30 franchi.

Si è maturi in Svizzera per un aumento massiccio del prezzo delle sigarette?
Il pacchetto di sigarette a 30 franchi avrebbe un vero impatto sui giovani e sulle categorie più penalizzate economicamente, che sono anche quelle che fumano di più. Le incoraggerebbe a diminuire o a smettere di fumare. Il prezzo medio attuale è attorno ai 7.80, ma c’è per esempio una marca che si chiama «5.50», che corrisponde al suo prezzo. Non sono prezzi estremamente elevati. La tassazione non è più aumentata dal 2013, i prezzi sì, ma è l’industria che ha incamerato la differenza. In Francia oggi il pacchetto costa 10 euro, anche la Germania lo sta aumentando, a Londra 10 sterline, in Australia 30 dollari e stanno per passare a 40 dollari e lì si vede che il consumo scende. Siamo maturi o meno? Probabilmente no. È un lungo processo, ma mettiamolo sulla bilancia: ci sono i prezzi e i benefici dell’industria da una parte e ci sono 3 miliardi di costi per le casse malati, che paghiamo di tasca nostra, e ci sono 2 miliardi di costi per le imprese per le giornate di lavoro perse a causa di malattie provocate dal fumo.

Non sembra che il parlamento svizzero voglia un divieto della pubblicità sul tabacco.
Una Camera federale una volta fa un passo avanti, l’altra un passo indietro. Un primo progetto di legge è stato rifiutato nel 2016, al momento non sappiamo dove si andrà. Se vogliamo prendere in considerazione le raccomandazioni dell’OMS bisogna vietare la pubblicità, che ha un impatto soprattutto sui giovani. L’industria del tabacco dice che deve poter informare sui propri prodotti. Non ha senso: un fumatore di 40 anni ha già scelto la sua marca, non è influenzato dalla pubblicità, che si rivolge soprattutto ai giovani, motivo per cui oggi la troviamo sulle reti sociali.

Eppure nel 1964 la Svizzera aveva introdotto il divieto di pubblicità sul fumo alla radio e televisione...
A quell’epoca nascevano le televisioni di Stato, non c’erano le reti private, c’erano forse meno queste influenze dei grandi gruppi pubblicitari e di altri interessi. È stato più facile imporre simili divieti, non solo da noi. In seguito però la Svizzera ha perso il treno. Per esempio, sui limiti di età per potere acquistare del tabacco. Il nostro è l’unico paese in Europa assieme al Kosovo che non ha un limite d’età definito a livello nazionale. I cantoni hanno introdotto limiti differenti, circa la metà lo pongono a 18 anni, un’altra metà a 16, poi ci sono due cantoni – Appenzello esterno e Obvaldo – in cui non c’è limite. In Appenzello vedi ancora bambini che a 8-9 anni ricevono dal padre la prima sigaretta come rito di passaggio all’età adulta. Sulle sigarette elettroniche non c’è limite nella maggior parte dei cantoni.

Un altro vostro obiettivo è di ridurre l’esposizione al fumo passivo.
Va detto che il fumo passivo è l’unico campo in cui la Svizzera ha compiuto dei piccoli progressi, da 10 anni c’è una legge sul fumo passivo, ma è relativamente debole, se la confrontiamo con altri paesi. Permette ancora delle eccezioni cantonali. Noi chiediamo che venga vietato il fumo in tutte le zone pubbliche accessibili a giovani e bambini, dai parchi pubblici ai luoghi in cui si svolgono attività sportive, alle fermate degli autobus, all’esterno degli ospedali. C’è chi lo fa: Milano intende vietare il fumo in tutti gli spazi pubblici, la Spagna lo ha fatto in molte regioni, per il legame che c’è col covid: si stima che possa trasmettersi negli aerosol della sigaretta e della sigaretta elettronica fino a 8 metri di distanza.

