Democrazia parola verde, certo. Sarà una democrazia ecologica capace di tenere insieme cambiamento economico, giustizia sociale e sostenibilità ambientale, controllo del clima e libertà individuale. Una democrazia verde che incorpori nelle proprie istituzioni e nel proprio funzionamento il senso dell’ambiente e della sua protezione. Non dovrebbe essere così difficile per un sistema politico che è sempre andato nel senso dell’estensione e dell’inclusione.
Parecchie voci sembrano invece ritenere il procedimento liberaldemocratico inefficace contro la crisi ecologica. Scrive James Lovelock, l’ideatore della ipotesi di Gaia (la teoria che la Terra funzioni come un super-organismo in grado di autoregolarsi), che «anche le migliori democrazie concordano sul fatto che quando si avvicina una grande guerra, la democrazia dev’essere momentaneamente sospesa. Ho la sensazione che il cambiamento climatico possa essere un problema simile a una guerra. Potrebbe essere necessario sospendere la democrazia per un po’». Con parole simili si esprime un altro rinomato scienziato, Martin Rees: «Non esiste… nessuna autorità per salvaguardare il futuro del pianeta… Solo un despota illuminato potrebbe far passare le misure necessarie per navigare in sicurezza nel XXI secolo». Sospendere le garanzie democratiche e i diritti civili, dichiarare uno stato d’emergenza, ancor peggio di eccezione, invocare una dittatura illuminata, è questo che ci salverà? Stiamo slittando verso l’accettazione di modelli autoritari? Tendiamo a preferire governi centrali capaci di fare scelte drastiche e persino crudeli per imporre la sostenibilità? A invocare un sovrano planetario che gestisca con pugno di ferro la problematica climatica e ambientale? Non ne abbiamo abbastanza di autocrati e tiranni oggi nel mondo?
Io penso che il cambiamento climatico, la crisi ecologica non vadano affrontati con la logica dello stato d’eccezione e del totalitarismo ecologico: bisogna invece impegnare tutta la nostra intelligenza, tutto il nostro entusiasmo per rafforzare la democrazia e renderla adatta ad affrontare la sfida ecologica. Questo anche se sappiamo che le democrazie liberali hanno fatto la loro parte nel promuovere l’espansione e la moltiplicazione dei bisogni/desideri e la loro soddisfazione attraverso i consumi all’interno del mercato capitalistico. Attenzione anche a pensare che «la scienza» da sola abbia l’intelligenza e la forza morale di guidare le azioni umane e le scelte politiche. La scienza deve fare la sua parte ma la decisione ultima spetta ai cittadini, spetta al processo democratico che per definizione gestisce le crisi senza far ricorso a violenza e brutalità ma attraverso regole di mutuo rispetto, libertà di pensiero, confronto di idee. Ma non c’è tempo, si afferma, questi procedimenti sono troppo lenti, abbiamo fretta, la terra non può aspettare! E allora? Non servono soluzioni emergenzialiste e autoritarie, occorrono prassi democratiche e di libertà. Se vogliamo salvarci dobbiamo cercare uno stato democratico che risponda pubblicamente di come usa i suoi poteri regolatori. Un governo del quale i cittadini abbiano fiducia, che gestisca la transizione verso un’economia alimentata dal sole e dal vento e dall’acqua anziché dal carbone e dal petrolio, ma senza brutale coercizione, democraticamente. E magari, sì, anche un po’ più velocemente.