Perché chiedete il divieto dell’aggiunta di aromi artificiali? E che cosa è contenuto in una sigaretta?
Ci sono molti aromi artificiali aggiunti alle sigarette e alle sigarette elettroniche, per renderli più piacevoli al gusto. Noi chiediamo come prima misura di allinearci alla legislazione europea sui divieti degli aromi, in vigore dal 20 maggio del 2020. Essenzialmente il divieto del mentolo nelle sigarette, perché il mentolo quando si fuma dà un senso di freschezza e irrita meno la gola. Noi vediamo che i giovani spesso cominciano a fumare con le sigarette al mentolo. Questo è l’aroma più conosciuto, ma ci sono migliaia di altri composti chimici aggiunti alla sigaretta. La sigaretta di oggi non è più quella di 50-60 anni fa. C’è stata un’evoluzione tecnologica enorme. Ci sono laboratori di ricerca dell’industria che hanno enormemente lavorato su ogni componente della sigaretta per migliorarla, nella loro prospettiva. La carta è trattata in modo particolare affinché bruci ad una certa velocità e non si spenga mai. Il tabacco è riempito di diverse sostanze nocive e di aromi. Il filtro è una cellulosa artificiale che in effetti è plastica e attorno al filtro ci sono dei microbuchi che, quando viene premuto, si modifica la quantità di ossigeno che viene assorbita e la velocità con la quale la nicotina arriva al cervello. Il filtro, quando si fuma, cambia colore, diventa giallo-bruno, perché così uno pensa che effettivamente filtri le sostanze contenute nel tabacco. Ma allora dovrebbe essere più colorato dalla parte in contatto col tabacco, invece cambia colore dalla parte da cui si aspira perché ha dei componenti che reagiscono al ph della saliva. È trattato così affinché si pensi inconsciamente che serva a qualcosa. In realtà il filtro non serve a nulla se non a levare le parti sgradevoli al gusto.

Per riuscire a ridurre il consumo di tabacco, secondo voi serve un insieme di misure.
Si sa che una delle misure più efficaci è l’aumento dei prezzi, che ha un impatto forte sui giovani. Però non basta, bisogna avere un insieme di misure per ottenere la riduzione della prevalenza. Per questo mettiamo l’accento anche sulla protezione dell’ambiente, su tutto il ciclo di produzione del tabacco. Bisogna comunicare per far prendere coscienza alla gente su che cos’è veramente il tabacco e quale impatto ha sulla salute. Noi facciamo un discorso scientifico e cerchiamo di comunicare messaggi che diventino più comprensibili al grande pubblico. Prendiamo le shisha: la gente pensa che siccome il fumo si raffredda passando attraverso l’acqua sia meno dannoso, invece è la peggior cosa che esista, un’ora di shisha equivale a 400 sigarette. Noi cerchiamo di comunicarlo, ma è difficile, i media non ci riprendono, se dessero il peso giusto al problema tabacco bisognerebbe parlarne tutti i giorni, ancora più del covid.
In sostanza noi vorremmo denormalizzare l’immagine della sigaretta, del fumo nella società. È ancora troppo normale che si fumi dappertutto, e che si gettino i mozziconi per terra. Se abbiamo un livello di fumatori così elevato è anche per questo.

Vi confrontate con le grandi multinazionali del tabacco (nel 2017 le tre grandi hanno avuto una cifra d’affari di 73 miliardi di dollari) e voi su che cosa potete contare?
Noi siamo un’associazione che esiste dal 1973 i cui membri sono altre organizzazioni, come la Lega svizzera contro il cancro, le leghe polmonari svizzere, la Fondazione svizzera di cardiologia, eccetera, e ora ci siamo aperti ai membri individuali. Vogliamo essere la piattaforma di coordinamento di tutti gli attori della salute pubblica coinvolti nella problematica del tabacco. Abbiamo anche il sostegno per le nostre attività dal Fondo di prevenzione del tabagismo, organo della Confederazione che riceve una piccola percentuale dell’imposta sul tabacco.

Stimate che in Svizzera vengono gettati all’aperto ogni anno oltre 6 miliardi di mozziconi, nel mondo 6500 miliardi. Come volete agire?
Noi cerchiamo di impegnarci soprattutto a livello nazionale, pur appoggiando certe misure cantonali. Vogliamo maggiore rispetto delle norme: per esempio, le FFS hanno vietato il fumo nelle stazioni, con pochi luoghi definiti per i fumatori, ma in realtà si vedono mozziconi ovunque, perché non ci sono controlli, non ci sono multe. Bisognerebbe multare certi comportamenti. Se a Singapore si butta un mozzicone per terra ci sono 500 dollari di multa. Da noi se qualcuno getta un sacchetto di plastica per terra tutti lo guardano male e qualcuno lo riprende, se qualcuno butta un mozzicone nessuno guarda o dice nulla. Nei mari e sulle spiagge nelle operazioni di raccolta delle plastiche e microplastiche, la prima fonte sono i mozziconi. L’informazione su questo c’è, ma non è trasmessa sufficientemente; certo, ci vorrebbero delle enormi campagne di sensibilizzazione, ma noi non abbiamo i mezzi. Facciamo quel che possiamo: per esempio si è da poco conclusa la campagna «Stop to drop», in cui durante due settimane delle classi scolastiche in Svizzera hanno raccolto 950mila mozziconi di sigarette.

Affermate che l’intero ciclo di produzione ha conseguenze nefaste sull’ambiente.
Il tabacco è una pianta tropicale che viene dalle Americhe. Cresce quindi bene in certi climi, come a Cuba, in Mozambico. Bisogna ricordare che la nicotina è un pesticida naturale, che la pianta secerne per difendersi dagli insetti. La nicotina è vietata nei pesticidi utilizzati in Europa e negli Stati Uniti da più di 20 anni, però la fumiamo! Se la pianta cresce in natura va bene, ma nelle coltivazioni intensive bisogna fertilizzare il suolo, che si impoverisce, impiegare molta acqua, usare pesticidi (che il fumatore inala). Dopo il raccolto bisogna aggiungere dei fungicidi per evitare che ammuffisca. Poi bisogna trasformarlo, trasportarlo attraverso il pianeta. Infine si arriva al tabacco trasformato, che si fuma, con tutte le sue conseguenze, e al mozzicone per terra, che inquina almeno 40 litri d’acqua.

Le sigarette elettroniche per ora sono risultate meno dannose per la salute rispetto al tabacco, però non fanno diminuire il numero di fumatori.
Io non dico che sono meno dannose, dico che per il momento possiamo affermare che contengono meno sostanze nocive. Sono fatte di plastica, con una lama di metallo che viene riscaldata a 350 gradi (anziché a 700 gradi come una sigaretta normale), rilasciando anche metalli pesanti, quello che fuoriesce non è vapore acqueo, è glicerina, ci sono poi altre sostanze aggiuntive che non troviamo nelle sigarette. Non sappiamo ancora che effetto avranno a lungo termine sui polmoni.
Effettivamente in Svizzera non vediamo un calo dei consumatori di tabacco, anche se sono arrivate le sigarette cosiddette elettroniche da una decina d’anni. Se uno che fuma due-tre pacchetti di sigarette passa alla sigaretta elettronica è meglio, perché ci sono meno sostanze nocive. Ma sarebbe ancora meglio se fosse un passo per smettere del tutto. Il problema vero è che la sigaretta elettronica è estremamente popolare fra i giovani e li spinge ad entrare nel consumo. Oggi vediamo un’epidemia del consumo di sigarette elettroniche nei giovani, anche nelle nostre scuole. Secondo uno studio fatto a Zurigo la metà dei quindicenni ha già fumato sigarette elettroniche, sono cifre spaventose, soprattutto se si pensa che è la nicotina a creare la dipendenza nel cervello. Se uno comincia da giovane la dipendenza diventa più forte, sarà molto più difficile smettere.